Capitolo 11 - Tutto sbagliato.

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«Mamma ho bisogno di uscire.»

«Tesoro, riposati, sarà molto meglio.»

Louis si alzò dal divano, sbuffando sonoramente, si mise seduto al tavolo della cucina e sperò in una qualche domanda di sua madre. Non sopportava quando lei cercava di estorcergli informazioni su ciò che faceva, dove andava o con chi, ma alle volte, sentiva il bisogno di aprirsi con lei. Avrebbe voluto raccontarle tutto ciò che provava per Harold, davvero, ma non era il caso. Non ancora, forse.

L’istinto materno della donna non falliva mai.

«Tesoro, vuoi parlarmi di qualcosa?»

Louis si contrasse sulla sedia come se, improvvisamente, sotto di lui fossero state posizionate delle uova.

«Mamma, secondo te un’amicizia può diventare qualcosa di più…»

Lasciò la frase a metà, senza sapere bene cosa aggiungere. Qualcosa di più importante? Qualcosa di più forte? Qualcosa di più intimo?

«Sai cosa mi disse tua nonna quando mi presi una cotta per il mio migliore amico?»

Louis lasciò cadere le mani che teneva sotto il mento sul tavolo. Non si rese conto del tonfo che provocò, dato che temeva e bramava le parole di sua madre che sarebbero seguite. Parlava di “migliore amico”, pensò, aveva capito qualcosa? Forse l’avrebbe portato a dirle la verità sui suoi sentimenti proprio quel giorno?

«Disse: Un’ amicizia può diventare amore, ma un amore non torna mai amicizia.»

I loro sguardi si incontrarono e per un momento, lui si sentì come se la donna gli avesse letto l’anima. Forse lei aveva capito più di quanto credesse possibile.

Louis si sentì sopraffatto dalle emozioni e per evitare di scoppiare in lacrime, ancora, si infilò il giubbotto ed uscì frettolosamente di casa.

Camminò per un po’, senza la minima idea di che direzione prendere. Non sapeva dove andare, ma sentiva che camminando avrebbe trovato senza saperlo il posto giusto.

-

«Sono carini i cigni. Non credi?»

Harold le sorrise, senza sapere cosa rispondere. Annuì e sentì ancora le dita di Liz intrecciarsi alle sue. Era tutto così strano, perché doveva comportarsi così? Cosa stava cercando di fare?

«Vado a prendere da bere, vuoi qualcosa?» Disse lei saltellando verso una piccola casina in legno poco distante. Harold mimò “acqua” con la bocca, sperando che lei lo interpretasse correttamente.

Si appoggiò di spalle ad un grosso acero, stando attento a non sporcare la giacca, estrasse lo smartphone dalla tasca anteriore dei pantaloni e controllò sms e chiamate. Zero. Si sentì travolgere per un istante da una strana malinconia, come se si aspettasse di trovare qualcosa, che invece non c’era. Strano, pensò.

Facendo attenzione a non farsi avvistare, Louis si era sistemato su una panchina di pietra. Il quotidiano comperato poco prima al chiosco gli permetteva di nascondere il viso. Era abbastanza coperto da non essere riconoscibile, ma allo stesso tempo poteva osservare ciò che voleva da sopra le pagine spiegazzate. Un ottimo compromesso.

Squadrava Harold che armeggiava con il suo smartphone. Se lo passava da una mano all’altra come se fosse bollente. Sembrava impaziente, insicuro, forse contrariato. Non era semplice interpretare le sue emozioni così, a distanza, ma di certo Louis non poteva andare da lui. Avevano passato una bella mattinata insieme e non gli sembrava il caso di piombargli di nuovo addosso per parlare di cigni e pennuti vari. Si chiese se fosse tutta una coincidenza. Se fosse un caso che entrambe avevano deciso di tornare in quel parco quel pomeriggio. Chissà se anche per Harold la loro chiacchierata e quell’atmosfera tenera, che si erano create poche ore prima, avevano significato qualcosa. Louis avvertì una stretta allo stomaco al solo pensiero che i suoi sentimenti verso quel ragazzo bellissimo fossero corrisposti, abbassò lo sguardo sul giornale, perdendosi per qualche minuto nella lettura di un articolo sportivo.

Quando finì di leggere e risollevò lo sguardo, Harold era scomparso. Si sentì raggelare. L’aveva perso. Forse stava un po’ esagerando con la voglia di vederlo, ma d’altronde, si erano incontrati per caso e lui aveva solo voglia di osservarlo un po’ a distanza, in tutta la sua spontaneità. Si tirò il cappuccio della felpa fin sopra gli occhi, posò il quotidiano sulla panchina e si alzò di scatto, lasciandolo lì. Prese a camminare verso il boschetto. Gli sembrava di essere tornato bambino. Quando giocava a nascondino con i suoi amichetti e non sapeva mai in quale momento sarebbero spuntati da dietro l’angolo. Sentiva l’adrenalina salire, era emozionante. Spontaneamente rise.

Ma il sorriso gli morì sulle labbra, quando girando attorno ad un grosso salice, si ritrovò di fronte Liz ed Harold. Seduti a terra, sulla riva. Lui aveva le braccia tese e poggiate in dietro per sostenersi e lei, al contrario, stava con le gambe incrociate e i gomiti sulle ginocchia. Lo osservava mentre le raccontava qualcosa.

Un lampo di rabbia attraversò il corpo di Louis.

“Ovviamente le starà raccontando quella stupida storia sui cigni”, pensò.

Sentì un nodo alla gola, gli sembrava di essere sull’orlo di una crisi di nervi. Avrebbe voluto urlare, ma perché? Non aveva motivo di essere geloso. Liz era sua amica, e amica di Harold. Harold non era il suo ragazzo, e mai lo sarebbe stato. Quindi perché stare così?

Harold disse qualcosa, che apparentemente fu molto divertente, dato che lei gli si lasciò cadere contro travolta da un’assordante risata.

Per Louis quelle risa furono fin troppo da sopportare. Lo stomaco si contorceva, le labbra strette in una linea dura non lasciavano passare l’aria. Tratteneva il respiro, ed era furioso. Ma furioso con chi? Con Harold? Si, per averle fatto fare la stessa passeggiata che aveva riservato a lui, e che come un idiota aveva creduto speciale. Era furioso con Liz, che era a conoscenza della sua cotta per Harold. E con chi altro? Oh si, era furioso con sé stesso. Furioso per non aver mai detto la verità ad Harold, per non averla detta a sua madre. Per non averla detta al mondo intero. Perché doveva tenere per sé questo segreto? Cosa c’era di sbagliato nell’innamorarsi di un ragazzo?

Siamo nel ventunesimo secolo cazzo, non nel medioevo!” pensò.

Si ficcò le mani in tasca, abbassò la testa ed indietreggiò. Fece quattro o cinque passi lenti, mantenendo il contatto visivo con Harold mentre lui conversava beatamente con Liz.

Alzò gli occhi al cielo, stanco, saturo di immagini sdolcinate che mai avrebbe voluto vedere.

Tutto ciò che aveva sempre sognato con Harold era una cazzata. Un’enorme, smisurata cazzata. Era tutto un errore. Era stato tutto sbagliato fin dall’inizio. Forse era lui ad essere sbagliato.

Our Secret. -Larry Stylinson-Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora