Domenica, Settimana 8

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4.52 AM

Sospiro pesantemente spalancando gli occhi per guardare il soffitto lievemente scrostato. Nonostante abbia proposto a Stan di riposarsi, sono io quella che non lo ha fatto. E già comincio a sentire gli occhi provati dalla stanchezza. Quella lunga cicatrice sul petto di Stan mi ha tormentato tutta la notte. Mi chiedo cosa gli sia capitato, sembrava piuttosto turbato e ho potuto captare il suo malessere. Sono ansiosa, in realtà non so cosa aspettarmi più. Può essere accaduta qualunque cosa. Magari quella cicatrice risale alla sua infanzia, può essere frutto di una sua arrampicata sui mobili, o che ne so. Non sono riuscita a darle uno sguardo più attento, ma in effetti sembrava piuttosto vecchia dal colore bianco cereo. Non voglio soffermarmici troppo, ma in effetti non so cosa sia meglio. Se tormentarmi sulla questione 'fuga di Dione' o la questione 'strana cicatrice sul petto di Stan', o meglio 'l'ho visto mezzo nudo e non sono fuggita a rintanarmi in un buco per l'imbarazzo'. Penso che ormai io sia portata a vivere gli eventi in modo diverso. Forse in questo poco tempo sono cambiata. Sento di esserlo. Non mi reputo più la ragazza di due mesi fa sicuramente. Agisco in modo diverso e alcune volte mi sorprendo persino di me stessa. 
Sbuffo frustrata e scosto il lenzuolo leggero dal mio corpo che suda freddo. Ho bisogno di spegnere i pensieri per un po', prendere fiato nella mia legittima preoccupazione nei confronti di Stan e Dione. Sposto una gamba fuori dalla superficie del materasso facendola dondolare nel nulla, tendando invano di scacciare quelle domande che mi tormentano anche nel sonno. D'improvviso, però, un rumore attira la mia attenzione. Sento la porta della camera di Stan aprirsi e dei passi scendere le scale.
'È ancora presto', penso recuperando il cellulare per controllare l'orario.
'Perché a quest'ora è già sveglio?'.
Mi trascino giù dal letto e mi riapproprio dei miei jeans. Ho bisogno di una doccia fredda, ma non qui, non ora. Nel frattempo i passi si ripresentano sulle scale, li sento avvicinarsi al corridoio e rivolgo una veloce occhiata allo specchio passandomi una mano sul viso fiacco. Ma Stan vira entrando nella stanza accanto, lo sento mormorare qualcosa di indistinto alla madre. Quindi mi avvicino alla porta per aprirla ritrovandomi davanti al ragazzo.
-Hey- mormoriamo all'unisono. A detta del suo viso, non credo che nemmeno lui abbia avuto un po' di pace questa notte.
-Già sveglio?-
-Sì, ho portato la colazione a mia madre, di solito si sveglia presto- borbotta assonnato grattandosi un sopracciglio, mentre io mi chiudo alle spalle la stanza in cui ho dormito per nascondere il fatto che non abbia rifatto il letto.
-Vieni giù, ormai mangiamo qualcosa-
Lo seguo in silenzio mantenendo lo sguardo basso sull'incavo delle sue caviglie, come due ladri che si muovono sulla scena. In effetti sembra un po' fuori luogo essere svegli e non proprio freschi alle 5 del mattino. Voglio andare a casa, non mi sento a mio agio qui. È come se nulla di tutto ciò mi appartenesse, come se in realtà tutto questo non esistesse. Sarà solo la spossatezza. Ho bisogno di dormire pacificamente. Ma perché ho l'impressione che sono ancora tanto lontana da poterlo fare?
Mi getto sullo sgabello allungando le braccia sul bancone per stiracchiarmi, per poi posare il mento su di esse per osservare i movimenti lenti e abitudinari di Stan.
-Té o latte?- mi chiede dandomi le spalle muovendosi meccanicamente nella piccola cucina.
-Quello che prendi tu- mormoro soprappensiero.
-Uh, classica frase da discoteca, mi hai preso per un barman?-
Sbuffo soffocando una risata: -Che ammirevole carriera che ti prospetterei. Magari ti va bene e finisci persino in un gay strip club-
Stan si volta rivolgendomi un ghigno spento di qualsiasi umorismo, e mi porge una tazza di latte con cereali al cioccolato. Io la afferro facendo tintinnare il cucchiaio all'interno, lui si allontana per poggiarsi con la schiena alla superficie dei fornelli. L'odore che aleggia in questa stanza sa di diverso, ovviamente non è quello indistinguibile di casa mia. È quell'odore che dovrebbe avere una cucina semplice, standard. Un vago sentore di caffè appena fatto che non va mai via, l'odore di fresca brezza mattutina che si affaccia all'interno dalla finestra socchiusa. È difficile ricondurre le varie sensazioni che provo ora, ma mi aggrappo a questa cucina. Vorrei rimanere qui per ore, a studiare questa piccola realtà, come se fosse un'ecosistema a parte, e questo avesse bisogno di essere analizzato attentamente con tutti gli esseri viventi che lo ospitano. Ma siamo io e Stan, e nel nostro habitat non c'è nessuno, non più.
-Scusami, credo di averti svegliata- mormora lui tra gli squittii del suo cucchiaio.
-Non preoccuparti, devo comunque andare a casa presto- protesto cominciando a mangiare i cereali.
-Sono appena le cinque del mattino, aspetta almeno le sei-
-Ho bisogno... Ho bisogno di andare a casa-
I nostri sguardi si incontrano su una tazza sporca. Sento la mia fronte aggrottarsi e vorrei strofinarmela con due dita, ma sono immersa in Stan, e non riesco a tornare indietro. Lui si sporge sul bancone prendendo le mie mani tra le sue.
-Resta, ancora un po'- sussurra a poca distanza dal mio viso e io non so cosa rispondergli. Non avevo mai visto i suoi occhi tanto supplichevoli, e le sue labbra screpolate parlare così dolcemente. Sono quasi tentata di dirgli che rimarrò con lui, quando un urlo ci prende alla sprovvista. Stan sfugge alla mia vista e in un attimo è sulle scale. Mi lancio nel rincorrerlo sentendo lo schianto in qualcosa che va in frantumi che può provenire solamente dalla stanza di Judith. Una volta sulla soglia della camera vedo la madre di Stan rannicchiata in un angolo della stanza spaventata dalla presenza del figlio che nel mentre raccoglie i cocci della tazza della colazione. Lui mi rivolge uno sguardo afflitto stringendo le labbra in una linea sottile.
-Forse è meglio che tu vada- mormora abbassando lo sguardo, quindi mi allontano nonostante i sensi di colpa.

6.40 AM

Ho bisogno di prendere una boccata d'aria dalla mia vita, ma non so come farlo. Ora come ora voglio solo tornare a casa e seppellirmi tra le coperte, aspettare che faccia notte e poi giorno, e poi notte, e giorno, fino all'infinito.
Giro lentamente la chiave nella serratura. Una volta dentro percorro il corridoio in silenzio, ma non disturbare non è nei piani di mia madre che si sporge sulle scale.
-Eve-
Il suo sguardo è dir poco furibondo, le ombre scure sotto i suoi occhi le danno un'aria austera e spettrale.
-Dove sei stata? Ho chiamato chiunque, persino Dione- dice scendendo le scale per avvicinarsi a me, ma a questo nome io mi ritraggo scottata.
-Ho chiamato anche Chris. Come hai potuto non dirmi tutte queste cose? Non senti nessun obbligo di parlarmi?-
-Cosa avrei dovuto dirti? Che la mia migliore amica ha perso un bambino e il mio ragazzo mi ha lasciata perché sono un'egoista? Sì, mamma, parlarne mi fa stare infinitamente bene. Ma no, a te non interessa come io stia, ti interessa solo sapere le ultime notizie, ciò di cui puoi parlare con le tue false amiche. Però questa volta non ti avrei lasciato giocare con Dione, non con persone che hanno già sofferto abbastanza-
Vedo la mano di mia madre stringersi a pugno, mentre parole troppo superficiali lasciano le mie labbra senza controllo. Tutto ciò che voglio è togliermela di mezzo, anche a costo di farle del male.
-Eve, sono tua madre, come puoi pensare questo di me?-
In un primo momento sembra ferita, ma subito si ricompatta guardandomi astiosa: -Non puoi parlarmi in questo modo!-
-Non mi interessa chi tu sia. Sei una persona che non capisco, e mai riuscirò ad accettare, figurati come madre-
Il dolore mi colpisce prima dello schiaffo togliendomi il fiato dalla sorpresa. Mia madre si stringe al petto la mano colpevole rivolgendomi un'espressione interdetta, come se non si rendesse conto di ciò che ha appena fatto.
Non lo accetto. Non accetto le conseguenze delle mie stesse parole. Sto male, fin troppo. Come può pensare che io possa sopportare anche questo?
Salgo le scale con grandi falcate per raggiungere la mia camera e sbattere con forza la porta alle mie spalle.
Tutto sta crollando, quindi mi premo i palmi sulle orecchie, non voglio sentirne il fracasso.

-my psycho luvDove le storie prendono vita. Scoprilo ora