Capitolo 13 - Solo un Peter Parker qualunque.

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Restava ancora un dubbio, però, nel cuore di Louis. Se Harold era interessato a lui, almeno un po’, perché aveva portato Liz dove aveva portato anche lui? Era una routine? Nulla di speciale?
La mente piena di domande, il ronzio continuo dei pensieri non intendeva dargli scampo. Si sentiva sopraffatto dalle emozioni. Sopraffatto anche da sé stesso.
Sua madre era andata a dormire già da qualche ora. Era notte fonda, le tre circa, ma Louis non riusciva a considerare di addormentarsi. Aveva detto tutta la verità a sua madre, e ne era uscito indenne e forse anche rafforzato; ora doveva parlare con qualcun altro.

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Sentendo uno strano rumore Harold aprì gli occhi. Si era addormentato non troppo facilmente quella sera, ed essere svegliato nel bel mezzo del sonno lo infastidì parecchio.
Cercò di intuire la sorgente di quello strano mugolio. Sembrava un animale, forse un cucciolo.
Un gattino, magari? Pensò.
Scese al piano terra ed aprì la porta, facendo attenzione a girare la chiave nella serratura con molta calma per non rischiare di svegliare tutti in casa.
Uscì sul portico. Il mugolio sembrava essere improvvisamente cessato. Non riusciva a percepirlo. Un leggero venticello soffiava tra i rami degli alberi circostanti, ma non c’era nessun altro suono nell’aria. Si perse un momento in quella sensazione di onnipotenza che la notte gli stava regalando.  Nessuno ti può vedere, nessuno ti può sentire. Hai gli occhi aperti mentre tutti intorno a te dormono. Stai vivendo un momento reale, mentre gli altri sono persi nei loro sogni. Una sensazione unica, magica.
«Vorrei fosse tutto come nei miei sogni.»
Mormorò con un filo di voce, lasciando che il vento portasse via le parole. Sperando che qualcuno ascoltasse la sua preghiera.
Un leggero lamento lo distrasse dai suoi dolci pensieri. Fece un passo in avanti e si sporse dalla veranda per ascoltare meglio.
«Harold ti prego, tirami giù!»
Qualcuno aveva parlato sopra di lui. O meglio, aveva sussurrato quelle parole. Alzò gli occhi, facendo ancora qualche passo incerto.
Louis era aggrappato alla grondaia. Le braccia tese, le gambe penzoloni e un’evidente espressione di imbarazzo sul viso.
«Cosa stai facendo?»
Harold si sentì stringere lo stomaco per la sorpresa e si dovette sforzare per evitare di scoppiare a ridere.
«Harold, aiutami!»
«Dai, lasciati cadere. Ti prenderò!»
Non appena quelle parole sussurrate arrivarono alle orecchie di Louis, il suo corpo si fece di pietra.
Cosa? Doveva buttarsi fra le sue braccia? Ma…ma…
«Tomlinson o ti butti o resti lì appeso per tutta la notte! A te la scelta.»
Il cervello di Louis a malapena recepì quelle ultime parole. Era ancora in subbuglio per i suoi pensieri.
Buttarsi fra le braccia di Harold. Da una parte il suo subconscio gli suggeriva che era qualcosa di estremamente romantico, ma dall’altra gli diceva che sarebbe stato terribilmente imbarazzante.
Restava il fatto che non ce l’avrebbe fatta a restare sospeso ancora per molto. Non gli sarebbe dispiaciuto essere Spiderman in quel momento. Ma, ovviamente, non lo era. Era solo un Peter Parker qualunque.
«Non c’è un altro modo per farmi scendere?»
Harold si guardò intorno, mentre gli occhi di Louis lo scrutavano impazienti, poi tornò ad incrociare il suo sguardo facendo spallucce.
Si posizionò sotto di lui. Le braccia tese in avanti.
Louis notò i suoi bicipiti contrarsi sotto la leggera t-shirt grigia che indossava. Per essere un pigiama era tremendamente sexy.
«Lasciati andare.»
Louis assimilò quelle due parole lentamente. Il suo cervello le rimandò come un eco per tutto il corpo, addolcendo la stretta delle sue mani. Lentamente allentò la presa e serrò gli occhi.
«Apri gli occhi Tomlinson.»
Harold gli parlava. La sua voce era così calda, così vicina, così maledettamente provocante.
Louis fece come gli era stato detto e i loro sguardi si incontrarono nuovamente, mentre nel suo cuore si facevano largo le parole di sua madre:
“So riconoscere del sentimento quando lo vedo.”
Si teneva stretto alla braccia di Harold. Probabilmente non erano mai stati così vicini da quando si conoscevano. Poteva sentire i muscoli massicci sotto le dita.
«Forse… dovrei scendere.»
Non si rese conto di aver pronunciato quelle parole e si prese mentalmente a calci nel di dietro per aver interrotto un momento tanto speciale.
Harold sembrò rammaricato al suono delle sue parole, e alla vista della sua espressione il subconscio di Louis riprese a prenderlo a calci.
Lo mise a terra gentilmente, passandogli una mano su entrambe le spalle, come per togliere qualche immaginario granello di polvere dalla sua giacca blu, poi gli sorrise.
«Ti va di entrare? Lo ammetto, sono curioso di sapere come sei finito appeso lassù.
Louis sorrise di rimando, terribilmente imbarazzato. Avrebbe dovuto tarpare le ali ai suoi istinti e andarsene a dormire, ma oramai era troppo tardi per cambiare idea.
«Rimaniamo qui sul portico, ti va?»
Harold annuì mentre sentiva che un’ondata di rossore stava esplodendo sulle sue guance.
«Vai! Sono tutto orecchi.» Disse sorridendo all’amico.
Lo sguardo trepidante di Harold insisteva su di lui. Si sentiva piccolissimo ed avrebbe voluto scomparire da lì, da quel maledetto porticato. Avrebbe voluto scomparire da quella vita. Era tutto così dannatamente difficile.
«Io… cioè, tu…»
Non ci riusciva. Non riusciva a collegare due parole. Non sapeva cosa dire né come dirlo.

Our Secret. -Larry Stylinson-Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora