Capitolo 18

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Ansimando dietro i partigiani, Yael giunse finalmente alla fattoria. Entrò nel cortile della malga abbandonata e si trascinò fino a un recinto di capre, dove l'odore di sterco misto all'arietta frizzante solleticò le sue narici. I soldati lasciarono cadere gli zaini sotto un portico e Yael, madido di sudore, si appoggiò al muro della stalla. Sotto i suoi stivali, la paglia era sporca di escrementi che si appiccicavano alle suole. Disgustato, il giovane ebreo distolse lo sguardo e alzò gli occhi verso le montagne, per ristorarsi un po' la vista, ma la visione che gli comparve davanti superò infinitamente per bellezza qualsiasi paesaggio che avesse mai potuto contemplare. In mezzo alle galline nell'aia, c'era una giovinetta che spargeva il becchime sull'erba, coperta da uno scialle logoro che però non riusciva a svilire la sua grazia, quasi che lei fosse come un'alba sorta dopo una notte tormentata dagli incubi. All'inizio Yael credette di stare sognando, e rimase a contemplarla incredulo. Quante tante lacrime aveva versato in quei lunghi giorni di cupa disperazione, pregando che questo momento avvenisse. E ora, che tutto era diventato vero, Yael non riusciva ancora a credere che lei fosse lì, davanti a lui, in carne e ossa. Il capo pattuglia si avvicinò a Mara, stringendole un braccio attorno ai fianchi. Una fitta trafisse il ragazzo al cuore vedendo il partigiano che la baciava sulle labbra. 

Non aveva fatto in tempo a ritrovarla che già l'aveva persa, pensò Yael, con il cuore che passava dalla gioia alla disperazione più cupa

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Non aveva fatto in tempo a ritrovarla che già l'aveva persa, pensò Yael, con il cuore che passava dalla gioia alla disperazione più cupa. Il mondo gli crollò addosso, un'altra volta, come se, appena dopo essere uscito da un incubo, subito ne fosse iniziato un altro ancora peggiore. Troppo turbato da tutta quella serie di eventi per riuscire a ragionare a mente lucida, Yael non capiva se si sentisse più contento per averla ritrovata o sconvolto per averla già persa di nuovo. Immerso com'era in questi pensieri, non si accorse che il capo dei ribelli si era girato verso di lui, ancora imbambolato a fissarla a bocca aperta. «Ehi!» esclamò il partigiano, strattonandolo, perché sembrava come ipnotizzato «che cosa ti succede, hai visto un fantasma?» Yael ignorò la domanda del partigiano e cercò di incrociare quegli occhi tanto desiderati. Mara, però, abbassò lo sguardo, e rientrò di corsa nella vecchia casa in pietra. Si era comportata come se non lo avesse riconosciuto, pensò Yael, anche se gli era sembrato di aver intravisto un lampo in fondo allo zefiro di quei cieli, ed era rimasto disorientato da quell'ostentazione di pudicizia. Sentì che il capo pattuglia gli stava stringendo il braccio, fino a fargli male. «Bella, vero?» si vantò il partigiano sogghignando «ti conviene non sognarla troppo a occhi aperti, però, perché quella donna è proprietà privata» lo avvisò, aumentando la stretta. Il ragazzo sentì una zaffata del sudore rancido del partigiano salirgli alle narici e provò quasi nausea. Il capo dei ribelli mollò la presa per accendersi una sigaretta e Yael si massaggiò il braccio: la stretta era stata così forte da lasciargli un livido. «Sei libero di gironzolare qui attorno fino all'ora di cena» lo avvisò il militare «poi, dopo mangiato, decideremo che mansioni assegnarti.» Il capo dei partigiani gli diede le spalle e si avviò verso la latrina, lasciando il giovane ebreo da solo nell'aia, in mezzo alle galline che beccavano tra l'erba mentre il pomeriggio volgeva all'imbrunire. Yael annusò il profumo di zuppa di verdure che usciva dalle finestre, e si ricordò delle cene condivise con i suoi genitori nella loro bella villa di famiglia. A quei tempi, pensò amaramente, non faceva che lamentarsi per la noia di quelle serate tutte uguali; adesso, invece, avrebbe dato chissà cosa per sedersi attorno a quella tovaglia di lino, in compagnia di sua madre che passava a riempirgli il piatto di filetti di tonno piccante. Entrando in casa per cenare, i partigiani gli gettarono delle occhiate, incuriositi da quel bizzarro ospite, che sembrava assomigliare a tutto tranne che a un militare. Yael ricambiò i sorrisi bonari che i ribelli gli rivolgevano, pensando che forse lo consideravano una specie di pulcino appena caduto fuori dall'uovo o qualcosa del genere; nel modo in cui lo guardavano, percepiva tuttavia una certa benevolenza, del tutto assente nei fascisti che aveva incrociato in caserma, da cui aveva sempre paura di essere preso a calci nel sedere da un momento all'altro. Era la prima volta che vedeva dal vero questi fantomatici partigiani, di cui aveva sentito spesso i fascisti parlare preoccupati come di un movimento che stava raggruppando gli oppositori al regime in brigate organizzate; adesso, però, si sentiva troppo stanco per pensare alla politica: avrebbe voluto solo gettarsi sulla paglia e chiudere gli occhi, dimenticandosi persino di come si chiamasse. Ma come poteva abbandonarsi al sonno, quando aveva appena incontrato l'unica persona il cui ricordo, in queste settimane terribili, era stata la sola forza capace di donargli il coraggio per alzarsi in piedi? Sull'onda di questi pensieri confusi, il giovane ebreo varcò la porta. Vide che i militari stavano mangiando attorno a un tavolaccio di legno nel salone in penombra della casa contadina, con i fucili appoggiati alle pareti in pietra vicino agli zaini, mentre la fiamma di un grande camino scoppiettava sotto un pentolone dentro cui bolliva il rancio. Seduta vicino al fuoco acceso, Mara girava con un mestolo quella che sembrava una minestra di legumi e verdure. A Yael sembrò che la ragazza si fosse accorta di lui, ma non riuscì a sincerarsene perché Mara si alzò di scatto e uscì furtiva dalla porta sul retro. Il giovane ebreo la seguì ma, appena fuori nel prato, vide il capo dei partigiani che le andava incontro e preferì nascondersi. Il militare afferrò Mara per mano e la condusse con sé verso il fienile. Yael si sporse dal cespuglio per spiarli ma, all'improvviso, il capo dei partigiani si girò a guardare nella sua direzione, come messo in allarme da una specie di sesto senso. Un vero istinto da soldato, pensò Yael, facendo appena in tempo ad appiattirsi sull'erba, mentre pregava di non essere stato visto. Dopo una decina di minuti, che al ragazzo sembrarono lunghi un'eternità, il capo dei partigiani uscì dalla stalla, sistemandosi la camicia dentro i pantaloni. Si accese una sigaretta e tirò due boccate di fumo godendosi la frescura del tramonto. Yael lo osservò acquattato dietro al cespuglio mentre rientrava in casa; poi, appena ebbe campo libero, corse nel fienile. Entrando, un caldo odore di sterco gli salì alle narici, fastidioso e rassicurante allo stesso tempo. Cercò tra i mucchi di paglia la ragazza che amava e dopo tanto penare la vide: Mara giaceva sul fieno, con i capelli scompigliati che le scendevano sopra la camicetta slacciata. La vista di quei seni perfetti, imperlati dai capezzoli nudi, gli fece più male di una coltellata nello stomaco. La ragazza si accorse del suo gemito e alzò lo sguardo verso di lui; sorrise imbarazzata e si coprì pudicamente con una mano. Accorgendosi del suo gesto, il ragazzo abbassò lo sguardo. «Scusa ...» balbettò mortificato «forse non era mio diritto ... ma ti ho visto, e non ho saputo trattenermi ...» Yael sentì una mano delicata come la seta accarezzarlo sulla sua guancia arrossata. «Sei davvero tu» disse Mara, con una voce così dolce che al giovane ebreo venne quasi da piangere ascoltandola «guardami», gli sussurrò. Yael non ebbe il coraggio di alzare gli occhi. Sentì il respiro di Mara così vicino che il suo soffio gli scaldò la guancia. Annusò il profumo di quella pelle: un misto di lavanda, sudore e fieno. Temeva che, ad alzare gli occhi per guardarla, sarebbe potuto morire. Mara gli sollevò dolcemente la bocca con una mano e lo baciò sulla guancia. «Come sono contenta di vederti» sussurrò «sono successe tante cose, così in fretta.» Il ragazzo non rispose nulla, ma le rivolse uno sguardo interrogativo. «Sì, lo facciamo» confessò candidamente Mara, mentre si allacciava la camicetta «ma non lo amo: non sapevo a chi chiedere aiuto, e almeno qui sono al sicuro da quegli assassini.» Yael trovò il coraggio di specchiarsi nei suoi occhi: sì, era valsa la pena di patire tutto quel dolore solo per assaporare questo momento, pensò. In quel momento, Mara abbassò le ciglia. «Mi dispiace» mormorò. Il giovane pianista guardò i capelli ancora pieni di fili di paglia che le scendevano sul viso, delicato come una luna riflessa in un lago calmo. La sua mano si allungò istintivamente a scostarli senza che lui potesse fare nulla per impedirlo. Mara gliela prese tra le sue e la premette contro al suo seno. Yael si sentì come se avesse appena colto una pesca, e strinse quella carne, che si alzava e abbassava ritmicamente al ritmo del respiro. Mara lasciò che l'amico le accarezzasse i seni senza dire nulla, poi si scostò con il corpo. «Scusa» mormorò Mara, alzandosi dalla paglia, «adesso devo solo pensare a sopravvivere.» La ragazza uscì dal fienile con fare guardingo, timorosa che qualcuno potesse aver notato la sua permanenza nella stalla con quello sconosciuto. Non vedendo curiosi nei dintorni, tornò sollevata verso casa con passo spedito, per dare una mano alle altre donne. Una fitta alla vescica distolse Yael dai suoi problemi di cuore: in tutto il trambusto che c'era stato, si ricordò che la stava tenendo da quando erano partiti dalla caserma. Si nascose dietro un covone a orinare sulla paglia, come faceva da piccolo quando giocava con Stefano a nascondino nella stalla. Il capo dei partigiani raccolse il portafogli che gli era caduto nel fieno quando aveva fatto l'amore con Mara. Si era accorto di averlo perso, non appena si era seduto in mezzo agli altri militari. Era subito tornato nel fienile a cercarlo e aveva assistito di nascosto alla scena dell'incontro tra Mara e Yael. Osservando l'ebreo alle spalle, si chiese che relazione ci fosse tra lui e la sua donna e giurò che non avrebbe permesso a quel mollusco di portargliela via.

I silenzi del pianoforteDove le storie prendono vita. Scoprilo ora