Capitolo 22

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Elena's pov.

Ero sull'ambulanza, tenevo per mano il mio ragazzo, il suo tocco era freddo. I suoi occhi chiusi. I medici gli giravano intorno attaccando al suo petto fili su fili. Alla bocca la mescherina. Un medico inizia ad urlare al conducente di andare più veloce, era in condizioni critiche. Io avevo le lacrime agl'occhi. Singhuozzavo, urlavo. Un medico mi aveva dato una coperta, per "calmarmi". Calmarmi un cazzo. In quel momento per farmi stare bene avevo bisogno solo di lui. Di un suo abbraccio e di un suo andrà tutto bene.

Arrivammo in ospedale, i medici si precipitarono in sala operatoria con Niccolò su una barella. Cercai di seguirli, ma in medico mi sbarrò la strada. Mi misi a sedere su una di quelle scomode sedie nella sala d'aspetto. Le mani fra i capelli. Il viso bagnato. La gola dolorante per le urla. Le guance nere per il mascara colato.

Avevo perso. Avevo perso tutto. Quel brutto stronzo ce l'aveva fatta a rovinarmi la felicità. Ce l'aveva fatta a farmi rimanere da sola. Ce l'aveva fatta a farmi urlare dal dolore. A togliermi l'unico posto nel mondo che avevo. Volevo combattere. Si. Ma come facevo?. Mi accasciai su quella sedia. Chiusi gli occhi. Erano pesanti, li sentivo secchi. Forse per il pianto. Forse perché volevo andarmene per un po' da quella terra.

Camminavo nel buio, era tutto nero, mi guardai le mani, le vidi pallide, quasi trasparenti. Poi una luce. In lontananza vidi la luce di qualcosa. O meglio qualcuno. Si avvicinava a passo lento verso di me. Era una figura slanciata. Ma non troppo. Quella figura, prima irriconoscibile, era Niccolò. Gli corsi incontro. Gli saltai addosso. Lui mi prese. Sorrise."rimanimi vicino, perfavore" disse una volta. Poi sparì. Caddi a terra. Ma non mi feci male, mi rialzai. E ricominciai a camminare. Arrivai ad una casa, entrai e vidi me e lui abbracciati. Lui che ripete la stessa frase di prima e poi aggiunge "combatti tesoro, sei forte". Stringo i pugni.

Vengo scossa da qualcosa. Apro gli occhi. Un medico mi guardava compassionevole. Era un sogno. Ma di certo non era stato un sogno a caso. Avrei fatto come diceva lui. Avrei combattuto. Combattuto per me e lui, per NOI, perché io lo amavo e non avrei permesso a nessuno di toccarlo. Mai più.
D:signorina, ha bisogno di un lettino? Chiese gentilmente il dottore, scossi la testa in segno di negazione
E:no, no...come sta il mio ragazzo? Chiesi spalancando gli occhi e in tono di supplica
D: il suo ragazzo sta bene, il proiettile, per fortuna, non ha colpito organi vitali, abbiamo fatto una trasfusione urgente, ha perso molto sangue. Ora è in camera da letto. È sedato, deve riposare almeno fino a domani, poi è libero di andare. La stanza è al secondo piano, numero 12. Dopo aver ringraziato, stavo andando da lui, quando il dottore mi fermò signorina, la polizia non ha ancora trovato il colpevole, sa benissimo chi sia, ma non riescono a trovarlo. Stia attenta ringraziai di nuovo il dottore per l'informazione e raggiunsi Niccolò nella camera.

Entrai, mi distesi sul letto accanto a lui. Lo guardai. L'addome fasciato, leggermente intriso di qualche goccia di sangue. Una mascherina al viso e diversi fili attaccati alle braccia e al petto. Le lacrime mi rigarono di nuovo il viso. Quella stanza così bianca, neutra, si riempì dei miei singhiozzi. Mi alzai dal lettino e mi avvicinai a lui. Presi la sua mano e la strinsi forte. Mi avvicinai al suo orecchio so che non mi sentirai, ma sappi, io non ti abbandonerò mai, ti prego, non lo fare nemmeno tu, che questo mondo è meno schifoso se mi tieni la mano una lacrima cadde sulla mano che stringevo. Il suo tocco era freddo. La sua pelle candida era pallida. Le sue labbra di un rosa molto chiaro. I suoi occhi, quei fottuti occhi, quegli occhi marroni, di un semplice marrone, che però ti fa innamorare, erano chiusi. Mi accasciai sulle mie ginocchia ti prego cazzo, non mi abbandonare, non lasciarmi, combatterò per te, per noi, ma non mi lasciare qua, se devi volare via...portami con te sussurrai mentre ancora ero accasciata sulle mie ginocchia.

Uscii dalla stanza, dovevo chiamare Adriano e Francesca. Chiamai Francesca, sapendo che erano insieme.
F:prooonto Ele rispose euforica, non sapeva niente di ciò che era successo
E: venite in ospedale perfavore, Niccolò è stato sparato da Claudio dissi con voce rauca e ancora instabile per il pianto
F: arriviamo il suo tono si fece serio e preoccupato.

Dopo pochissimo tempo arrivarono anche loro. Adriano si precipitò da me, mi prese per le spalle e mi scosse dolcemente
A: che è successo?! Disse piano, anche lui con gli occhi lucidi, le guance lievemente bagnate, probabilmente aveva già versato qualche lacrima.
E: Claudio...Claudio gli ha sparato, voleva mirare a me, ma lui mi ha spostato e si è fatto colpire Scoppiai in pianto dovevo esserci io al suo posto...prima di chiudere gli occhi mi ha detto di restargli accanto e ha sorriso...CAZZO...dovevo stare io su quel lettino indicai con un dito il lettino su cui era steso Niccolò e immersi il viso tra le mie mani. Singhiozzavo rumorosamente. Adriano e Francesca piangevano come me. Adriano mi abbracciò. Un abbraccio rassicurante e dolce.
A: Niccolò è forte, anche tu e noi siamo forti. Ce la faremo. Mi disse mentre io ancora ero fra le sue braccia, si mise nell'abbraccio anche Francesca.

Ormai era pomeriggio tardi, era sera. Ero rimasta accanto a Niccolò tutto il giorno. Gli stringevo la mano. Ripetevo più volte ci sono, non ti abbandono credevo mi sentisse, anche se sapevo che non era così. Tremavo ancora. Ogni due per tre una lacrima mi rigava il viso. Ma sapevo che dovevo essere forte, stavolta dovevo essere io la roccia a cui si sarebbe aggrappato lui. Adriano entrò in stanza.
A: vai a casa Ele, rimango un po' io qua, devi riposare. Ho chiamato Jacopo, gli ho raccontato tutto. Potrai incidere il tuo primo pezzo la settimana prossima, così avrai il tempo di riposarti. Disse in tono dolce Adriano, non volevo andarmene, ma aveva ragione, dovevo riposare e poi spugna non vedeva me e Niccolò da stamattina, avevo incaricato Francesca di passare a casa mia e dargli da mangiare. Ma non era la stessa cosa. Annuii, diedi un bacio in fronte a Niccolò e uscii dalla stanza.

Andai a casa in autobus, avevo comunque 17 anni e non avevo la patente. Per fortuna era poco distante. Girai le chiavi di casa. Appena aprii la porta spugna mi saltò addosso leccandomi. Lo accarezzai dolcemente. Non avevo molta voglia di giocare, ma dovevo distrarmi. Andai a letto e concessi a spugna di stendersi accanto a me. Probabilmente aveva capito che c'era qualcosa che non andava, così si mise appoggiato a me, e iniziò a leccarmi il collo.

Spazio autrice
Spero vi piaccia questo nuovo capitolo. Non odiatemi. NON SIATE SILENZIOSI❣️

forse era destinoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora