Capitolo 8

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Mara corse con il fiatone fino a casa, frastornata da quell'incomprensibile spettacolo di violenza a cui aveva assistito. Appena ebbe salito le scale, si ricordò di aver dimenticato il sacchetto con i panini sul marciapiede, ma ormai era troppo tardi. Vedendola rientrare a mani vuote, sua madre si arrabbiò, pensando che fosse stata in giro a bighellonare senza fare le commissioni che le aveva chiesto. Stava per iniziare una delle sue ramanzine, ma la predica le morì sulle labbra, non appena si accorse dell'espressione sul suo viso. «Che cos'è successo?» le chiese sua madre, alzandosi dalla sedia di paglia «ti senti bene?» Mara si gettò tra le braccia della madre e scoppiò a piangere. Le raccontò di quanto era accaduto nella cartoleria, ancora incredula per la brutalità di quei soldati e sconvolta dall'indifferenza dei passanti. Sua madre le accarezzò i capelli, ma non fu capace di darle le risposte rassicuranti che avrebbe voluto: anche se cercò di non darlo a vedere, il racconto della figlia la riempì di angoscia. Le voci di cui suo marito le aveva parlato erano vere. Mise a bollire l'acqua per preparare una tazza di tè, invitando la figlia a sdraiarsi sull'ottomana per riprendere fiato; Mara non riuscì a trattenere le lacrime e singhiozzava: il commesso della cartoleria era sempre stato gentile con lei e non riusciva a credere che qualcuno potesse odiarlo così; soprattutto, non capiva perché nessuno dei compaesani avesse mosso un dito per aiutarlo. Sua madre immerse il colino con le foglie essiccate nella tazza fumante, poi si girò per asciugarsi di nascosto una lacrima, scivolata, suo malgrado, lungo la guancia. In quel mentre, sentirono bussare. La porta si spalancò e quella chiacchierona della vicina entrò trafelata. «Sapete la novità?» esordì col fiatone «i nostri ragazzi stanno tornando» esclamò entusiasta. 

Mara sollevò gli occhi dalla sua tazza fumante e la guardò interrogativa

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Mara sollevò gli occhi dalla sua tazza fumante e la guardò interrogativa. «Alcuni feriti di guerra sono stati rimandati a casa» continuò la pettegola, quasi dimenticandosi di prendere fiato «arriveranno in stazione con il treno da Roma del primo pomeriggio.» Se la loro vicina stava parlando di militari del loro paese, significava che Stefano sarebbe potuto tornare a casa. Allora, avrebbe potuto riabbracciarlo già oggi. In un battito di ciglia, Mara passò dalla disperazione più cupa all'estasi: non le sembrava vero e volò al settimo cielo. Si avvicinò alla comare e le versò del tè, che quella accettò, lasciandosi cadere sulla sedia, perché aveva parlato per tutta la mattinata e ora si sentiva la gola secca. Mara, di solito, non la poteva sopportare, ma adesso le aveva portato una notizia così bella che addirittura prese delle fette biscottate dalla credenza e gliele porse su un piatto. «In paese non lo sa ancora nessuno» disse la pettegola, riacquistando il dono della loquacità non appena ebbe spento l'arsura, e continuò il suo resoconto con aria cospiratrice «ma mio marito, che fa il capo stazione, ve l'avevo detto, no, mi ha confermato che la notizia è certa: questa mattina gli hanno ordinato di prepararsi per un convoglio eccezionale, che sta riportando a casa alcuni feriti dal fronte, tra cui una decina di nostri paesani.» Mara pensò di non aver mai voluto bene come adesso a quella petulante impicciona. Appoggiata la tazza di tè, intanto, la vicina di casa terminò il suo racconto. «Il prefetto in persona si recherà in stazione ad accoglierli: stanno approntando grandi misure di sicurezza per evitare altri incidenti dopo quanto successo in piazza qualche giorno fa.» «Che cosa significa misure di sicurezza?» chiese Mara allarmata, temendo magari di trovare bloccato l'accesso alla stazione: doveva assistere all'arrivo di quel treno, a tutti i costi. La vicina assunse l'aria circospetta di chi fosse in procinto di rivelare eccezionali segreti di stato: «Dopo gli scontri tra fascisti e oppositori al regime, il convoglio sarà presidiato da ingenti forze dell'ordine, per impedire a qualche testa calda di farsi venire idee strane», spiegò. «Si potrà andare ad assistere all'arrivo del treno?» chiese Mara. «Certo, anzi, credo proprio che il prefetto voglia incoraggiare la popolazione a dare un caldo bentornato ai nostri eroi» rispose la vicina di casa. Sua madre le lesse negli occhi il desiderio di correre alla stazione. Avrebbe voluto vietarglielo, ma sapeva che sarebbe stato solo fiato sprecato: immaginò che la figlia stesse fremendo dall'impazienza di riabbracciare il suo amato. Mara non poteva sospettarlo, perché aveva fatto tutto il possibile per tenere nascosta la sua relazione, ma sua madre sapeva della sua storia d'amore con il giovane fascista; in cuor suo non l'aveva mai approvata, ma non si era mai nemmeno opposta apertamente per evitare di ferire i sentimenti della figlia. Mara inventò una scusa per uscire nuovamente, e disse a sua madre che forse poteva ancora comprare il pane prima che i negozi chiudessero. Sua madre non fece in tempo a risponderle, che Mara era già scappata fuori dalla porta. La vicina fece un'aria offesa perché la ragazza era corsa via senza salutarla, ma sua madre sorrise al suo entusiasmo giovanile. Scese le scale, Mara uscì dal portone del palazzo, ritrovandosi in mezzo a una folla che aveva riempito il marciapiede. Sembrava che si stessero dirigendo tutti verso la stazione: probabilmente, il segreto della vicina di casa non era poi così ... segreto, e la voce del rientro dei ragazzi dal fronte stava già circolando in città. Mescolandosi all'involontario corteo formato dalla fiumana di persone, Mara arrivò alla stazione tra canti e chiacchiere animate: lungo il binario previsto per l'arrivo del treno, c'erano cordoni di militari, ufficiali in divisa e bandiere sventolanti. Mara vide il prefetto e il sindaco dalla vetrina del bar della stazione mentre bevevano un caffè in compagnia di altri graduati. Qualcuno intonò l'inno d'Italia e la folla gli fece eco. Mentre la galleria dei binari si riempiva di festosi canti, Mara vide tra la gente la madre di Stefano, vicina ai genitori degli altri ragazzi partiti per il fronte. Il tanto atteso sbuffo annunciò l'arrivo del convoglio speciale, mentre il prefetto e il sindaco, abbandonate le tazzine di caffè sul bancone, si affrettavano a mettersi al posto d'onore. La locomotiva frenò, stridendo lungo le rotaie; le mamme e le fidanzate si affollarono sotto i finestrini delle carrozze, cercando con i cuori che battevano i lineamenti dei loro cari tra i visi affacciati. Mara riconobbe uno degli amici con cui Stefano era salito sul treno, la notte che l'aveva accompagnato in stazione all'insaputa dei suoi genitori, ma non riuscì a scorgere quel viso che era la sua ragione di vita. Le porte si aprirono. Accolti da un applauso scrosciante, i primi giovani eroi si sporsero dalla scaletta. Il cuore le fece un tuffo nel petto e sentì lo stomaco riempirsi di farfalle: vedendo il viso tanto desiderato che scendeva dal vagone, le guance si rigarono di lacrime. Faticando per farsi largo tra i parenti degli altri soldati, Mara sgomitò fino ad arrivare a pochi passi da lui. Stefano appoggiò il piede sulla banchina e, mentre si guardava intorno tra la folla, incrociò gli occhi della ragazza. Rimase a fissarla senza muoversi ma, invece di gettargli le braccia al collo, Mara fece un passo indietro: Stefano appariva diverso, irriconoscibile rispetto al ragazzino che aveva salutato quella sera; il suo sguardo era velato da una sconosciuta malinconia e quegli occhi neri le sembrarono un abisso ignoto da cui si ritrasse, spaventata. Le sembrava di avere davanti a sé un estraneo e non il ragazzo che amava, con cui fino a pochi mesi fa si era baciata di nascosto sulle panchine del parco. Mentre cercava di fare ordine tra quei pensieri, notò un impercettibile sorriso sul viso di Stefano, così flebile da farle dubitare di averlo visto davvero. Non fece in tempo a salutarlo perché il prefetto si parò davanti a lui per stringergli la mano, oscurandolo dalla sua vista. Alcuni carabinieri obbligarono Mara e altri parenti a scostarsi, formando un cordone per permettere il passaggio delle autorità. Nonostante le proteste, Mara rimase bloccata tra i patrioti in festa, mentre Stefano saliva con il prefetto su una berlina che partì rombando. Gli applausi scemarono e, a mano a mano che i soldati si riunivano alle loro famiglie, la folla si diradò. Rimasta sola sulla banchina d'attesa, Mara guardò alcuni tiratardi, forse unitisi alla manifestazione solo per curiosità, che ora gironzolavano sui binari senza avere nulla di meglio da fare, e si sedette delusa su una panchina: il tanto sognato incontro era avvenuto, ma nulla era andato come sperato; anzi, aveva percepito un cambiamento profondo in Stefano, sentendosi quasi respinta. Un ubriacone si avvicinò a lei, infastidendola con delle battute volgari. Mara fu più disturbata dal suo alito che dalle stupidate che diceva, e si alzò per allontanarsi. Il barbone cercò di seguirla ma, non riuscendo più a reggere l'alcool, si accasciò sulla panchina. Accelerando il passo senza neanche sapere perché, Mara corse lungo il viale alberato fuori dalla stazione, sentendo il caldo sole sulla pelle e lasciandosi inebriare dai profumi dei gelsi in piena fioritura. Si fermò, ansimando, sul sagrato della chiesa, sotto la statua della Madonna che, scolpita in tratti morbidi, quasi setosi, apriva le braccia nel gesto di donare agli esuli di questa valle di lacrime l'amore del suo unico figlio. Mara sentì un nodo in gola e sarebbe voluta quasi scoppiare a piangere. Incrociando lo sguardo del giovane eroe, aveva sentito che qualcosa si era spezzato. I suoi sentimenti non erano cambiati, ma cos'era successo al cuore di Stefano?


🎹 Spazio autore 🎹

Ho fatto il servizio militare nel 1998, quando la leva d'obbligo era ormai in fase di dismissione, e si sapeva che da lì a qualche anno il governo avrebbe eliminato l'obbligo di leva. Sono stato assegnato alla caserma Osoppo di Udine, in qualità di aiuto artificiere.

 Sono stato assegnato alla caserma Osoppo di Udine, in qualità di aiuto artificiere

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(Il piazzale della caserma)

Ho un ricordo strano di quel periodo. Come ho premesso, forse perché il servizio di leva stava ormai perdendo d'importanza, la vita in caserma era abbastanza serena, senza niente di quelle cose che uno si può immaginare vedendo certi film.
La mia routine quotidiana si divideva tra corsi tecnici, appartenendo a una divisione di contraerea specializzata, e a noiosa vita d'ufficio: operativamente ero assegnato a un ufficio logistico, ma da movimentare e organizzare c'era poco o niente, salvo qualche sporadica esercitazione.

La mia routine quotidiana si divideva tra corsi tecnici, appartenendo a una divisione di contraerea specializzata, e a noiosa vita d'ufficio: operativamente ero assegnato a un ufficio logistico, ma da movimentare e organizzare c'era poco o niente,...

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(Io sono il terzo da sinistra nella fila in fondo)

Un ricordo indelebile che invece porto nel cuore è l'incredibile legame che si era creato tra noi ragazzi della camerata, e in generale dello scaglione. Forse per il fatto di condividere insieme così tante esperienze, sia quelle della convivenza quotidiana, sia quelle particolari legate a esercitazioni e attività che poi da civile non avresti mai più compiuto, tra noi si era formata, soprattutto negli ultimi mesi, un'amicizia fortissima. Separarmi da quel gruppo è stata davvero dura. Ho ancora i ricordi dei pianti dell'ultima sera.

Grazie a Moreno Hudson e al Gruppo Facebook 5° SKA 98 Artiglieria da campagna semovente Pasubio per le foto.

I silenzi del pianoforteDove le storie prendono vita. Scoprilo ora