Avrebbe voluto raccontarle che era andato da Louis, davvero, ma per qualche motivo riuscì solo a dirle «Volevo sapere come stavi.»
Liz non se la sentiva di scendere in giardino, così invitò lui ad entrare.
Harold aveva delle perplessità a riguardo, ma quando la ragazza lo rassicurò dicendo di voler solo parlare un po', l'atmosfera si fece meno tesa, e i due si ritrovarono a chiacchierare come due vecchie signore; Harold sulla poltroncina girevole e Liz sul suo letto.
Parlarono per quasi un'ora prima che lei venisse nuovamente assalita da una brutta ondata di nausee.
Fu terribile per lui vederla star così male, non sapeva cosa fare. Da un momento all'altro la vide impallidire e nel giro di pochi attimi Liz correva verso il bagno con una mano stretta sulla bocca. Le accarezzò la schiena nel vano tentativo di farla star meglio, e questo sembrò funzionare, prima che un altro conato spazzasse via le sue speranze.
Liz sembrava perdere le forze ad ogni spasmo. Le sue mani si stringevano intorno a quella che lui le porgeva, le spalle tremavano e la pelle era sempre più chiara e spenta.
«Vuoi che chiami qualcuno? Tua madre? Tua sorella?» domandò lui.
Lei però fece segno di no con la testa e gli strinse ulteriormente la mano.
Passò circa un'ora e mezza, poi, pian piano la nausea sparì e Liz tornò nel suo letto. Aveva l'espressione avvilita di chi non vuole più lottare. E lui se ne era reso conto. Così, senza dire nulla, si alzò dal suo posto, fece qualche passo e mentre la conversazione tra lui e Liz proseguiva, le fece cenno di spostarsi un po', poi si sedette proprio di fianco a lei e la fece sdraiare. Liz rimase meravigliata dall'intraprendenza di Harold e lo lasciò fare. Poco dopo, le loro chiacchere si alternarono agli sbadigli e la stanchezza, fisica e mentale, ebbe la meglio su Liz, che si appisolò accovacciata accanto a lui, con la testa sul suo addome. Harold le accarezzò i capelli finché non ritenne fosse arrivata l'ora di andare a casa.
Erano le cinque del mattino e sua madre, sfortunatamente, era rimasta sveglia ad aspettarlo, ma non era sola.
«Si può sapere che fine hai fatto? Ci hai fatto prendere un accidente!» La donna non era affatto amichevole, e c'era da aspettarselo.
Lui si guardò i piedi, nel vano tentativo di sfuggire agli sguardi inquisitori della madre. Poi intrecciò le dita ed alzò piano lo sguardo su di lei.
«Mamma, scusami, è stata una nottata infernale per Liz e ho voluto rimanere, per farle compagnia.»
Lo sguardo basso sulle mani, di nuovo. Lei lo guardò, quasi accennando ad un'espressione meravigliata, poi il suo viso si rabbuiò, come se avesse capito qualcosa più di lui. In quel momento, prima che lei potesse aggiungere altro, Harold s'incamminò verso la cucina, e vi trovò Louis.
«Che ci fai tu qui?» Si rese conto di non essere stato molto garbato, così afferrò una sedia e la spostò di fianco al suo amico. Lo guardò un attimo di troppo, indugiando sul suo sguardo stanco che continuava a spostarsi inquieto. «Da quanto tempo sei qui Louis? Perchè non mi hai detto che saresti venuto a casa mia?»
Irritato, Louis si fece scivolare una manica della felpa giù dalla spalla e ne afferrò l'estremita nella mano, tormentandola.
Se era andato fin lì ed era rimasto con sua madre tutta la notte, forse Harry avrebbe dovuto capire qualcosa.
«Harold scusami se sono stato qui, non avrei dovuto. Me ne torno a casa mia. Riposati un pò, hai l'aria assonnata.» Si alzò, tirandosi il cappuccio della felpa fin sopra la testa, abbassò gli occhi e uscì dalla cucina. Harold sentì sua madre chiedere a Louis qualcosa, ma non udì risposte. La donna tornò in cucina, silenziosa come mai prima.
«Mamma...» Harold tentò un approccio gentile con lei, per sondare il terreno.
Lei non rispose, continuò a sistemare piatti e bicchieri negli scaffali.
Lui si spostò, sentendosi incredibilmente scomodo su quella sedia. Poi alzò gli occhi al cielo e ribadì.
«Mamma, per favore, perdonami per stanotte.»
La donna sbuffò sonoramente e lasciò cadere un piatto lentamente dentro il lavello, poi, con le mani ancora umide si voltò e lo osservò per qualche secondo.
«Non ce l'ho con te Harold. Ma mi dispiace immensamente per Lou, ti ha aspettato per ore.»
Al suono di quelle parole lo stomaco di Harold fece una capriola. Aveva un gran disordine nella testa. Certo, era evidente che Louis avesse aspettato parecchio lì, ma lo aveva dato per scontato, come se fosse stata una sua liberissima scelta e per questo lui non dovesse sentirsi affatto in colpa. In realtà, non era così. Se Louis era andato da lui dopo il suo rifiuto di fermarsi a dormire, evidentemente avrebbe voluto parargli di qualcosa, o semplicemente avrebbe apprezzato la sua compagnia. Purtroppo, la sua istintività quella notte l'aveva portato a correre in soccorso di Liz, quando probabilmente anche qualcun'altro avrebbe gradito le sue attenzioni.
Harold si alzò dalla sedia, divenuta ormai insopportabilmente scomoda e salì nella sua stanza.
Aprì il primo cassetto della sua scrivania, rovistò un pò e ne estrasse una penna, poi posò gli occhi sul foglio un pò stropicciato, rimasto in attesa di un senso per quelle parole buttate su di lui. Era rimasto lì da quando i ragazzi erano passati a chiamarlo.
Harold indugiò ancora un momento, la penna stretta fra le dita e pensò a Liz. Cosa le stava succedendo? Cosa nascondeva? Perchè stava così male e non sembrava curarsene?
Troppe domande affollavano la sua testa, e nessuna risposta certa appariva all'orizzonte. Una prospettiva davvero desolante.
Allungò la mano verso la scrivania, facendo per afferrare il foglio di carta, ma la porta della sua stanza si aprì ed istintivamente lui lasciò ricadere il braccio.
«Mamma...»
Lei lo guardò senza parlare e gli andò vicino, stese le braccia verso di lui e lo strinse e sè. Harold per un momento ebbe la sensazione di tornare bambino.
Quando combinava qualcosa di sbagliato, sua madre era solita rimproverarlo, poi però passava sempre nella sua stanza per un abbraccio. Nulla era cambiato. Erano sempre loro, nonostante lo scorrere del tempo.
L'abbraccio durò qualche secondo, forse dieci, ed Harold si sentì così leggero e sicuro che avrebbe potuto affrontare chiunque in quel momento. La forza che gli dava sua madre non era paragonabile a null'altro. Lentamente lei lo lasciò andare. Gli passò una mano tra i capelli, spettinandolo, poi alzò gli occhi e gli fece cenno di andare a letto. Lui annuì. Si diedero la buonanotte e quelle furono le uniche parole che risuonarono nella stanza.
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Our Secret. -Larry Stylinson-
Fiksi PenggemarBrutta storia chiamare Amico chi vorresti chiamare Amore, non credete? "Sometimes new love comes between old friends. Sometimes the best love was the one that was always there." Larry Stylinson, la mia ispirazione.