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No. Non posso credere di avere detto una simile sciocchezza. Non posso credere di avere accettato. Di essere scesa a patti con il diavolo. Di avere buttato ogni sacrificio, tutta la forza racimolata per resistere.
«Hai accettato?»
Creo una distanza tra me e lui pur avendo paura di perdere quello che mi ha fatto stare bene. Forse sto provando più di quello che solitamente permetto a me stessa e questo mi spaventa.
Con il tempo sono diventata brava a colmare i buchi che ho dentro e adesso mi sembra di non averlo fatto abbastanza. Perché mi basta guardarlo anche solo per un istante per rendermi conto che non c'è distanza che tenga quando due cuori iniziano a battere allo stesso ritmo creando un casino assurdo dentro, fuori.
Il cuore prende a battere ad un ritmo scostante. Il rumore rischia di squarciarmi il petto in due facendolo uscire fuori dandogli la dimostrazione di quello che mi fa provare.
Non ricevendo risposta, Kay chiude gli occhi inspirando lentamente, come se stesse assaporando la vittoria. Non esulta apertamente ma è quello che farebbe. Ne sono più che certa.
Da quanto lo bramava? Da quanto aspettava che arrivasse questo momento?
Adesso eccoci: io nel panico con le ginocchia che tremano e lui non ancora in sé enormemente sorpreso e soddisfatto del risultato ottenuto. Ma se pensa di potere avere altro potere su di me, si sbaglia.
«Mi hai detto di sì?»
Scende un lungo silenzio. Dapprima non riesco a pensare a niente di tutto ciò che al contrario mi piacerebbe urlargli fuori, mentre lui continua a fissarmi con le labbra sigillate, come se mi stesse mettendo alla prova.
I suoi occhi sono di un azzurro intenso. Ghiaccio puro. Come il cielo sopra i ghiacciai in una giornata di sole, d'estate.
Tiro indietro la testa ignorando tutto il resto che ci circonda. Per un attimo non sento niente. «Vuoi che lo ripeta per incrementare il tuo ego?», sospiro provando a staccarmi dalle sue braccia come acciaio. «Non per rovinarti il momento ma, non immaginare scenari che non accadranno mai. Non dopo quello a cui ho appena assistito. Sarà tutto finto e mi userai solo quando ne avrai bisogno», mi ritrovo ad aggiungere per specificare evitando fraintendimenti di ogni tipo con lui. Uso persino un tono distaccato, disinteressato.
Non gli piace di certo questa mia reazione. Infatti non mi lascia andare.
Appare lucido, finalmente in sé. Batte un paio di volte le palpebre guardandomi duramente. Come se avesse appena ricevuto una delusione.
«Certo», ringhia nascondendo bene lo scontento. «A proposito, ti avevo chiesto di non muoverti. Non avresti dovuto stare qui», passa all'attacco.
Faccio una smorfia. «Ah no? Mi hai lasciata in compagnia di Shannon scaricandomi come se fossi niente, come se per te non contassi. Te ne sei andato per ore e se non fossi corsa qui, non avrei mai visto quello che avevi da fare con così tanta urgenza da lasciarmi con il tuo amico che, per inciso, mi vorrebbe più per sé che con te. Se volevi regolare i conti con Mason, potevi prima lasciarmi a casa o darmi subito una spiegazione. Almeno ci saremmo risparmiati ogni cosa. Cristo, non eri più tu Kay. Non lo eri. E forse è stata la cosa migliore raggiungerti e vederti. Almeno adesso so che non voglio avere a che fare con voi».
Contrae la mascella. «Eppure sei corsa a fermarmi. Mi hai appena dato la tua parola senza troppe cerimonie. Niente ti vietava di andartene», risponde acido.
«L'ho fatto per riportarti qui perché non eri lucido. Non eri più tu. Eri come un animale a cui hanno tolto il cucciolo», ribatto usando lo stesso tono e atteggiamento con cui si sta rivolgendo a me.
In un attimo i suoi occhi diventano gelo polare. I lineamenti si induriscono. «Non te l'ho chiesto io di fermarmi! Quello che ti avevo chiesto era semplice, ma non ascolti! Ti avevo chiesto di smetterla e che ti avrei spiegato tutto dopo avere perlustrato la zona, non potevo sapere che mi sarei imbattuto nei King e che avrei affrontato Mason. Invece tu che cosa hai fatto? Come al solito hai agito sconsideratamente rischiando di farti male e hai assistito a tutto chiedendomi di portarti via! Ma questo non lo mettiamo in conto, non è vero? Sono sempre gli altri ad obbligarti. Sono sempre io a metterti alle strette Non sei tu che decidi perché lo vuoi, vero?», replica sprezzante mettendomi in una posizione di svantaggio.
Mi stacco da lui sottraendomi alla sua presa. «Stai solo cambiando discorso. Io non ho ancora ricevuto alcuna risposta delle tante che ti ho fatto. Ho solo assistito alla cosa più orribile della mia vita», urlo superandolo dopo avergli dato una spallata di proposito e averlo guardato con astio. «E scusa tanto se ho chiesto di non assistere mentre marchiavate come un animale Mason!»
Io faccio tesoro di ogni suo gesto che possa essere un abbraccio, un sorriso, un semplice e casto bacio sulla fronte. Tengo dentro un po' del suo profumo, della sua voce, dei brividi che mi trasmette perché è riuscito a farmi sentire un po' meno persa e spenta. Ma siamo troppo lontani. Siamo diversi. Non possiamo vivere se non un rapporto impossibile.
Mi blocca afferrandomi per un gomito, avvicinandomi a sé braccandomi con le braccia intorno alla schiena. «Dove credi di andare?»
Premo la mano sul suo petto evitando di immaginare i lividi che tra non molto, quasi sicuramente, compariranno uno dietro l'altro riempiendo ogni parte del suo corpo. «Me ne ritorno a casa. Non voglio più stare in questo posto. C'è il coprifuoco e ho permesso a mio padre che non avrei più fatto cazzate. Quindi me ne vado», rispondo decisa provando a divincolarmi dalla sua stretta.
Il suo trattenermi mi innervosisce facendomi sentire al contempo ubriaca. Mi provoca sempre questo strano effetto, cosa che prima non succedeva.
«Hai così tanta fretta? Non sono ancora le otto e mezzo. C'è tempo», mi fa notare guardando poi in direzione di Shannon.
Non lo guardo mirando al mio obiettivo: il sentiero che mi riporterà a casa a breve. «Si, voglio allontanarmi», rispondo impulsivamente.
«E per quale ragione?»
«Perché non voglio stare con te, con tutti voi. Quindi adesso lasciami andare se non vuoi che chiami il signor Bolton accusandoti di rapimento. Conosco la strada, so come arrivare a casa da sola quindi se non vuoi correre alcun rischio di ritrovarti dietro le sbarre lasciami andare», sbotto.
Stringe la mano sul mio mento facendomi girare per guardarlo. Abbassa il viso. Il suo fiato caldo ad arroventarmi la pelle. «Perché devi sempre complicare le cose?»
Provo a spingerlo. «Perché devi essere così insistente?», rispondo alla sua domanda con un'altra domanda facendogli intuire che non ho alcuna intenzione di cedere.
Increspa le labbra. «Sai che mi piaci. Eppure per qualche assurda ragione ancora non mi credi. Forse illudi te stessa che questo non sia possibile. Un giorno però inizierai a farlo, capirai che ti ho dimostrato...»
Il sangue mi arriva dritto al cervello e la bile in bocca facendomi andare in surriscaldamento. «Che cosa? Che sei forte e ti piace piegare le persone al tuo volere? Che sei così egocentrico da non accorgerti che quello che hai fatto non è altro che un errore e non una cosa di cui farsi vanto?», alzo il tono della voce di qualche ottava.
Kay sta già scrollando la testa ma ho notato che ha avuto un sussulto. «No, io non intendevo sentirmi...»
«L'hai fatto. Ti sei sentito forte, spietato, superiore e imbattibile, vero?»
«Si, anche se...»
Scuoto la testa fermandolo prima che mi provochi così tanta rabbia da spaccargli la faccia. «È questo il tuo problema! Ecco perché non siamo compatibili io e te. Sei un bastardo, proprio come lui», sibilo a pochi centimetri dal suo viso digrignando i denti.
Per tutta risposta stringe di nuovo il mio mento con la mano avvicinandosi così tanto da farmi sentire il calore delle sue morbide labbra sulle mie. «Davvero? Mi credi come lui? Almeno ti rendi conto del guaio in cui ti stai cacciando sin dal primo istante? Avresti dovuto ragionare prima di salire sulla mia moto, parlarmi al cinema, stuzzicandomi sotto le lenzuola».
Soffio dal naso con le guance rosse e non dalla vergogna. «Almeno io sono sempre consapevole di ciò che faccio quando lo faccio. Non mi difendo usando la forza se qualcuno mi sta solo stuzzicando proprio per avere una mia reazione», lo provoco.
Perché? La risposta è semplice: sono arrabbiata e ho ancora una paura fottuta che mi scorre nelle vene come veleno. L'unico modo che ho di affrontare questa spiacevole situazione è reagendo in questo modo. Facendogli male con le parole proprio come lui ha fatto prima con i gesti quando era fuori di sé.
Kay cerca però una motivazione valida attraversando le mie iridi che si sono arrossate e annebbiate per pochi istanti quando era ancora tutto confuso. Lecca le labbra imbrattate di sangue. «Anch'io sono consapevole del fatto che ti voglio», me lo sussurra in tono flebile, roco facendomi avvampare come una scolaretta.
Con lui non è solo una questione di attrazione. Quando il suo pianeta gravita nella mia orbita mi sento dentro un incantesimo. Non posso fare a meno di guardarlo e perdermi in quegli occhi immensi, nei suoi gesti impulsivi. Mi basta sentire la sua voce per sentirmi protagonista di una canzone, la musa ispiratrice di un'opera d'arte.
Vorrei tanto fargli sentire cosa riesce a scatenarmi non solo quando raramente mi regala un sorriso sincero, ma ogni volta che apre bocca o quando semplicemente mi fissa senza dire una parola, una sola che possa cambiare la mia giornata.
Sollevo impercettibilmente un sopracciglio. «Ma non sai se ti voglio io. Soprattutto dopo avere visto quello di cui sei capace», rispondo colpendolo in basso.
Lo vedo stampato a chiare lettere sul suo viso che muta espressione velocemente, lo sgomento più totale.
È come se ogni sua convinzione si fosse appena sgretolata e lui fosse caduto nel baratro dell'incertezza. Vacilla la sua sicurezza e in un attimo appare smarrito, colpito al cuore da un proiettile invisibile.
In breve però si ricompone. Non è di certo il tipo che si lascia abbattere o che si arrende tanto facilmente.
Forse è una delle tante cose di lui che più mi attirano. Questa sua sicurezza mentre intorno tutto precipita.
«Non mi vuoi?»
Una voce si schiarisce alle mie spalle e finalmente la tensione si spezza. Lui mi lascia andare senza troppe storie. Faccio un passo indietro creando una certa distanza tra me e lui guardando attentamente Shannon.
Le nocche scorticate, imbrattate di sangue, lo zigomo rosso sangue, l'ecchimosi sul naso.
I miei occhi si posano su Kay mentre osserva l'amico forse pensando alle mie parole, al fatto che Shannon potrebbe soffiarmi da sotto il suo naso, cosa che non accadrà mai. A quanto pare però per lui questo potrebbe anche succedere.
Vedo di nuovo quell'incertezza guizzargli in viso. Strizza la palpebra scavandomi dentro un'altra voragine.
«Abbiamo finito», annuncia a nessuno in particolare e più che affaticato Shannon ignaro della lotta interiore di Kay.
«Staranno bene?», gli rivolgo tutta la mia attenzione di proposito.
Shannon non nota minimamente che tra me e il suo amico c'è una guerra in corso. «E tu? Starai bene?», chiede con una punta di rimprovero avvicinandosi. «Ti ha dato di volta il cervello? Ti avevo detto restare nascosta».
Kay si irrigidisce, soprattutto quando la mano di Shannon si appresta a portarmi una ciocca dietro l'orecchio. Con la coda dell'occhio vedo come deglutisce stringendo il pugno in vita ma non mi scanso, decido di proposito di fargli male, di fargli capire che non sono stupida.
«Dove li state portando?», prende parola.
Shannon si stacca da me rivolgendosi a lui. «Probabilmente al parco, dopo averli legati come dei salami su dei tronchi nei buchi che hanno fatto per poterci piantare gli alberi», spiega apparentemente soddisfatto anche se provato e stanco.
Non volendo rispondere alla domanda di prima di Shannon, mi avvicino all'albero in cui è rimasto lo zaino. Lo carico in spalla e nel voltarmi mi accorgo che i due chiedono una spiegazione da parte mia. Ho anche notato il modo in cui si sono scambiati quello sguardo. Non era complicità. Era competizione tra maschi. Seppur in minima parte so che Shannon non gli farebbe mai un torto, quindi sta solo recitando un copione per aiutare Kay.
«Dove vai?»
«Me ne ritorno a casa. Vi auguro di avere la meglio su di loro. Adesso me ne vado. Buona serata», senza aggiungere altro, sentendo solo il bisogno di prendere una boccata d'aria e di stare sola, mi allontano da loro scegliendo di intraprendere il percorso più lungo camminando sul sentiero principale.
Giunta a metà strada tra il fiume e la radura, ho bisogno di un momento.
Sento proprio la tensione impossessarsi di me provocandomi un formicolio sul corpo che mi spaventa.
Davanti agli occhi le immagini di oggi, dei giorni scorsi, del passato che continua a tormentarmi.
Mi giro intorno più che confusa. La mente riempita di parole, gesti, frasi in grado di farmi tremare visibilmente e anche emettere un singhiozzo. Uno così forte da fare scappare un volatile dal suo nido e un piccolo leprotto dal suo rifugio.
È proprio vero: le paure che non affrontiamo hanno la capacità di ripresentarsi in un battibaleno. Soprattutto sono in grado di uscire allo scoperto proprio quando senti di essere solo ed esposto perché il mondo ti ha appena voltato le spalle. E allora crolli. Ti spezzi. Resisti.
Mi appoggio ad un albero senza fiato. Alzo il viso inspirando ed espirando lentamente poi scivolo un momento a terra portando le ginocchia al petto. Ci nascondo la testa contando fino a dieci per non piangere, per non sentire il sapore salato dopo tanto tempo rigarmi le guance e sorpassarmi le labbra.
Non piangerò. Non sarò tanto fragile. Adesso devo solo cancellare questa storia dalla memoria e andare avanti.
Quello che è successo al fiume non era altro che un sogno. Continuo a ripeterlo rialzandomi da terra.
Per raggiungere il quartiere dove si trova la casa in cui abito attualmente e che non sento ancora mia, impiego circa mezz'ora a piedi. L'aria fresca, la pioggerella leggera che arriva senza lasciare segni sull'asfalto e la passeggiata, mi regalano un breve momento di leggerezza.
Strada facendo, dopo il breve momento di debolezza, riesco a sfogarmi con me stessa ritrovando un po' di calma dopo avere valutato tutti i pro e i contro senza mai soffermarmi sui se e i ma per non destabilizzarmi nuovamente.
Continuo a darmi una scrollata, incito me stessa ad andare avanti anche se mi sento ancora parecchio scossa.
Nel profondo del mio cuore so che non dimenticherò niente di questo giorno. So che quando proverò a chiudere gli occhi, vedrò e sentirò ogni cosa in un loop senza fine.
Perché le cose che lasci non ti abbandonano davvero. Rimangono impigliate nei meandri più oscuri della tua memoria e tornano in un lampo quando senti di essere finalmente guarito.
Quando ero più piccola, dopo la partenza improvvisa dovuta al tradimento di mia madre, avevo gli incubi con cui fare i conti quasi ogni notte. Mi ritrovavo ad urlare, a piangere e a tremare come una foglia sotto le lenzuola ed era terribile non avere pace, essere tormentata fino allo sfinimento.
Secondo mia madre ero solo in uno stato di perenne ansia. Ero agitata per il nuovo ambiente alla quale avrei dovuto ambientarmi. Si sbagliava. Mia madre non aveva idea di quello che vedevo o provavo. Ero solo spaventata dalla prospettiva di non potere avere più una vita perché pensavo che in fondo, nonostante le avversità, la mia casa fosse ad Oakville insieme a mio padre.
Mi sbagliavo. Lo sapevo. L'ho capito durante l'adolescenza, quando mi ritrovavo sempre ovunque e abituarmi era il mio unico hobby. Niente amici. Niente tetto sulla testa stabile. Niente genitori. Nessun legame stretto. Nessun affetto. Niente amore.
Sospiro scacciando via quei ricordi quando mi ritrovo davanti la piccola villa di papà.
Apro il cancello avanzando lungo il vialetto. Giro la chiave dentro la toppa e il mio telefono vibra rumorosamente.
Attendo circa tre squilli prima di controllare e rispondere alla chiamata in arrivo. Appena noto il numero che appare sullo schermo, sorrido.
«Ehi nonna!», saluto con finta allegria.
Da quando non ci sentiamo?
«Piccola mia, come stai? Non ho trovato un momento libero per chiamare. Mi sento una nonna orribile. Soprattutto per quello che hai passato. Perdonami se non ti chiamo spesso e se non sono presente in questo periodo, devi sapere che il lavoro qui è alle stelle, letteralmente», si abbandona ad una risatina isterica lasciando perdere il tono afflitto. «Adesso al ristorante vengono anche i personaggi famosi. Ti rendi conto? Si è sparsa la voce e ci fanno visita a pranzo o per un aperitivo o per la cena. Spesso prenotano l'intera sala per essere soli e non avere nessuno alla calcagna a chiedergli autografi o altro, quindi per non essere disturbarti. A fine cena però, oltre ad una bella mancia, si offrono spontaneamente per delle foto».
La immagino sventolarsi con un vassoio trasognante. Emette anche un verso di pura estasi.
Mi siedo sul primo gradino della scala lasciando cadere lo zaino ai miei piedi.
Sto perdendo il meglio dei miei anni. A volte penso di essere nata nel posto sbagliato e nella famiglia sbagliata. Lo so è una cosa orribile ma ci sono volte in cui mi rendo conto di non avere niente in comune con loro.
«È fantastico. Mi sarebbe piaciuto esserci», esclamo con noncuranza e un pizzico di delusione celato dalla mia reazione falsa.
«Con chi parli? Con la nostra bambina?», sento la voce della mia bisnonna.
Le due battibeccano. «Salutamela e dille di tornare con qualche bel ragazzo dietro o non la faccio entrare in casa», brontola.
Sorrido.
Nonna però sembra su di giri per darle retta. «Si, abbiamo pubblicato delle foto. Non so se hai visto...»
Con una smorfia mi affretto a rispondere: «No, non ho proprio avuto la voglia e il tempo di controllare quello che gli altri pubblicano sui social. In realtà non ho avuto neanche la voglia di parlare. Sono state giornate difficili e...»
«E dille che mi mancano i suoi tartufi al rum», aggiunge la bisnonna.
«Dovevi vedere Erin, quando...»
Nonna mi interrompe raccontandomi delle star del cinema entrate al ristorante. Una in particolare ha dato il via al passaparola quando entrando con il chiaro intento di prendere qualcosa da bere è rimasta stupita dai piatti che uscivano dalla cucina e quando ne ha assaggiato uno non ha potuto fare a meno di complimentarsi con nonna presentandosi il giorno dopo per una cena privata con un gruppo numeroso di Vip.
Sono davvero molto contenta per lei, per come stanno andando le cose lì a casa ma non lo sono per me. Continuo a sentire la loro mancanza, quella di Ryan di cui non ho più notizie da settimane.
Sospiro.
Vorrei la mia nonna, quella che si preoccupa per me. Invece è così presa da questo evento da non rendersi conto che sono scossa e parecchio giù di morale. Mi sento invisibile agli occhi degli altri. Una sensazione che ho sempre provato e nascosto perché tutti possono fare leva sui tuoi disagi quando li metti in mostra.
Un rumore proveniente dalla mia stanza mi fa scattare in piedi. Ascolto distratta la nonna che parla e ride con altri e poi ancora con me raccontandomi qualche altro aneddoto mentre salgo al piano di sopra facendo il minor rumore possibile per capire che cosa sta succedendo.
Ho già un presentimento ma non oso andare oltre a quei pensieri che continuano ad affollarsi dentro la mia mente creando solo confusione.
La porta della mia stanza è socchiusa è da questa non proviene nessuna luce quindi entro più che tranquilla.
«Mi stai ascoltando, tesoro?», alza il tono mia nonna.
«Si, stavo solo controllando una cosa», rispondo cercando con la mano l'interruttore.
Non appena la stanza si illumina caccio fuori un urlo agghiacciante lasciando cadere a terra il telefono.
Sento mia nonna urlare allarmata. Mi abbasso lentamente raccogliendo il telefono più che nervosa, con il cuore che batte impazzito.
«Erin, che diavolo succede?»
«Niente nonna. Sto guardando un film dell'orrore», dico a denti stretti guardando storto Kay che si è appena intrufolato in camera mia dalla finestra con un borsone, il viso e i vestiti ancora macchiati di sangue e uno sguardo freddo, da assassino, in grado di far vacillare tutto il mio mondo.
Non ho detto una menzogna a mia nonna. Si direbbe davvero che questa sia una scena da film dell'orrore. Gli manca qualcosa in mano come un coltello o un'accetta, anche se il suo sguardo è di per sé un'arma letale. Per non parlare dei suoi occhi che mi seguono di continuo.
«Adesso devo andare. Salutami i nonni e fai la brava», balbetto riagganciando, appoggiando il telefono sul comodino.
Mi volto fulminandolo con lo sguardo. «Nessuno ti ha mai detto che entrare da una finestra in una casa che non è tua è un reato? Violazione della privacy ne hai mai sentito parlare?», incrocio le braccia severa.
Grugnisce. «Devo farmi una doccia prima di avere una discussione. Ti direi di farla insieme a me ma so già che rifiuteresti. Aspettami, faccio in un attimo», dice infilandosi nel bagno.
Prova a chiudere la porta. Lo seguo fermandolo. «Che diavolo ci fai qui?»
Inizia a togliere il giubbotto, la maglietta, i pantaloni sporchi infilandoli dentro un sacco nero e poi spingendolo dentro il borsone che si è trascinato dietro. «Ho dato la parola a tuo padre che ti avrei tenuta d'occhio. E poi...», un lampo divertito attraversa il suo viso illuminandolo, rendendolo pericolosamente attraente. «Ne approfitto per stare insieme alla mia ragazza», guardandosi tira il bordo dei boxer verso il basso. «Sto per spogliarmi. Esci dal bagno o ti unisci alla festa godendoti il nudo integrale?»
Festa? Quale festa? Dio, perché deve sempre sdrammatizzare in questo modo dopo che gli ho fatto capire che non asseconderò il suo gioco quando non avrà un reale bisogno di me.
Alzo gli occhi al cielo più che irritata. «Scordalo!», ringhio chiudendomi la porta alle spalle davanti alla sua faccia divertita.
Guardo intorno poi i miei indumenti accorgendomi di essere macchiata di terra e sangue. Disgustata, corro dentro la stanza di mio padre usando il suo bagno per togliermi di dosso tutto quanto, ogni singola sensazione, ogni immagine e odore che continuo a percepire nell'aria.
Avvolta dal morbido asciugamano bianco, la pelle arrossata per il tanto strofinarla, torno di nuovo nella mia stanza. Seduta sul bordo del letto pettino i capelli ormai quasi del tutto scoloriti e di un verde acqua.
La porta del bagno si apre lasciando entrare in camera l'odore del mio bagnoschiuma insieme a quello della persona che si ferma sulla soglia. Rimane appoggiato allo stipite, l'asciugamano intorno alla vita.
Fisso i suoi pettorali inumidito dalla doccia, le chiazze rosse e violacee e invidio chi prima del mio arrivo lo ha toccato o fatto sentire unico. Invidio chi in questi anni ha potuto viverlo al cento per cento senza mezze misure, senza nascondersi. Eppure una piccola parte di me spera che questo non sia mai accaduto. Si illude del fatto di poter essere l'unica ad averlo toccato per davvero, senza strati di tessuto. Non solo con gli occhi, con le mani ma anche con tutta l'anima.
Siamo di nuovo al punto di partenza, rifletto evitando di guardarlo per non perdermi e, principalmente per non fare la figura della stupida.
«Farai la stronza con me?»
Esasperata mi lascio cadere indietro sul letto. Sbuffo passando i palmi sul viso massaggiandomi la pelle. «Si, mi sembra ovvio. Te lo meriti!»
Staccandosi dallo stipite si avvicina salendo sul letto, posizionandosi su di me. Afferra tirando in alto sulla testa i miei polsi bloccandoli e abbassandosi mi sfiora le labbra. Percepisco l'odore della menta. Ha usato di nuovo il mio spazzolino.
Che stronzo!
Giro il viso per non deconcentrarmi. «Lasciami!»
Non mi ascolta. «Dimmi perché sei incazzata», mormora.
Lo guardo come se mi avesse appena derisa. «Sei serio o mi prendi in giro?»
Strofina la punta del naso sul mio poi mi bacia una guancia. «Si», mugugna. «Sono più che serio», bacia il mento, l'altra guancia.
Mi dimeno provando a liberarmi ma continua baciandomi la punta del naso, la fronte ed infine abbassandosi preme le sue sulle mie labbra più che concentrato.
Mi scanso facendolo fremere. «Sono arrabbiata perché mi hai spaventata», ammetto senza vergogna. «Io non lo sapevo. Per me è stato davvero difficile».
Riesce a rubarmi un bacio. Lascia libero il polso destro facendo scivolare la mano dapprima sul fianco poi sulla coscia sollevando il tessuto.
«Non era mia intenzione spaventarti, Erin. L'ho fatto solo per te. Non potresti essere solo grata?»
Prendo un breve respiro gonfiando il petto. «Si, certo. Adesso batterò pure le ciglia come una stupida, ti sorriderò e poi ti dirò grazie. Ma dove vivi?», sbotto acida.
«Nella realtà? Di solito quando qualcuno ti difende tu dici grazie.»
Respingo il suo bacio. «Di solito però si affrontano le discussioni parlando non usando le mani o torturando qualcuno», dico piccata.
Morde il labbro poi mi schiocca un altro bacio sfuggente. «Così?»
Passa la mano dalla natica all'interno coscia.
Mi agito. «Kay...»
Il suo respiro cambia. Il mio è già messo a dura prova dal pomeriggio intenso e sembra come quello di una foca che ha fumato sigarette per ore.
«Stiamo parlando e affrontando l'argomento. Stiamo discutendo e sto usando le mani, ti sto torturando, no?»
Blocco il suo polso. «No. Stai solo evitando perché sai di non avere scuse. Qualunque cosa tu sia intenzionato a provare, evita», dico.
Mi lascia l'altro polso sollevandomi un ginocchio mentre si spinge su di me affondando il viso sul mio collo baciandolo lentamente, leccandolo e succhiandomi la pelle.
Gemo stringendo per errore le gambe sui suoi fianchi e lui continua affannato tirando giù di poco il bordo dell'asciugamano sul seno abbattendosi su di esso.
Inarco la schiena. «Kay...», soffio accaldata.
«È bello discutere con te», sussurra annusandomi la pelle, facendomi rabbrividire ed eccitare.
Gemo forte e mi bacia aprendo l'asciugamano. Mi agito anche se ho già indossato gli slip non mi sento al sicuro con lui.
«Sei perfetta», sibila.
Lo fermo. «No, non puoi fare così», mi divincolo e alzarmi corro ad infilare una maglietta a maniche corte grigia.
Sento il fuoco tra le gambe e sul basso ventre ma lo tengo a bada.
Mi guarda male poi prova a tirarmi a sé afferrandomi per il bordo della maglietta. «Incazzati, su», mi provoca sbattendomi sul materasso.
«Non funziona in questo modo, lo sai. Hai fatto qualcosa di orribile.»
Si mette comodo su di me reggendosi sui gomiti. «Non ti ho chiesto io di assistere, no?»
«No, sono solo venuta a cercarti, che sarà mai», brontolo provando a scendere dal letto.
Ancora una volta mi blocca stringendo i miei polsi sulla testa. Non fa male la sua presa quanto il suo respiro affannato e i suoi occhi a bruciarmi il cuore.
«Tu sei una ragazza pericolosa, Erin. Mi provochi, mi illudi, mi desideri e poi mostri paura. Mi incendi dentro e non te ne accorgi. Non ti accorgi che sto impiegando ogni mia energia per donarti attenzioni, gesti, sensazioni. Davvero non te ne accorgi? Hai la minima idea di ciò che mi provochi dentro quando reagisci male, mi mandi al diavolo e ti chiudi a riccio? Hai idea di quello che sento quando il tuo sorriso, non quello che usi per fare contenti gli altri, quello sincero, si spegne in un nano secondo? Tu mi bruci l'anima e mi strappi il cuore senza degnarti di restituirmelo. Tu hai solo paura. Hai paura di aprire i tuoi occhi meravigliosi e renderti conto che c'è davvero qualcuno che tiene a te dai tempi dell'asilo, che farebbe di tutto pur di mozzarti il fiato o farti sentire a tuo agio quando ti senti di troppo o quando inizi a guardarti intorno chiedendoti che diavolo ci fai in questo posto che non senti più tuo. Ma anche tu meriti una persona, Erin. Non dimenticarlo». Avvicina il suo volto al mio al punto che i nostri nasi si sfiorano.
«E non ti ripeterò ancora che mi piaci. Non lo farò perché spero che un giorno potrai capire da sola che ci sono volte in cui ci si ritrova e ci si innamora».
Prendo fiato sentendomi confusa dalle sue parole sputate fuori con tanto di quel sentimento da stordirmi. I miei occhi si spalancano e le mie pupille si dilatano. Persino lui appare come me, turbato dalle parole appena pronunciate con enfasi, con ardore.
«Ti credi diverso dagli altri ma non lo sei. Anche se non abbiamo un rapporto e dici di volermi bene anche se non direttamente, questo non ti ha impedito di andare a baciare un'altra davanti a me. Non ti ha impedito di fare del male a qualcuno solo per dimostrarmi che sei forte. Credi che non lo sappia? Lo so che sei distruttivo. Ma neanche tu te ne accorgi. Perché sei troppo impegnato a vantarti delle conquiste che guardarti intorno e capire che sono davvero poche le persone che ti restano ancora accanto, e non per finta, per davvero», lascio uscire dimenandomi per scrollarmi le sue mani di dosso. Il sangue mi ribolle dentro e i pensieri si affollano come se dovessero uscire straripando, facendo grossi danni.
Riesco chissà come a rialzarmi e più che decisa scendo al piano di sotto.
Ho una gran fame e non intendo saltare la cena solo per un battibecco.
Prendo dal frigo gli insaccati, dal ripiano una confezione di toast integrali e le salse.
Kay scende al piano di sotto in boxer. Completamente a suo agio nel mio ambiente.
Passa una mano tra i capelli poi guardando quello che ho appena posato sul ripiano della cucina si affianca preparando per sé un toast.
Procediamo senza sfiorarci, senza parlare. Sincronizzati silenziosamente.
Metto il mio primo toast dentro il tostapane e lui fa lo stesso appoggiandosi al bancone bevendo una birra presa prima di iniziare dal frigo.
Non mi dà il minimo fastidio che si sia già ambientato ma messo in quella posizione, mezzo nudo e accanto alla finestra... potrebbe essere equivoco. Soprattutto se visto dalla vicina che spia continuamente ogni mia mossa.
Prima, infatti, se ne stava dietro la tenda e quando l'ho salutata ha spento la luce del soggiorno dopo essere scappata con aria spaventata.
Che donna intelligente!
Per tenermi impegnata metto in ordine il ripiano togliendo pezzi di cibo e le briciole di pane e i due panini ancora da tostare su due piatti. Separati, come me e lui.
Apro il frigo prendendo una birra e la stappo bevendone un sorso. Allevio così il bruciore che sento nelle viscere ad ogni suo passo o sguardo o anche solo breve respiro.
Il toast esce fuori mezzo arrostito. Poso la birra e facendo attenzione a non bruciarmi le dita lo porto sul piatto mentre infilo nella griglia l'altro lasciandolo cuocere.
Kay fa lo stesso da come posso notare quando mi siedo sullo sgabello addentando il toast voracemente. La salsa mi cola dall'angolo e cerco un tovagliolo. Il suo dito toglie la patina velocemente. Lo porta in bocca godendosi la cena senza più sfiorarmi.
Vedendomi pensierosa, pensa bene di stuzzicarmi posando il palmo sulla coscia creando piccoli cerchi sulla pelle nuda.
Dopo avere mangiato e attutito il senso di fame finalmente mi alzo dallo sgabello. Sento il suo fremito ma non me ne curo, piuttosto ignoro ogni genere di sensazione che mi provoca.
Lavo i piatti più che concentrata e lui mi aiuta con uno strofinaccio pulito preso dal cassetto della cucina.
Conosce persino dove teniamo le cose. Assurdo!
Come si fa ad odiarlo?
Mi sposto in soggiorno più che arrabbiata e lui silenziosamente, con aria serena mi segue sedendosi accanto.
Mi sdraio sistemandomi rannicchiata a guardare la tv sintonizzata nel canale di cucina che cambio per guardare un film e lui non fa una piega.
Durante la pubblicità si volta a guardarmi. Sento il peso dei suoi occhi freddi addosso. «Quando ti passerà?»
«Probabilmente il mese di mai.»
Sorride. Posa la mano sulla mia caviglia. Mi agito e lui con una certa forza mi fa stendere le gambe per poi tirarmi sotto il suo peso. «Quindi avrò tutto il tempo...», dice malizioso.
«Per cosa?»
Sorride abbassandosi. Affonda la mano tra i miei capelli ancora umidi. Mi divarica le gambe con l'altra. «Per provarci con te», sussurra bocca contro bocca.
Giro il viso. «Perché lo fai?»
«Perché sei troppo ostinata a cercare una scusa per non stare con me. Ti ho capito sai?»
Sto già scrollando la testa per negare. «Non sto cercando...»
Mi ferma prima che io possa dire un'altra bugia. Con lui è difficile mentire.
«Perché non vuoi stare con me?»
Le guance si imporporano quando le sue dita sfiorano il bordo degli slip poi l'interno coscia. Provo a stringere le gambe ma con lui nel mezzo è praticamente impossibile.
«Non sei il mio tipo?»
Ride. «Davvero?»
Annuisco.
Inutile dire che vede tutto questo come una sfida. E lo trova così divertente da costringermi a piegare il ginocchio fino a sfiorargli i fianchi. Approfitta della mia distrazione per insinuare la mano sotto la maglietta stringendomi un seno. «E che tipo vuoi?»
Ansimo. «Così mi distrai, non vale!»
Ghigna malefico. «Ti distraggo, eh?»
Sbuffo con le guance in fiamme spingendolo senza forza. «Smettila!»
Scuote la testa. «No, no...», sussurra. «Adesso mi spieghi come deve essere il tuo tipo», non si arrende.
Ci penso. «Non un idiota bastardo incline alle risse e alla violazione di domicilio o della privacy», sussurro senza voce quando abbassa il viso sul mio collo e la mano si insinua dentro gli slip.
Blocco il suo gesto guardandolo intensamente e ritira la mano continuando a sorridere.
Mi ha lasciato il caos dentro e il fuoco peggiore da domare sul corpo.
«Ma io sono un bravo ragazzo», dice strofinando la punta del naso sul mio.
«Si, certo», replico sgusciando via dal suo corpo che inizia a farmi cedere.
Corro in cucina per un bicchiere d'acqua.
Si avvicina. Sento il suo calore emanato e vorrei tanto abbracciarlo, tenerlo stretto, percepire il suo tepore sulla pelle.
L'aria si carica e i nostri corpi sono come delle calamite. Impossibile resistere all'attrazione.
Me lo ritrovo dietro mentre osservo dalla finestra la casa della vicina immaginandola dietro la tenda seduta sulla poltrona con un bicchiere di popcorn in mano e il cane addormentato in grembo. Se ne accorge anche lui perché mi sussurra prima di darmi un bacio sulla guancia: «Possiamo offrirle uno spettacolo, che dici? Accetti la sfida?»
Poso il bicchiere dentro il lavandino voltandomi. «Perché?»
«Divertiamoci», mi guarda come un cucciolo.
Massaggio la fronte. Lui guarda alle mie spalle. «Ha appena acceso la luce. È dietro la tenda», sussurra a fior di labbra. «Si, sta proprio guardando qui.»
Vinta dalla curiosità mi volto a controllare e lei è li. Ci sta spiando. La finestra della cucina è piccola ma si vede più che bene, soprattutto quando l'unica luce accesa è quella sopra il fornello.
Kay mi solleva sul ripiano cogliendomi alla sprovvista. Strillo lasciando sfuggire anche una breve risatina e lui ne approfitta per divaricarmi le gambe e mettersi nel mezzo giocando con la mia bocca.
«Lo racconterà a tuo padre?»
Alzo le spalle. «Sa com'è fatta ma è probabile che ci crederà», dico continuando a tenerla d'occhio.
«Possiamo darle un gran bello spettacolo se vuoi... o ti tiri indietro?»
Lo guardo in modo dolce e lui intuisce avvicinandosi con i fianchi. Le mani strette sulle mie natiche, pronte ad avvicinarmi a sé. «Versi equivoci?»
«Concessi», mi ritrovo a pianificare con lui euforica.
«Movimenti ben visibili?»
«Affermativo!»
Sorride raggiante. «Qualcosa di vero?»
Circondo il suo collo con le braccia intrecciando le gambe dietro la sua schiena. «Tutto», sussurro.
Ansima. «Pace per qualche minuto?»
«Si», sussurro guardandogli le labbra.
Affonda la mano tra le mie gambe sfregando le dita sugli slip ed io mi lascio andare forse per la prima volta e senza finzione ad una serie di versi seppur flebili ma decisi.
Lui si irrigidisce. «Non stai fingendo», dice affannato. Avvicino il suo viso. «Rientra nel "tutto vero"», sussurro bocca contro bocca.
Mi bacia con trasporto muovendo e premendo maggiormente le dita. Muovo i fianchi e la sua pelle diventa rovente.
Scivolo su di lui che mi solleva per le natiche sfregandomi a sé. Gemiamo entrambi baciandoci come due amanti.
Con il cuore a mille sentendomi quasi sul punto di perdermi, mi stacco senza fiato guardandolo frastornata.
Lui passa la mano sul viso poi fa una smorfia. «Cazzo!»
Lo guardo intensamente scappando al piano di sopra dove lo sento imprecare e borbottare.
Sorrido più che accaldata mettendo in ordine tutto quanto prima di togliere i cuscini dal letto. Devo assolutamente dormirci su. Lunedì se non domani mio padre saprà ogni cosa e io non avrò scuse che tengano.
La porta si chiude con uno scatto e lui si appoggia alla superficie. «Sai che sono eccitato?»
«L'ho sentito», dico con finta indifferenza.
«E sai che ti voglio?»
Lo guardo sentendo una scossa colpirmi il basso ventre. «Mi vuoi?», chiedo con la gola secca.
Si stacca dalla porta. I miei muscoli si tendono. Mi avvicina al cavallo dei suoi boxer rigonfio tirandomi su le mie natiche. Mi aggrappo alle sue spalle ansimando. Sento quanto è eccitato.
«Possiamo provare qualcosa...», propone.
«Tipo che cosa?»
«Ti fidi di me?»
Ci rifletto per finta innervosendolo. «No, ma poco fa ti ho dato il permesso di toccarmi. Non era mai successo con nessuno», confesso arrossendo.
Sorride compiaciuto. «Meglio. Così non dovrai paragonarmi a nessuno dei tuoi ex.»
Massaggio la sua nuca. Abbassa subito il viso. «Prova con me», mi sussurra sulla bocca.
Tremo e senza neanche farmi parlare perché sa già la mia risposta, mi fa indietreggiare.
Ricado sul letto e lui mi spinge sotto le coperte. «Hai paura?»
«No», dico sincera.
«Bene», sistemandosi su di me, affonda la mano dentro gli slip senza avvisarmi e poi mi bacia come se volesse divorarmi attutendo i miei gemiti insieme ai suoi sempre più virili.
Ad un certo punto la pressione esercitata è troppa. Le gambe tremano. Intuisce e anziché rallentare muove le dita più in fretta in un punto che pur non facendo male mi fa contorcere e gemere abbastanza forte fino a raggiungere un posto lontano.
Kay mi guarda estasiato mentre riprendo conoscenza e controllo del mio corpo scosso dall'affanno, la mia mano si rilassa sul lenzuolo che stavo tenendo stretto e dalla sua spalla che credo di avere graffiato.
Mugolo rilassata e mi bacia piano. «Era solo un assaggio, sirenetta.»

🖤

Come crepe sull'asfaltoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora