Mara aprì gli occhi nella camera immersa nella penombra; l'ora di alzarsi era già trascorsa ma, contrariamente al solito entusiasmo che la accompagnava nell'iniziare un nuovo giorno, ultimamente svegliarsi era diventato faticoso, quasi una sofferenza. Non aveva voglia di uscire dalle coperte, si sentiva svuotata e le giornate le sembravano essersi trasformate in un'insopportabile routine di visi indifferenti e azioni vuote. Si chiese che ragione avesse di affrontare anche oggi tutta quella noia. Non trovando un valido motivo per uscire dal letto, rimase avvolta nelle lenzuola intiepidite dal calore della sua pelle a giocherellare con le dita affusolate sotto il pizzo delle sue mutandine, indulgendo in quelle morbide tenebre mentre i pensieri correvano verso quell'unica persona a cui la sua gioia di vivere era legata come con un doppio filo. Quasi il respiro le si bloccò in gola, così intenso era il dolore che le tagliò il cuore. Stefano era l'unico motivo che ogni giorno le aveva donato il coraggio di alzarsi dal letto, e ora gli era rimasta solo la consolazione di poterlo incontrare solo nei suoi più intimi sogni a occhi aperti. Lasciò scivolare l'indice lì, dove la parte maschia dell'uomo che amava non aveva avuto mai occasione di conquistarla ma, appena prima dell'apice dell'oblio, sentì la voce di sua madre che la chiamava dalla cucina. Quel grido la colpì come una frustata, risvegliandola da quel languido torpore come se le avessero rovesciato addosso una secchiata d'acqua. Frastornata, Mara si alzò a malavoglia, mentre sua madre continuava a cercarla. Scostate le tende, aprì i vetri della finestra, lasciando che l'aria gelida che scendeva dalle montagne lavasse via dalla sua carne i fumi di quelle fantasie morbose. Dopo essersi sciacquata la faccia, indossò una gonna in lino ricamata che a Stefano era sempre piaciuta tanto. Entrando in cucina, si sorprese di non sentire i profumi dei succulenti manicaretti che di solito inondavano la casa a quell'ora. Trovò, invece, sua madre seduta su una sedia di paglia accanto al camino spento. Non l'aveva mai vista oziare a quell'ora di mattina: di solito riordinava la casa o metteva a cuocere sul fuoco le pietanze per il pranzo. Oggi, però, se ne stava seduta accanto alle braci, con il viso segnato da un'angosciosa ombra. «Va tutto bene, mamma?» le chiese Mara, prendendole preoccupata una mano tra le sue. Sua madre si sforzò di accennare un sorriso. «Puoi andare tu a comprare latte e pane?» le chiese «questa mattina non ho ancora fatto in tempo a prepararmi per uscire.» Mara si stupì di quell'insolito comportamento, ma decise di non lasciare trasparire nulla dei suoi timori. Prese gli spiccioli dalla credenza e assecondò la sua richiesta; diede un bacio a sua madre sopra la cuffia dei capelli e, guardandola con apprensione, corse giù dalle scale.
Appena aprì il portone, il sole estivo spazzò via tutte le nubi dalla sua anima, e Mara sentì tornarle il suo solito buonumore. Era più forte di lei: per quanto potessero essere gravi i problemi in cui si trovava invischiata, era sufficiente un raggio luminoso nel cielo azzurro per restituirle la gioia di guardare con speranza al futuro. Camminò lentamente, curiosando nelle vetrine dei negozi, per godersi appieno la mattinata prima che la giornata diventasse troppo afosa. Decise di passare per il parco, per ammirare le siepi di rose nella loro meravigliosa fioritura e vide su una panchina all'ombra delle fronde una giovane mamma allattare la sua piccola. Mara la guardò con un misto di desiderio e paura: conosceva quella ragazza, aveva solo qualche anno in più di lei ed era rimasta incinta appena prima che suo marito fosse richiamato per la Russia. Osservò la piccolina che, dopo aver poppato avidamente, si era addormentata con le labbra ancora attaccate al capezzolo della madre. Del padre di quell'angioletto non si avevano più notizie e la prefettura lo aveva dato per disperso. Non riusciva proprio a immaginare lo stato d'animo di quella ragazza, che avrebbe potuto essere lei, e si chiese come avrebbe reagito se si fosse venuta a trovare nella sua stessa situazione. Immediatamente, il suo pensiero volò a Stefano: chissà dove si trovava adesso. Lottò contro la nostalgia delle serate trascorse a chiacchierare con lui al chiaro di luna e le tornarono in mente i baci e tutti i sogni ora messi in secondo piano per colpa di un ideale. Questa bandiera sul cui altare una persona diventava disposto a sacrificare tutto quello che possedeva di più caro: vita, affetti e felicità. Stefano sosteneva che l'ideale era l'unica differenza tra loro e le bestie, ma lei ora iniziava a chiedersi se gli animali non vivessero più felici di loro, liberi da tutte quelle sovrastrutture mentali. Immersa nei suoi pensieri, Mara oltrepassò un posto di blocco, senza accorgersi dei vitelloni in uniforme che la spogliavano con gli occhi, e si ritrovò sulla porta della panetteria. Con un tintinnio di campanelli, scostò le tendine di paglia intrecciata, entrando in mezzo alle massaie immerse nei loro pettegolezzi, mentre un garzone con il grembiule sporco di farina tirava fuori dal forno delle pagnotte fragranti, il cui aroma le solleticò le narici. Camminando tra i vasi in vetro pieni di caramelle colorate e le ceste in vimini con i grissini che la stuzzicavano tanto, Mara stava facendo mente locale su quello che sua madre le aveva chiesto di comprare, quando un tuffo al cuore la assalì. Una signora parlava animosamente con la moglie del panettiere, mentre un capannello di pettegole ascoltava la conversazione, ogni tanto intervenendo a dire la propria. La signora al centro dell'attenzione era nientemeno che la madre di Stefano. Fingendo di curiosare tra i barattoli di caramelle, Mara si avvicinò al gruppetto per origliare. Le gambe le iniziarono a tremare appena capì di che cosa stessero parlando: la mamma del ragazzo che amava stava raccontando di aver ricevuto notizie di suo figlio, ma il brusio di quelle oche era così fastidioso che la moglie del panettiere dovette richiamarle più volte all'ordine per permetterle di concludere la sua storia. Dopo la partenza di suo figlio con i fascisti, lei e suo marito erano rimasti per alcune settimane senza saperne più nulla, fino a una domenica pomeriggio, quando Giuseppe, il barista del Bar Impero, aveva mandato il suo garzone a chiamarli a casa per avvisarli di avere in linea una telefonata da parte del loro figlio. Accorsi al bar, la chiamata, anche se breve, li aveva rincuorati: Stefano aveva detto di sentirsi stanco per le esercitazioni impegnative, ma di stare bene; poi, era passata circa un'altra settimana senza nuove. Dopo che una sua conoscente, cognata di un giornalista, le aveva raccontato che il battaglione di Stefano era stato inviato come rinforzo a Pantelleria, lei e suo marito, preoccupati, avevano cercato di mettersi in contatto con il prefetto per avere maggiori notizie, ma il suo segretario non aveva mai risposto alle loro richieste, nascondendosi dietro scuse dozzinali. Ieri sera, invece, il prefetto in persona li aveva mandati a cercare da un suo messo per avere con loro una conversazione privata, ricevendoli nel suo ufficio con urgenza. Accogliendoli con calore, li aveva informati che Stefano si era particolarmente distinto durante le manovre militari, ma in una recente azione era stato ferito alla testa. Accorgendosi che lei era immediatamente sbiancata in volto, il prefetto li aveva rassicurati, specificando che il loro figlio era fuori pericolo e cosciente. La ferita, però, era stata tale da non permettergli di rimanere ancora in prima linea: il comando fascista aveva allora deciso di riassegnarlo alle retrovie e lui aveva ottenuto di farlo inviare alla guarnigione stanziata di piantone in paese dopo i tafferugli di qualche giorno fa. Mara si appoggiò al bancone della panetteria perché la testa aveva iniziato a girarle: i suoi sogni più proibiti erano diventati reali, e Stefano stava tornando a casa. La panettiera la notò con la coda dell'occhio e le chiese di cosa avesse bisogno; Mara faticò un attimo a riordinare i pensieri, ma poi riuscì a ripetere meccanicamente l'elenco dettatole da sua madre. Dopo essere stata servita, uscì dalla panetteria con due sacchetti pieni di pane e il cuore ricolmo di felicità: presto avrebbe potuto riabbracciare la ragione della sua vita. Non vedeva l'ora che Stefano le raccontasse quell'incredibile esperienza e già fremeva di orgoglio al pensiero che il suo amore si fosse particolarmente distinto in battaglia. Corse lungo il viale sotto i gelsi fioriti, cantando da quanto era felice. «Fai attenzione!» le urlò una massaia carica di sporte, dopo aver quasi rischiato di scivolare sul marciapiede per evitare di sbatterle contro, ma Mara continuò a saltellare senza guardare la strada, sognando a occhi aperti di rotolarsi nell'erba abbracciata a Stefano. I brontolii del suo stomaco interruppero quelle fantasie, ricordandole che non aveva ancora fatto colazione; diede un morso a una francesina che aveva fatto capolino dal sacchetto e si specchiò nella vetrina del cartolaio, scoppiando a ridere quando si accorse di essersi sporcata le guance di farina. Il negozio del cartolaio la metteva sempre di buon umore. Si ricordava che, da bambina, entrando da quella porta, le era sempre sembrato di varcare la soglia di un parco giochi incantato. Curiosare tra gli scaffali pieni di matite e pastelli colorati era sempre stata un'avvincente avventura, e quelle ceste di vimini rivelavano sempre nuove sorprese alle mani che avessero avuto la perseveranza di frugarle con pazienza. Un urlo interruppe la scia dei suoi ricordi. Attraverso la vetrina, Mara vide l'anziano bottegaio rannicchiato sul pavimento, e si trovò a contemplare una scena che la lasciò senza fiato. Un militare stava prendendo a calci il vecchio cartolaio che giaceva a terra inerme, mentre un altro soldato si divertiva a buttare giù i libri dagli scaffali. Spaventata, Mara si ritrasse dalla vetrina e gridò per chiamare aiuto, quando si sentì stringere il braccio. Si voltò, facendo una smorfia per il dolore e si trovò davanti ad un altro fascista. «Ti conviene tornare a casa, ragazzina» le intimò il caporale, mentre i passanti fingevano di non accorgersi di quanto stava accadendo «tua madre sarà preoccupata» le disse il soldato. Mara accennò una timida protesta, ma il militare la strattonò, facendola cadere sul marciapiede mentre alcuni panini infarinati rotolavano fuori dal sacchetto; «torna a casa» le ripeté il fascista, rientrando nella cartoleria mentre, rossa in viso, Mara si guardava intorno disorientata. Era quasi mezzogiorno. Un carabiniere si tolse il basco per chinarsi a bere un po' d'acqua dalla fontanella all'incrocio. Sistematosi il colletto della divisa, attraversò il viale scendendo verso la piazza, come se niente fosse. Sul marciapiede la gente camminava affrettando il passo. L'anziano cartolaio urlava. Il sole estivo splendeva nel cielo senza nuvole.
🎹 Spazio autore 🎹
Qui i riferimenti sono palesi. La scena del cartolaio è ispirata dal film La vita è bella di Roberto Benigni.
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I silenzi del pianoforte
Historical Fiction[COMPLETA] 1943. Stefano e Yael sono due adolescenti, diversi tra loro, ma accomunati dall'amore per la stessa giovane ragazza, Mara, una studentessa della borghesia bene della città. Yael è un giovane ebreo, uno studente di pianoforte che vive imme...