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Capita a tutti di perdersi. Io mi sono ritrovata più volte altrove, incapace di trovare la strada per tornare a casa, per ritrovarmi.
Più volte sono piombata in situazioni dove la mia razionalità mi ha aiutato a rialzarmi a non lasciarmi sconfiggere e ad essere sempre un passo avanti agli altri.
Mi sono comportata seguendo i miei principi, quelli che ho imparato strada facendo. Non mi sono mai soffermata sul pregiudizio ma adesso che vedo tutto da una prospettiva diversa, mi rendo conto di avere commesso molteplici errori da quando sono arrivata.
Sto aprendo gli occhi e un po' questo cuore che sta tornando libero di battere a tratti frenetico, e a tratti ad un ritmo costante. E sono spaventata da quello che potrebbe succedere da un istante all'altro. Non sono pronta ad un altro cambiamento così radicale o ad affrontare un pericolo come il pregiudizio o peggio: la vendetta.
Harper negli anni non è cambiata. È rimasta la bambina spietata pronta ad avere chiunque ai suoi piedi.
Di tanto in tanto, ho osservato anche lei attraverso i social e quello che ho notato non ha mai cambiato il mio parere.
Molti pensano che io stia solo esagerando con questo rancore che tengo dentro sin da quando ne ho memoria ma non sanno che ho cercato costantemente di perdonare quella parte di me ferita e umiliata. Perché come un po' tutti, anch'io vorrei essere ricordata come una persona e non come un fenomeno da baraccone.
«Ehi, a cosa stai pensando?»
Le dita di Kay sul viso mi disturbano.
Ha un tocco delicato e forte allo stesso tempo. Il contatto dei suoi polpastrelli caldi sulla mia pelle fredda mi provocano un qualcosa di simile all'ustione da contatto.
Stacco gli occhi dall'infinita serie di alberi che stiamo attraversando ormai da circa un'ora per guardarlo, rimproverandolo per avermi disturbata ponendomi una delle domande a cui non sempre riesco a rispondere.
Dentro la mia testa non volteggiano solo pensieri. Ci sono ricordi che rivivo costantemente e dalla quale non riesco a liberarmi.
«Non so come spiegare...»
«Provaci.»
«Ti è mai capitato di giudicare in fretta qualcuno e poi di ricrederti?»
Riflette un attimo trovando le parole giuste per rispondere.
«Con Shannon è successo. Ci odiavamo all'inizio ma solo perché eravamo stati cresciuti con quel pregiudizio che quasi sempre distrugge le persone e i rapporti sul nascere.»
«Davvero? Sembrate fratelli», dico incredula. «Che cosa vi ha fatto cambiare idea?»
Sorride guardando la strada ripensando a qualcosa di piacevole anche se prima credo di avere visto passare un'ombra sul suo viso.
«Lo siamo. Non di sangue ma lo siamo. E ci siamo anche fatti molto male. La storia è un po' lunga ma un giorno forse te la racconterò.»
Notandomi ancora pensierosa chiede: «Spiegami che cosa ti circola dentro la testa.»
Prendo un respiro. «Per anni ho vissuto con il pensiero di odiare ognuna delle persone che mi hanno fatto più soffrire o che hanno lasciato una cicatrice dentro di me.»
Cambia marcia. «È normale che tu abbia cambiato pensiero sulle persone. Non sei un robot e non puoi comandare i tuoi sentimenti. Non sentirti neanche in colpa ma pensa che sei umana. Pensa che tutto cambia, persino le persone. Altre invece rimangono le stesse e non puoi farci niente. Devi solo essere fedele a te stessa, ai tuoi principi, Erin.»
Mordo il labbro. «Mi sembra di tradire quella parte di me che ha vissuto per anni nel terrore e nel buio senza mai trovare una via d'uscita», ammetto.
Passa il dito sulle labbra. Un gesto spontaneo che fa sempre. «Ti sbagli. Tradisci te stessa quando fingi che sia tutto come prima pur sapendo che non è così.»
Guardo fuori dal finestrino dopo averlo abbassato facendo entrare nell'abitacolo un po' d'aria fresca.
Parlare così tranquillamente con Kay mi alleggerisce un peso che porto ormai da due settimane e forse anche da una vita. È come se mi capisse. Come se riuscisse a vedere quello che ho dentro. Lui mi vede. Nota il casino di scarabocchi che sono e per lui, per i suoi occhi, posso sembrare arte.
«Mi odi un po' meno e questo ti fa rabbia perché vorresti distruggermi e non ci riesci», sorride.
Nego velocemente davanti alla sua constatazione. «No, invece mi mette ansia.»
Si volta brevemente. «Spiegami, non credo di avere capito.»
Non ho paura di parlare di me. Ho paura di aprirmi a qualcuno così tanto da perdere me stessa. Perché aprirsi significa donare a quella persona una parte della tua anima. Aprirsi significa abbattere ogni singola barriera che hai costruito con tanta fatica, tante lacrime trattenute e tanta rabbia per tutta la vita.
Chiudo il finestrino mettendomi comoda sul sedile tirando leggermente la cintura prima di guardare il suo profilo, se ne sta dritto sulla schiena, concentrato sulla guida.
«Prima non dovevo preoccuparmi di ciò che provavo nei tuoi confronti. Non era odio, era qualcosa di forte che mi faceva scoppiare nel petto una feroce sensazione. Adesso non sento più questa cosa. È come se vedendoti si fosse spento quel fuoco. Ho capito però che dentro di me scatta qualcos'altro e mi spaventa con quanta facilità fai uscire un lato di me che non capisco, che non riesco a gestire.»
Gesticolo nervosamente come se questo potesse aiutarmi a rendere meglio il concetto di ciò che sto farneticando.
Kay però mi ascolta. Raccoglie i pensieri inumidendo le labbra. Non mi interrompe attendendo fino alla fine prima di prendere parola.
«Ti infastidisce così tanto?»
«Che riesci ad innervosirmi con poco e allo stesso tempo a calmarmi con niente? Si, abbastanza. Mi confondi», ammetto agitandomi.
Kay non risponde, abbozza però un sorriso che fa innescare dentro di me un forte calore. Si irradia praticamente ovunque sul mio corpo.
«Dimmi a cosa pensi», gli porgo una barretta ai cereali aprendone una anche per me.
«Continui a farti condizionare dal passato», dice brevemente, troppo. Non è da lui.
Rimango con il pezzo di barretta in bocca ad osservarlo di sbieco. «E che cosa dovrei fare? Dici di non essere più quello di prima ma dopo avere fatto un bel gesto rovini tutto perché è nella tua indole.»
«Questa spiegazione descrive più te che me, fidati.» Sembra scocciato dalla mia risposta.
Lo guardo male. «Stai dicendo che sono io quella a costruire un castello e a buttarlo giù allo stesso tempo?»
Annuisce. «Continui ad andare avanti tornando indietro perché ti blocca il pensiero che tutto possa cambiare. Ti sei abituata a vivere nel passato, con l'idea di provare ancora odio nei miei confronti o verso qualcun altro. E quando ti rendi conto di dovere metterci sopra una pietra, ti destabilizza.»
Il suo ragionamento non fa una piega.
Vedere le persone cambiare non fa male. Quello che fa davvero male è il ricordo di chi erano per te una volta. Ed è proprio questo a spaventarti, a trattenerti. È questa la ragione per cui non ti fidi.
Fidarsi di chiunque è uno sport estremamente pericoloso. Io non ci riesco. Non riesco a dare seconde possibilità perché la paura mi attanaglia quando penso con quanta facilità io sia sempre stata sostituita o trattata come una bambola di pezza da lasciare su una mensola ad impolverarsi. Non ci riesco perché andarsene è facile, trattare male è facile. È difficile affrontare le persone senza ferirle, avere la delicatezza di ascoltarle e capirle. Fidarsi non è facile quando hai troppi tagli nel cuore e nessuno spazio per poter amare.
Rimaniamo per un po' in silenzio ad osservare il paesaggio che continua a cambiare dopo avere attraversato piccole città, paesini e foreste.
Non viaggiamo solo lungo l'autostrada, Kay prende anche alcuni sentieri che ci immergono nella vegetazione fitta. I miei occhi catturano tutto quel verde, quei tronchi mastodontici, gli arbusti che si perdono in alto nel cielo che continua a mutare colore.
La mano di Kay ad un certo punto cerca la mia guancia. Non riesce proprio a smettere di trovare un contatto fisico con me.
«Dimmi che ti succede?»
«Niente», rispondo facendo una smorfia.
Nessuno sa esattamente cosa stai provando. Nessuno si rende conto che è da una vita che tieni tutto dentro per paura di scoppiare. Allora preferisci impazzire anziché parlare ad una massa di sordi che non sanno neanche leggere il tuo labiale.
E te ne stai lì in silenzio ad abbracciare i pensieri, le paure, i sogni, i desideri, la speranza. Ad annegare in un mare di paranoie ed ansia.
«Smettila di mentire. Non sono stupido. Ti sei incupita. Dimmi che cosa ti succede o giuro che mi fermo e ti lascio qui in mezzo al nulla e ti vengo a riprendere quando mi pare e piace», sbotta picchiando il pugno sul volante, innervosito dal mio atteggiamento così scostante.
Starmi accanto non è facile come sembra. Ci sono giorni in cui nemmeno io mi sopporto. Trovare qualcuno che sappia esattamente come prendermi credo sia raro se non improbabile ed impossibile. Ma ci sono momenti in cui sento che lui sia così vicino alla mia anima da poterla rapire e trascinare via, prima che io possa anche solo farmi male con le mie stupide scelte dettate dal senso di delusione che continua ad alimentare una rabbia dentro che non ha limiti.
«Posso sempre trovare un passaggio, non credi?»
Frena di colpo facendo scivolare l'auto di fianco, stridere gli pneumatici sull'asfalto bagnato creando un suono abbastanza forte che va a spezzare il silenzio. Qualche uccello risvegliato e spaventato dal rumore vola via. La cintura mi impedisce di spaccarmi la fronte sul vetro.
«Devi sempre trovare il modo di contraddirmi?»
Alzo il mento. «Mi sembra ovvio.»
Scuote la testa. «Sei una piaga. Dico sul serio. E non mi importa se ti sto offendendo ma sei davvero un problema», sbotta. «Non te ne accorgi ma continui a...»
«Allora portami indietro, lasciami a casa e non cercarmi più. Non avvicinarti più.»
Nasconde bene la reazione negativa sotto un sorriso che sfoggia sollevando l'angolo delle labbra. «Furba, ma non abbastanza. Ti ricordo che...»
«Sei in debito con me», lo scimmiotto mentre rimette in moto l'auto riprendendo il viaggio.
«Si, si, questa devo averla già sentita. Sembri un disco rotto. Ma non capisco perché ti ostini così tanto con me.»
«Perché non capisci che ormai ci sei dentro fino al collo», replica usando un tono rude, abbastanza alto, cambiando marcia, aumentando la velocità quando nota che siamo soli su una strada abbastanza retta e priva di scalfi o dossi da evitare.
«Dentro che cosa? Sai benissimo che non ho accettato la tua proposta e non lo farò adesso perché noi due non andremo mai d'accordo. Non ci scambieremo mai dei regali e non ci terremo mai per mano davanti alla gente. Saremo sempre quelli che si urlano addosso.»
Contrae la mandibola. «E quello che è successo questa notte come me lo spieghi?»
Merda!
Riesce sempre a zittirmi, a mettermi al tappeto per avere l'ultima parola. Mi spiazza, mi fa innervosire questo suo lato perché trova sempre la risposta ad ogni dubbio. Ma sono pronta a combattere.
«Carità», lo sfido. «Pietà. In fondo avevi detto che quello che succedeva sarebbe rimasto dentro quella casa. Anche se non c'è stato niente di così clamoroso.»
Preme il piede sull'acceleratore ma non mi spavento e accorgendosene rallenta sbuffando. «Non prendermi in giro», dice tra i denti. «Ti è pure piaciuto.»
«Non sei l'unico ragazzo a sapere baciare, mi dispiace per te.»
Mi guarda male strizzando leggermente la palpebra. «Sarò l'unico a metterti a tacere», minaccia.
Rido. «Mi farai fuori in questo posto da storia d'amore? Rovinerai un capolavoro che ha emozionato intere generazioni?»
Nasconde il sorriso. «Si, cambieranno film. Lo chiameranno: la provocazione andata a male di Erin Wilson.»
Rido più forte tappandomi la bocca. La sua mano toglie la mia e smetto agitandomi sul sedile.
«Sai che ti odio anch'io?»
Annuisco. «E mi va bene così. Almeno non dobbiamo fingere di andare d'accordo o provare disgusto e nasconderlo.»
Per un momento non parla. Preme il dito sul tasto del calorifero abbassando un po' la temperatura.
«Io non provo disgusto quando ti bacio.»
Guardo le dita. «Neanche io, altrimenti non ti avrei mai baciato. Ma ciò non toglie il fatto che non siamo compatibili io e te. Siamo come bloccati in questo limbo che vacilla da una parte all'altra.»
«E se ti dicessi che mento quando dico che ti odio?»
Mi sta chiaramente mettendo alla prova.
«Spiegati meglio», lo metto a mia volta alle strette.
Caccia in bocca una gomma. «Che cosa c'è da spiegare? Se per esempio ti dicessi che non ti odio?»
«Mi sembrerebbe a dir poco strano», gesticolo.
«Perché? Sono passati anni da quando ti davo il tormento», svolta a sinistra. «Le cose come ti ho detto prima e forse anche ripetuto più volte, cambiano. Devi solo accettare il fatto che ci sono cose che non puoi controllare. Me ad esempio...»
Nasconde il sorriso ma io lo vedo chiaramente.
«Quindi mi stai dicendo che potresti non odiarmi e che menti?»
«Si, ma non mento. Con te sono sempre stato sincero.»
Mordo il labbro guardando davanti a me. «Che cosa ti ha fatto cambiare idea?»
«Forse non ti ho mai odiata», sussurra.
Continuo a riflettere su queste parole cercando il significato nascosto fino a quando, dopo ben tre ore e dieci minuti di viaggio, giungiamo finalmente nelle vicinanze di Forks.
La descrizione del romanzo con i luoghi qui presenti è così realistica da stupirmi.
Guardo Kay più che concentrato.
Percependo il mio sguardo si volta.
«Ti rendi conto che finiamo per litigare sempre per tutto?»
«È un problema per te? Le coppie fanno anche questo.»
«Innanzitutto noi non siamo una coppia. E poi si, è un problema perché non riusciamo a stare tranquilli.»
«Sai che cosa penso? Che preferisco litigare continuamente con te, sentirmi nervoso e sul punto di scoppiare e urlarti addosso e poi farmi perdonare anche in modo stupido piuttosto che ritrovarmi con un'altra a sorridere fintamente e per niente. Mi piace di più farti la guerra.»
Arrossisco guardando da un'altra parte mentre ci fermiamo. Kay ha appena detto una cosa che mi ha trafitto il cuore.
Nessuno preferisce me. Nessuno ha mai scelto me. Tutti hanno sempre preferito andare altrove, scegliere altro, abbandonarmi. Sono sempre stata invisibile o quella da prendere in giro per i suoi strani modi di fare. Nessuno si è mai accorto del mio mondo colorato perché si sono sempre soffermati sul grigiore che porto addosso.
Sentire queste parole, mi destabilizza. Scioglie il ghiaccio che mi ha circondato il cuore. Adesso oltre a delle minuscole crepe sta iniziando a gocciolare e mi spaventa. Vorrei avere il cuore di pietra, almeno non correrei il rischio di sciogliermi.
Inizia anche ad essermi chiara la sua risposta di prima. Il suo discorso.
Batto le palpebre facendo finta di non avere sentito. In parte per non rispondere con una battuta delle mie rovinando le sue bellissime parole.
Dopo avere viaggiato tra le varie città e le foreste lussureggianti, il paesaggio che si para davanti, ricco di alberi alti, acqua e spiaggia, mi mozza il fiato.
«Tanto lo so che ti emozioni con poco», mi sussurra all'orecchio intuendo il mio disagio.
Mi volto e i nostri visi sono a pochi centimetri di distanza. Persino il suo atteggiamento sembra vacillare. Il suo respiro cambia, le sue pupille si dilatano e le narici si muovono.
«Emozionarsi non significa niente se poi trovi il modo di farmi salire l'istinto omicida», replico aprendo la portiera per scappare fuori, mettere finalmente piede sulla terra ferma allontanandomi da quel brivido pericoloso che continua ad attaccarmisi addosso con una forza straordinariamente seducente.
Sorrido come una stupida, più che eccitata alla vista della spiaggia e del costone roccioso a pochi passi.
La corrente non è forte. L'oceano sembra apparentemente calmo.
Stendo le braccia in alto respirando a pieni polmoni l'aria di salsedine sentendomi per un momento di nuovo a casa, nonostante l'ambiente non sia così caldo.
Mi ritrovo a sorridere come una stupita mentre lascio entrare il calore di un'emozione dentro di me. Una delle poche che posso ancora permettermi o penso di meritare e di potere accettare.
Mi avvicino subito a riva abbassandomi sulle ginocchia, premendo il palmo sulla sabbia bagnata prima che un'onda la trascini via.
Ancora una volta riempio i polmoni gonfiando il petto di aria che mi ricorda tanto il posto da cui vengo e in cui mi piacerebbe tanto tornare senza dovermi preoccupare di apparire strana per il colore dei miei capelli o per chi frequento.
Torno da Kay scuotendo le mani per togliere la sabbia.
Mi sta osservando standosene appoggiato allo sportello dell'auto. Mi fermo a pochi passi da lui.
«Stai sorridendo da più di un minuto. Posso dire di avere visto Erin Wilson un po' più allegra e meno tenebrosa? Mi sto quasi spaventando.»
Stringo le mani dietro la schiena oscillando con le spalle come una bambina. «Mi era mancato l'odore della spiaggia. La sensazione dei piedi che affondano nella sabbia. Il rumore delle onde che si infrangono sulla costa.»
Chiudo gli occhi emettendo un verso di pura estasi.
Sento il suo fiato caldo sulla pelle e mi blocco prima di sollevare lentamente le palpebre per aprire gli occhi e sbirciare, trovandolo davanti a me. Le sue mani si posano sui miei fianchi avvicinandomi.
«Un bacio me lo merito», sussurra a fior di labbra. «Sempre se non mi odi così tanto.»
Alzandomi sulle punte gli stampo un bacio sulla guancia e ridacchiando, staccandomi da lui, corro di nuovo a riva dove togliendomi le scarpe e i vestiti, mi preparo a lanciarmi in acqua.
Non vedo l'ora di ritrovarmi immersa e a mio agio in un ambiente che amo alla follia e che allo stesso tempo detesto perché ho sempre avuto paura di non riuscire a toccare il fondo.
Kay mi ferma appena in tempo. «Prima abbiamo qualcos'altro in programma, pazzoide», mi avvisa indicando il costone roccioso.
Vi si accede da una stradina interna al bosco e termina con un tuffo di qualche metro.
Non ho mai fatto niente del genere. «Vuoi imitare quelli del film, sei matto?»
Ghigna guardandomi dall'alto in basso. «Hai paura? Sono già stato qui e non ci sono scogli.»
«Cosa? Io paura? No, certo che no.»
«Allora vieni con me», inizia a spogliarsi davanti a me.
Quando sfila la maglietta guarda la sua spalla con un certo disgusto. Distolgo lo sguardo per non metterlo in imbarazzo.
Dopo pochi istanti mi afferra per mano. Camminiamo dentro il boschetto, facendo attenzione a non ferirci a causa degli arbusti, delle radici che spuntano dal terreno, sbrigandoci perché il freddo taglia la pelle più di una lama.
Ci muoviamo tra gli alberi i cui tronchi sono così massicci da potercisi scaldare per tutto l'inverno con uno solo di questi.
Sfioro una delle cortecce piene di resina e muschio alzando gli occhi sui rami, sulle foglie a coprire il cielo. Ci avviciniamo allo strapiombo. Il rumore sommesso è come una colonna sonora messa in sottofondo.
Raggiungiamo la piattaforma che funziona da trampolino di lancio. Mi avvicino al precipizio guardando in basso, sentendo le vertigini.
Non vedo scogli, solo un oceano che sembra troppo buio da questa prospettiva e pronto ad inghiottirci.
Kay mi stringe la mano. «Lo faremo insieme. Al mio tre...», prende fiato mettendosi in posizione.
«Uno... due...»
Prendendo una breve rincorsa e dandoci la spinta ci lanciamo nel vuoto. Il volo dura una manciata di secondi prima del duro impatto con l'acqua gelata a togliermi il respiro.
Quando riemergo, lo cerco ma non lo trovo. Mi abbraccio vagando ovunque con gli occhi. «Kay», lo chiamo cercando di tenermi a galla mentre lotto internamente con la mia fobia.
«Kay», alzo il tono ma la risposta mi arriva dal suono provocato dalle onde e da qualche uccello che vola libero nell'aria.
Quasi nel panico mi volto avendo un sussulto. Kay se ne sta con il mento sotto il pelo dell'acqua, gli occhi fissi nei miei. Sembra un coccodrillo in questo momento. Mi fa agitare.
Tolgo però dalla testa questa immagine avvicinandomi a lui più che timida.
Ci sono sguardi che somigliano a scosse di terremoto improvvise. Ti travolgono. Ti spaventano. Il suo è sempre stato in grado di togliermi il fiato.
«Lo rifacciamo? È stato pazzesco!»
Provo ad uscire dall'acqua per ritornare lì sopra. Kay finalmente sorride sollevandomi. Apro le braccia e quando mi lascia andare facendomi cadere in acqua mi abbraccio a lui avvinghiandomi come una scimmia al suo corpo statuario.
Sento le guance incendiarsi ma non ho il coraggio di staccarmi. Evito persino di guardarlo e perdermi di nuovo.
«Prima ho mentito. Ho paura dell'acqua alta e del mare agitato perché una volta ho rischiato di annegare.»
«Per questo ti sei appena avvinghiata come un koala?»
Annuisco. «Scusa, non sapevo come dirtelo.»
Piega la testa di lato tenendoci entrambi a galla. «Non devi mai imbarazzarti. Hai capito? È una cosa normale avere paura. Però sei qui, sei in mezzo all'oceano e stai nuotando ancora, no?»
«Si», sussurro ammirata.
A volte sembra un'altra persona. Accantona quel lato brusco del suo carattere mostrando un nuovo aspetto della sua personalità. Non mi dispiace quando è così... adulto.
Qualcosa deve averlo fatto cambiare, mi dico continuando a reggermi alle sue spalle, con il mento sulla superficie e il corpo attaccato al suo.
«Ehi, so anche che c'è qualcosa che mi nascondi. Che diavolo ti hanno fatto?»
«Forse mi sono rotta così tante volte da non riuscire più ad incastrare i pezzi», mormoro.
Ho imparato che una cosa quando si rompe non ritorna come prima. Non importa con quanto impegno cerchi di aggiustarla, rimarrà una cosa rotta o riparata, spezzata per sempre a metà e unita da un collante che mostrerà costantemente la lesione, la crepa dalla quale per un attimo è uscito qualcosa facendo entrare l'oscurità nel cuore. Ma il problema non è il rompersi. Il problema è il sapere rimettere insieme ogni singolo coccio senza farsi male.
Sento il suo fiato caldo pervadere ogni poro, ogni fibra, ogni cellula del mio corpo. Percepisco il cambiamento del suo respiro.
«Torniamo lì sopra?»
«Magari più tardi, adesso usciamo», prende in mano la situazione parlando con un tono roco, basso, profondo, portandomi a riva.
Tremo come una foglia ma guardo ancora il punto dalla quale siamo saltati e il posto che ci circonda: isolato, tranquillo, meraviglioso. La spiaggia dei Quileute.
Kay si sposta nell'angolo in cui si trova un tronco caduto e usato come poltrona probabilmente dai turisti che vengono a visitarlo.
Dispone delle pietre circolarmente e al centro accende un fuoco usando della carta e dei legnetti raccolti a poca distanza.
Si avvicina infreddolito per capire come mai me ne sto ancora ferma.
«Oh mio Dio, quello cos'è?», indico un punto lontano.
«Cosa...»
Non appena si avvicina lo spingo. Barcolla indietro prima di cadere finendo di nuovo in acqua con un tonfo.
Resta a bocca aperta quando riaffiora passando la mano sul viso togliendosi le gocce d'acqua salata dalla pelle. Batte i denti infreddolito. Incrocia il mio sguardo rivolgendomi un mezzo sorriso che mi fa quasi strillare.
«Sai che sto per vendicarmi?»
«Prima devi riuscire a prendermi», lo provoco.
Prima ancora che io riesca a fuggire, si lancia in avanti e mi afferra per la vita. Grido divertita prima di essere lanciata e sommersa dall'acqua.
È talmente fredda che è come ricevere piccole punture sulla pelle.
Riemergo boccheggiando e lui sta ridendo.
Cerco di riprendermi. «Ti odio.»
Il suo petto continua ad essere scosso dalla risata che rimbomba intorno come una sinfonia piacevole da ascoltare e da mettere in ripetizione.
«Mettiti il fila allora. Non sei la sola.»
Infreddolito si reca in auto recuperando degli asciugamani e dei plaid con cui ci asciughiamo prima di rivestirci e metterci davanti al fuoco per non morire di freddo.
Stretta sotto il plaid, con una tazza calda di cioccolata generosamente versata dal termos, ammiro senza sosta questo piccolo spazio.
È un sogno ad occhi aperti.
«Che bella tranquillità», mi ritrovo a dire sottovoce.
Chiudo gli occhi godendomi il momento lasciandomi infondere la calma mentre ricordo come era passare la giornata dai nonni. La loro casa era accanto alla nostra. Ma non era l'unico momento in cui mi sentivo al sicuro. Succedeva quando me ne andavo in spiaggia all'alba e mi sedevo ad ammirare i primi spiragli di luce immersa nel silenzio, nella pace più assoluta.
Man mano che mi abbandono al ricordo, i muscoli si rilassano e riesco finalmente a riscaldarmi.
Mugolo piacevolmente.
«Quanto tempo è passato dall'ultima volta che ti sei sentita così?»
«Da quando sono arrivata oserei dire.»
Riflette sulla mia risposta poi alza il viso annusando l'aria, lo fa per mettersi nei miei panni. «E ti senti libera», conclude.
Annuisco bevendo un sorso di cioccolata. «Si.»
«Ma non volevi venire insieme a me, perché?»
Mi stringo nelle spalle. «Non è per te», inizio posando il bicchiere. «È perché adesso so che non voglio più tornare a casa», ammetto con una smorfia.
Appare sorpreso. «Odi così tanto quel posto?»
Guardo le dita grattando lo smalto. «Abbastanza da non volere tornare a casa direi.»
Non capisce. «Che cosa ti è successo?» Chiede ancora una volta.
Prendo fiato. «Le cose cambiano in fretta. A volte non ti accorgi nemmeno che qualcosa è cambiato dentro e fuori di te. Ti credi lo stesso, che è tutto come sempre. Invece un giorno alzi lo sguardo e guardandoti ti rendi conto che niente è come prima.»
«Prima o poi ogni cosa va in rovina. Non importa con quanta costanza tu continui a tenere in piedi i pezzi, arriva lo stesso quella folata di vento in grado di farti barcollare o cadere ancora. E tu non puoi fare altro che resistere», conclude ancora una volta al posto mio fissando le fiamme.
È allarmante la facilità con cui mi legge dentro. Ne sono sempre più convinta e spaventata.
«Ti abbiamo ferita così tanto...»
«Pensi che mi passerà mai?»
«Cosa...»
«Questa sensazione che mi tormenta. Questo senso di sfiducia continuo verso le persone. Io... la verità è che mi piacerebbe solo non provare più niente, niente di così negativo.»
Mi passa un involucro con la stagnola in cui all'interno vi è un sandwich.
«Il segreto è passare sopra le cose senza però prendere tutto con leggerezza.»
Mastico lentamente. «È così che ti lasci ogni cosa alle spalle?»
Sorride. «Una cazzata alla volta, già...»
Rido. «Qual è la cazzata di cui ti penti di più?»
Passa la mano tra i capelli umidi grattandosi la nuca. «Domanda difficile. Ne ho fatte troppe per ricordarle tutte ma non mi sono mai pentito. Sbagliare ti lascia sempre qualcosa dentro che sia un segno o un insegnamento, non importa. Quello che conta è andare avanti senza mai lasciarsi condizionare da ciò che c'è stato.»
Mi passa l'indice sul naso. Un gesto tenero, non da lui.
«E la tua?»
«Probabilmente quella che mi ha spedita qui. Se ti stai chiedendo se me ne pento, be'... forse lo farò per tutta la vita.»
È curioso. «Ovvero?»
«Non tolleravo la situazione in cui mi sono trovata così sono scappata un momento di casa. Ho fumato, mi sono ubriacata con una bottiglia costosa di vino e... accidentalmente ho incendiato la casa e vomitato sulle scarpe del compagno di mia madre.»
Trattiene una risata. «Sul serio? No, mi stai prendendo in giro.»
Vedendomi seria spalanca gli occhi. «Ti hanno spedita da tuo padre per questo?» ride. «Però... ti sei davvero impegnata.»
Gioco con il dito sulla sabbia formando i segni di un infinito in cui non credo.
«Per punirmi mia madre mi ha spedita come un pacco da mio padre.»
Kay deglutisce mandando giù il boccone del sandwich. «Allora sei una tosta, adesso capisco perché Shannon ti vuole nel gruppo.»
Inarco un sopracciglio. «Non se ne parla. Non mi metterò più nei guai. Ho già rischiato abbastanza. Inoltre, non credo di essere la persona adatta.»
Mi guarda attentamente. E succede ancora. Mi sento trascinata da una piacevole sensazione che mi si ripercuote sulla pelle sottoforma di pura corrente elettrica in grado di stritolarmi il cuore e scombussolarmi i pensieri.
«Che c'è?»
«Hai lasciato qualcuno lì?»
«Il mio unico amico.»
Trattiene aria. «Solo amico?»
«Si, ero con lui quella sera in spiaggia prima che questo incubo avesse inizio. Abbiamo fumato e parlato poi mia nonna ci ha interrotti.»
Si fa attento. «Che genere di amico?»
«Mi ascoltava quando non era fatto e mi dava dei buoni consigli...» boccheggio.
«Cosa...», cerca di capire.
«Poco prima mi aveva detto di fuggire», corrugo la fronte. «Era davvero un sensitivo», rido.
Kay sembra frastornato.
«Non prendermi per pazza. È una lunga. Forse un giorno te lo racconterò», mi affretto a rispondere ripetendo le sue parole.
Si alza porgendomi la mano. «Vieni.»
La guardo prima di posarvi la mia facendomi aiutare a sollevarmi rimanendo sotto il calore del plaid.
«Me la racconterai quando ti fiderai di me?»
Fingo di pensarci sopra. «Forse», replico lasciando che mi stringa le braccia sul fondo schiena iniziando ad oscillare.
Indugio prima di circondargli il collo.
Ci guardiamo negli occhi. L'aria fresca a sferzarci sulla pelle. Il venticello leggero a scompigliarmi i capelli.
Mi sistema una ciocca dietro l'orecchio indugiando. «Non voglio più portarti a casa», dice sottovoce. «Sei così serena qui», continua guardando il sole ormai sul punto di nascondersi dentro l'oceano.
Il cielo è pieno di sfumature che virano dal rosso acceso al rosa. Qualche nuvola minaccia pioggia in questa spiaggia, una delle più piovose.
Mi volto a guardarlo con la guancia premuta contro il suo petto. Sento forte il suo cuore che batte. Un suono che mi si riverbera addosso in un formicolio piacevole sulla pelle. Tengo il labbro tra i denti cercando di non arrossire, di non sentirmi euforica e piena di adrenalina. Principalmente freno ogni istinto che mi spinge verso di lui.
«Non devi per forza riportarmi a casa.»
Abbassa il viso e alzando il mio aspetto che mi dica qualcosa.
«Vuoi restare?»
«Possiamo?»
Finge di pensarci e lo spingo leggermente ma non si muove di un centimetro continuando a tenermi stretta tra le sue braccia. «Chiama tuo padre e digli che dormi fuori o che torni domani per andare a scuola...»
Nego. «Domani siamo al parco. La punizione, non so se ricordi.»
Gratta la tempia. «Fallo lo stesso. Credo voglia sapere che stai bene e che nonostante tu sia arrabbiata con lui, vuoi renderlo partecipe.»
Rifletto. «Devo proprio?»
Mi guarda con rimprovero.
Sbuffo. «Ok, ok», dico provando a staccarmi.
Me lo impedisce e lo guardo male. «Che cosa hai in mente?»
«Niente.»
Nego. «Il tuo concetto di niente si riduce sempre ad una cazzata. Forza!»
Sorride guardandomi ammirato. Mi fa sentire strana. «Che c'è?»
«Pensi di odiarmi ma non ti accorgi che come mi capisci al volo tu non ci riesce quasi nessuno», mi risponde.
Passo la mano sul suo petto togliendo dei granelli invisibili. «Ed è positivo?»
«Direi che è pericoloso», senza darmi il tempo sollevandomi come se fossi priva di peso, corre verso l'acqua.
Strillo agitando le gambe, stringendomi a lui. «No, no...»
L'acqua ci sommerge e lui ride chiaramente su di giri.
Esco velocemente, quasi correndo, fermandomi davanti al fuoco continuando a battere i denti e a tremare.
Mi volto e lui sta uscendo dall'acqua come uno di quei modelli delle pubblicità. La maglietta attaccata alla pelle, i capelli pieni di gocce che cadono ovunque quando li scompiglia con le dita, lo sguardo da predatore e il mio cuore che accelera, il mio respiro che si spezza.
Avanza deciso verso di me.
Indietreggio. «Sei uno stronzo!»
Ghigna. «Non ti avevo assicurato che non avrei fatto nessuna cazzata.»
Alzo gli occhi al cielo. «Adesso ci toccherà asciugare i vestiti e starcene al freddo "mister cazzata". Grazie tante!»
Ride spogliandosi senza problemi davanti a me. «Per me va bene, per te?»
Mi volto fissando il fuoco per impedirmi di ammirare le sue forme che sembrano scolpite nel marmo, poi mi spoglio avvolgendomi addosso il plaid. «Oh anche per me, che sarà mai», brontolo battendo i denti.
Si sposta in auto tornando con il mio telefono. «Chiama tuo padre, scheggia.»
Sblocco il telefono fissando per un momento lo schermo. Indugio poco prima di chiamarlo attendendo la sua sfuriata.
«Erin, dove diavolo sei?», contiene il tono di voce.
«Ti ho chiamato solo per dirti che domani sarò al parco. Sto bene e niente...»
Sento il suo sospiro. «Sei con lui?»
«Sono in un posto tranquillo ed è quello che conta, non credi?»
Mantiene la calma. «Va bene. Hai almeno mangiato?»
Alzo gli occhi al cielo. Con tutte le domande che avrebbe potuto farmi sceglie proprio questa. «Si, ho mangiato e mi sto divertendo. Domani tornerò alla dura realtà e potrai chiudermi in casa e proibirmi di frequentare chi voglio», brontolo.
Attende un momento. «Affronteremo l'argomento. Sta attenta, ok?»
Annuisco come se fosse qui a guardarmi. Poi ripenso alle parole di Kay prima della partenza. «Si. Un'altra cosa...», prendo fiato. «Sta attento anche tu.»
«Devo andare», risponde in fretta. Qualcuno lo sta chiamando.
«Già...», riaggancio sentendomi delusa.
Kay se ne accorge e togliendomi il telefono dalle mani, circondandomi la schiena con un braccio, mi avvicina a sé facendomi appoggiare la testa sulla sua spalla.
«Allora... facciamo un'altro bagno o bisticciamo? Che cosa c'è in programma?»
Avvicino il suo viso premendo la fronte sulle sue labbra. La sua mano però mi costringe a sollevarlo e mi bacia.
Lo fermo tenendo sulle labbra il sapore del suo bacio così pieno di passione. «Non puoi baciarmi quando ti pare e piace.»
Sorride in modo sghembo. «Vedilo come una voce scritta in fondo alla pagina sul programma. Magari con l'asterisco.»
Lo spingo e mi attira su di sé.
Mi ritrovo a cavalcioni su di lui, accaldata e tremolante allo stesso tempo.
Sistema la coperta sulle mie spalle avvicinandomi. «Che ne dici se litighiamo domani?»
Mi scappa un sorriso anziché rispondere duramente e lui protendendosi prova ancora a baciarmi. Poso le dita sulle sue labbra trattenendolo. «Mi metterai nei guai e farò delle cazzate a causa tua.»
«Lo so. E la cosa non mi dispiace, sirenetta.»

🖤

Come crepe sull'asfaltoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora