Capitolo 15

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Niccolò's pov.
Ero vicino al suo letto, erano le due di notte, Adriano e Francesca erano tornati a casa, anche se un po' a malincuore, gli avevo convinti ad andarsene dicendo che sarei rimasto io.

Mi avvicinai di più con la sedia al letto dove Elena era immobile, era pallida, fredda, le sue labbra (sempre state di un colore roseo molto acceso) erano di un rosa molto chiaro. Quegl'occhi che mi fecero innamorare di lei mesi prima erano chiusi. Presi la sua mano, il suo tocco (sempre stato delicato e caldo) era freddo, non si muoveva.
La fasciatura sulla sua testa non mi faceva scorgere più quei suoi capelli bellissimi, di un biondo cenere quasi castano.

La stanza era vuota, silenziosa, le pareti bianche erano tristi. Mi girai a guardare il viso della mia Wendy. Non era il suo solito viso, aveva un'espressione cupa, quasi neutra, lei era sempre stata gioiosa, anche se timida, vivace, sorridente. Mi faceva male vedere in quella situazione la mia Wendy.

Mi scese una lacrima, poi un'altra, un'altra e un'altra ancora. Non resistevo più, era da quando l' avevano portata in ospedale che non piangevo, per mostrarmi forte, ma ero un bambino. Scoppiai in un pianto liberatorio, la stanza si riepmì dei miei ansimi provocati dal pianto, dai miei singhiozzi e, a volte, dalle mie urla soffocate.

Rimanevo a fissare la mia ragazza, ma mi faceva male, ogni volta che la guardavo una parte di me moriva. È tutta colpa mia, sapevo della situazione, eppure l'ho fatta uscire con me e l'ho lasciata da sola nel parcheggio, mi ripetevo questo. Come avevo potuto permettere che un coglione facesse del male alla mia Wendy. Lei era l'unica persona che mi capiva veramente e che nei miei 23 anni mi aveva insegnato qualcosa sul serio, e ora? Ora...sta morendo, sta morendo per il capriccio di uno stronzo digrignai i denti e strinsi i pugni oh ma non la passerà liscia quell'uomo dissi quasi urlando.

Quello stronzo aveva ucciso la mia vita. La mia felicità. Il mio sole. Il mio colore. Il mio sorriso. Aveva ucciso la luce che aveva negli occhi Elena. Aveva ucciso il suo sorriso. Aveva ucciso i baci. Il suo tocco. Si, perché Elena era tante cose insieme, era la mia confusione, ma anche la mia certezza. Il mio punto fermo. Era ciò che colorava le tele bianche che avevo dentro, e che aspettavano da tempo qualcuno che capisse di cosa avessero bisogno. Lei era l'unica che era riuscita a farmi battere di nuovo il cuore. Lei era quella sola persona al mondo che era riuscita a farmi venire i brividi solo con una carezza. Lei era una di quelle poche persone rimaste, che arrossivano ad un complimento come sei davvero bella oggi, perché si, lei non era come gli altri. Lei era una farfalla, volava sulle teste di chi diceva che non ce l'avrebbe fatta. Lei era una persona speciale. Lei sapeva volare. A lei mancavano solo le ali per farlo. Quelle stesse ali che stavano crescendo. Le ali che, i genitori, avevano cercato di tagliarle, ma che lei aveva difeso con tutta la sua forza. Le stesse ali che ha usato per combattere Claudio. Quelle ali, saranno le ali che la salveranno dalla morte. Perché lei è una guerriera, e le guerriere non si arrendono mai. Le guerriere lottano sempre, lottano fino alla morte. Lottano per i loro obiettivi. Lottano...e vincono.

Lei era tutto. E quel "tutto" non sarebbe sparito. Perché ero convinto che sarebbe guarita.

Mi alzai dalla sedia su cui ero seduto e le diedi un bacio sulle labbra, mi avvicinai al suo orecchio e dissi tu non mi senti, ma sappi che io so...so che ce la farai, guarirai, ti risveglierai e sarai più forte di prima, piccola guerriera...tu sei forte. Quell'uomo la pagherà cara, tranquilla piccola. Finii di parlarle e le diedi un bacio sulla bocca.

Uscii dalla stanza e andai alla finestra dell'ospedale, avevo bisogno di fumare, fumare mi calmava, sapevo bene che faceva male e Elena me lo aveva ripetuto più volte, ma io in quel momento ne avevo bisogno, dovevo sciogliere la tensione. Aprii la finestra e presi il mio pacchetto di Winstone, le mie sigarette preferite, ne accesi una e me la misi in bocca. Decisi che sarei passato dalla polizia subito dopo aver chiamato Adriano e Francesca per dirgli di venire qua a fare compagnia a Elena. Tolsi la sigaretta dalla bocca, emisi un bel po' di fumo e rimisi la sigaretta dov'era prima. Chiamai Francesca
F: pronto nic? Chiese con voce impastata col sonno, sicuramente l'avevo svegliata, dopo tutto erano le 2:35 di notte
N: sei con Adriano giusto? Verreste qua a stare con Elena? Io devo andare alla stazione di polizia sentii un sottofondo di voce maschile, era Adriano, quindi erano insieme quei due piccioncini, chissà che avevano fatto quando erano tornati a casa...non era tempo di fare pensieri strani, la voce di Francesca rispose con un si sbrigativo, chiuse la chiamata.

Spensi la sigaretta e mi avviai verso la centrale, a pochi passi dall'ospedale. Avevo, come mio solito, gli occhiali da sole, anche se era notte fonda. Appena arrivato in centrale me li tolsi, dopo tutto dovevano vedere che ero io. Salutai cordialmente una donna sulla cinquantina che era all'entrata della sala, quest'ultima mi indicò la strada per la sala dell'interrogatorio.

Entrai in questa grande stanza, c'era una penombra abbastanza inquietante, un uomo e una donna, abbastanza giovani, erano seduti alla scrivania. Salutai entrambi e mi misi a sedere sulla sedia di fronte al tavolo.
P1(primo poliziotto):lei è il signor moriconi giusto? Chiese con fare sospettoso, mi scrutò un attimo e poi ritornò nella sua posizione iniziale, annuii solamente, mi sentivo in soggezione e non riuscivo a parlare
P2(secondo poliziotto): Paolo, sii gentile col ragazzo, non vedi che l'hai messo in sogezzione? Disse la donna battendosi sulla fronte una mano, che poi mi porse gentilmente per presentarsi
P2: io sono Chiara, ma tu sta tranquillo, è un semplice interrogatorio, sappiamo che non sei stato tu, abbiamo già iniziato ad indagare

Spazio autrice
Spero vi piaccia questo nuovo capitolo. NON SIATE SILEZNIOSI❣️ ditemi che ne pensate🌟

forse era destinoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora