Epilogo

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Yael salì verso la montagna, ma passo dopo passo si sentiva come se una forza invisibile gli stesse prosciugando ogni linfa vitale, mentre la vetta non sembrava avvicinarsi di un solo dito. Nuvole minacciose avevano oscurato il cielo e la pioggia cadeva a dirotto, rigandogli il viso mentre, barcollando come un ubriaco, faticava a reggersi in piedi: il paesaggio montano vorticava attorno a lui e una nausea violenta gli rimescolava le budella. Si era sentito così solo un'altra volta nella vita, quando, per curiosità, aveva assaggiato una bottiglia di vodka presa dalla madia in salone: dopo essere stato in bagno tutta la notte, il giorno dopo era rimasto a letto e sua madre non l'aveva neppure mandato a scuola. Arrancando con gli occhi semichiusi, dovette spremere la sua scarsa resistenza fisica per non scivolare sulle pietre bagnate che rendevano impervio camminare sul sentiero sempre più in salita. I suoi stivali sprofondarono nel fango e ogni tanto inciampava in qualche radice sporgente, ma impossibile da distinguere a occhio nudo perché il buio aveva avvolto la vallata: le nuvole cariche di lampi avevano oscurato le montagne e sui monti sembrava scesa la notte. Correva sotto gli alberi per cercare riparo dal temporale, ma lo scroscio impetuoso lo aveva tutto inzuppato; si toccò i vestiti fradici e starnutì, mentre la ferita al braccio riprese a bruciargli. Mentre arrancava, lottando contro la furia della tempesta, i ricordi corsero alla sua adolescenza, che ora gli appariva solo come un incomprensibile sogno: la vita gli aveva mostrato il suo vero volto ed era quasi contento di avere finalmente sperimentato sulla propria pelle la devastante sofferenza della realtà. Con la testa persa dentro deliri esistenziali febbricitanti, si aggrappò a un ramo per non scivolare. Tossì e si toccò la fronte bollente: gli stava venendo anche la febbre. Salendo lungo i tornanti verso il valico, faticava a rimanere in equilibrio a causa della violenza del nubifragio: la pioggia cadeva impetuosa, senza tregua, con gocce veloci come aghi che gli mitragliavano la carne. Mentre gli alberi del bosco gemevano, piegando i rami sotto la furia del vento, alcuni sassi rotolarono giù dal pendio e dei pezzi di terreno si sgretolarono franando dalla parete rocciosa. Dopo non avrebbe saputo dire quante lacrime, Yael superò l'ennesimo tornante e la mulattiera piegò dolcemente verso una chiesetta di montagna decorata da un basso campanile in pietra. Se non fosse stato per l'atmosfera da tregenda, l'immagine che si presentò ai suoi occhi increduli sarebbe assomigliata proprio a una di quelle classiche illustrazioni che si vedevano sui libri per bambini. Sperando di poter trovare riparo all'interno della chiesa, accelerò il passo, correndo a perdifiato fino al portico sotto la pioggia scrosciante. Con l'ultimo alito di forza che gli rimaneva in corpo, spinse le mani contro l'uscio della chiesa, ringraziando Dio quando la porta si aprì. Lasciandosi il rimbombo del temporale alle spalle, entrò nel santuario. Camminò lungo la navata in penombra e salì i gradini che portavano all'altare mentre osservava gli affreschi, così scoloriti che a fatica riuscì a riconoscere le sembianze della Madonna dei Cristiani. Arrivato all'altare, i suoi occhi caddero sui bianchi tasti di un vecchio organo sotto lo scarno crocefisso dell'abside. Si sedette allo sgabello. I pedali non erano funzionanti e l'accordatura pessima, però i registri sembravano rispondere quasi tutti. Sfiorò i tasti, ma le dita rimasero immobili: la sua memoria era come svuotata e, per la prima volta nella sua vita, non riuscì a farsi venire in mente neppure una partitura. Si ricordò di quanto suo padre fosse stato orgoglioso di lui, le poche volte che si era fermato ad ascoltarlo, prima di uscire di casa e sparire per giorni a causa del suo lavoro. Il viso di sua madre gli apparve davanti agli occhi, splendido come il sole, una mattina quando, dopo aver fatto colazione insieme, lui le aveva suonato una ballata di Chopin di cui era sempre stata innamorata. Tra quelle mura umide si congelava. Gli girò la testa e le palpebre divennero pesanti. Quasi senza che lui potesse accorgersene, le sue dita intonarono una melodia, anche se non riuscì a capire di che musica si trattasse ... poi, la riconobbe: era quella meravigliosa preghiera sentita nella chiesa del paese, quel pomeriggio che vi si era rifugiato con il cuore sconvolto dopo aver parlato con Mara. Com'era quel canto così bello ... l'anima mia ... le dita correvano sui tasti, ma i suoi occhi ormai faticavano a rimanere aperti ... magnifica il Signore ...

I ricordi sembrarono dissolversi, svanendo in un gelido oblio di dolore e tenebre: a parte la stanchezza, non sentiva più nulla. Forse, ecco cosa si provava quando si moriva: non era poi così spiacevole. Reclinò la testa sulla tastiera e socchiuse le palpebre, pregando di non svegliarsi mai più, come se scivolare nel nulla fosse rimasta l'unica possibilità per lavare via dalla pelle tutto quel male. Si arrese, lasciando che il sonno prendesse il sopravvento su ogni resistenza. Il sapore salato delle lacrime gli pizzicò le labbra, mentre si abbandonava a un confuso dormiveglia.

... e il mio spirito esulta in Dio mio salvatore ...

Una mano gli accarezzò i capelli.

Aprì gli occhi, ma la luce lo accecò.

Sorridendo, Mara si chinò su di lui.

Il sole splendeva, nel cielo azzurro di un'estate che sembrava non voler finire mai.

Il sole splendeva, nel cielo azzurro di un'estate che sembrava non voler finire mai

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🎹 Crediti e ringraziamenti 🎹

Grazie per aver letto tutto il romanzo. Ti ringrazio di cuore per essere stato con me fino alla fine 😀. Spero che sia stata un'esperienza piacevole che abbia stimolato anche riflessioni o curiosità per l'argomento storico trattato.
L'immagine all'inizio di questo capitolo è la Natività del roseto di Bernardino Luini, un pittore che amo tantissimo, che ha dipinto Natività elegiache e ispirate. Se ti capita di passare da Brera o da Saronno, prova a cercarne qualcuna.
Un ringraziamento speciale va a Cristiano Ferioli, primo beta reader di questo romanzo, di cui ha corretto molte inesattezze sui riferimenti storici. Un ringraziamento anche a Carlo Arbini, per avermi aiutato a rendere credibili i riferimenti agli avvenimenti reali della seconda guerra mondiale e a sincronizzarli cronologicamente con le vicende del romanzo.
Grazie a Bruno, per la citata testimonianza sui fatti storici avvenuti a Samarate.

E, sopratutto, grazie ancora a te, per aver letto fino alla fine 🙏

Alla prossima storia... 👋

I silenzi del pianoforteDove le storie prendono vita. Scoprilo ora