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ERIN

Non sono mai stata in grado di capire me stessa fino in fondo. Non sono mai stata brava ad esternare i miei sentimenti. Da piccola mostravo già i primi segni di un carattere chiuso, distante e freddo. Come ad esempio la mia insofferenza verso la distanza che si era creata tra i miei genitori quando mia madre ha tradito l'uomo della sua vita per un vicino di casa.
Le cose da allora sono cambiate, i miei hanno trovato un loro equilibrio ma io sono rimasta la stessa, incapace di dimostrare quello che davvero provo.
Da sempre lotto con questo cuore che sente il doppio, ma che non è in grado di trasmettere quanto amore, quanto affetto c'è dentro. La verità è che sentire mi ha sempre fatto paura. Ecco perché ho sempre preferito nascondere tutto, fingere che non mi importi di niente e di nessuno.
Adesso che sono più adulta e meno problematica, ammiro chi al contrario dimostra ciò che sente apertamente e in maniera spontanea. Un esempio è Bradley. Io lo ammiro. Ammiro la sua capacità di sentire e di amare. Ammiro la sua calma, la sua anima in grado di trasmettere con gesti e sguardi quello che pensa o prova senza mai nascondersi dietro un muro di incertezze, di paranoie e paura. Lui sa sempre cosa fare, dove dirigersi, come agire, cosa dire. È nato così: pieno di coraggio. Colma il silenzio, spegne ogni rumore, acqueta la mia anima tormentata e cosa più importante, mi fa sentire amata, mi fa capire che anche se intorno a me è buio, con lui al mio fianco, ho la possibilità di ritrovare la luce, la giusta direzione. Ecco perché l'ho voluto qui accanto a me, in questo viaggio che preannuncia solo cose difficili da sopportare come i ricordi.
All'alba un'auto enorme scura, dai vetri oscurati, tenuta a lucido, si è fermata davanti il cancello di casa. Io e Bradley siamo saliti e dentro, abbiamo trovato papà e Shannon. Il viaggio verso l'aeroporto è stato abbastanza silenzioso e apparentemente lungo per i miei sensi messi alla prova ad ogni cambiamento repentino dei miei battiti, dei miei pensieri.
Adesso siamo su un jet privato, seduti e sul punto di decollare, mentre dalla cabina di pilotaggio esce proprio Kay.
Fisico scolpito, abito elegante, capelli corti spettinati, sguardo freddo, calcolatore, attento come quello di un falco pronto all'attacco.
Mi irrigidisco nell'immediato. Non mi aspettavo di certo di vederlo prima del nostro arrivo a Oakville. Pensavo di poter fare almeno il viaggio in santa pace. Invece, dovrò combattere con questa sensazione che non mi abbandona ormai da diverse ore. Da quando l'ho rivisto in quella strada, il mio cuore non ne vuole proprio sapere di ascoltare la ragione. Continuo a farmi male. Continuo a ripiombare ad ogni respiro in quei ricordi che, si concludono quasi sempre nello stesso modo: con il mio cuore spezzato dalla verità. Quella crudele e dolorosa che mi ha distrutto la vita.
Uno ad uno prendiamo posto sui comodi sedili in pelle beige, coperti da un poggiatesta di cotone morbido con le iniziali dei Mikaelson. C'è odore di spray per ambienti alla vaniglia e l'aria condizionata accesa a regalare di tanto in tanto arriva con qualche spruzzo di freschezza.
Gli occhi color ghiaccio di Kay, si posano veloci e attenti sulla mano di Bradley, ferma sul mio ginocchio. Sono freddi, più di prima, quando ha fatto il suo ingresso con spavalderia. E infatti, dopo una manciata di secondi, sfoggia un ampio sorriso mostrando i denti bianchi e dritti rispetto a qualche anno fa, salutando Shannon con una stretta e una pacca sulla spalla e poi mio padre con molta galanteria e rispetto.
Quando però prova ad avvicinarsi anche a noi, chiudo in fretta gli occhi posando la testa nell'incavo del collo di Bradley che mi bacia in automatico la fronte, nascondendomi così con la sua protezione dal dolore che sento irradiarsi su tutto il corpo.
Kay si irrigidisce, saluta con un cenno del capo Bradley andandosi a sedere lontano da noi di qualche metro ma rimanendo pur sempre davanti a me, in bella mostra, con la sua giacca elegante blu scuro in grado di far risaltare i suoi occhi, e il suo bicchiere di bourbon già sistemato sul tavolo accanto al suo posto a sedere, l'unico, insieme ad una rivista e ad un vaso di fiori bianchi. Sembra un modello. Non ha smesso di avere il suo fascino sfrontato e naturale. Ma questo lo sa, è sempre stato consapevole del suo corpo e del potere che esercita con esso sulle persone.
Con un braccio circondo l'addome di Bradley che mi accarezza la schiena. Mi sto aggrappando a lui per non perdermi in inutili pensieri, che lascivi tentano di farmi piombare nel baratro.
«Hai sonno?», mi chiede alzandosi, tirando fuori qualcosa dal borsone che ci hanno permesso di salire in aereo.
«Un po'», ammetto.
«Dormi, ti sveglio io quando atterriamo», dice dandomi un altro bacio sulla fronte.
«Non vuoi un po' di compagnia?»
Allaccio la cintura preparandomi al decollo in cui stringo la sua mano.
«Sei stanca e hai bisogno di riposare. Magari mi appisolo anch'io un momento.»
Mi stringo a lui. «Insieme?»
«Si», mi sussurra baciandomi la testa.
Quando il pilota, dalla cabina, ci informa che possiamo sganciare le cinture, lo faccio immediatamente sentendomi meno tesa e più libera e, ne approfitto per stendermi sulle gambe di Bradley che, tira fuori l'oggetto preso dal borsone, ovvero, una coperta morbida azzurra, sistemandomela addosso con cura.
Chiudo gli occhi cercando di dormire, di cadere nel mondo dei sogni ma, continuo a percepirlo, freddo e deciso, il suo sguardo. E, anche se sento di essere osservata, alla fine il sonno e la stanchezza sembrano avere la meglio su di me, visto che mi addormento. Non sento più niente, solo il mio corpo pesante.

Come crepe sull'asfaltoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora