Martedì, Settimana 8

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12.56 PM

-Ti prego, Eve. Esci da questa stanza. Parla con me-
Il tono supplichevole di mia madre mi lacera, ma decido di non dare sfogo a ciò che ho dentro. Mi ha ferita, non per quello schiaffo, non per come si è sempre comportata, ma per come non ha avuto nessun riguardo nei miei confronti, anche sapendo tutto quello che è successo in questi mesi.
-Ti prego, anche se non vuoi pranzare con noi, mangia le cose che ti lascio fuori dalla porta. Eve!-
Affondo il viso nel cuscino stringendomelo sulle orecchie. Non voglio ascoltarla. Quella porta rimarrà chiusa, fino a quando le mie ferite non guariranno completamente, a costo di rimanere rintanata tra le lenzuola fino a morire di sete o fame, o disperazione.
Lasciatemi andare.

11.03 PM

Sento squillare il mio cellulare per l'ennesima volta oggi, ma mi rifiuto di prenderlo. Le urla dei miei genitori si sono appena placate. Hanno litigato per un'infinità di tempo, o almeno così mi è sembrato. Mia madre è arrivata a un punto di disperazione, in cui voleva chiamare i pompieri per buttare giù la porta della mia camera. Quasi mi è venuto un colpo, conoscendola non vorrebbe mai dare tanto spettacolo al vicinato. Mio padre le ha risposto a tono dicendole che ho solo bisogno di tempo, che presto tutto si sistemerà. Ma la moglie non la pensa così. "Non so nemmeno se mia figlia è ancora viva lì dentro!", gli ha detto qualcosa del genere, non credo di ricordare bene il discorso.
Un rumore sta disturbando il mio letargo, ma non mi tocca. Sto solo riflettendo su come io stia portando i miei genitori sulla soglia della pazzia. In particolare mia madre, lei sta praticamente ammattendo.
Di nuovo quel rumore. Questo ticchettio persistente mi sta innervosendo. È come un ronzio lontano che mi fa partecipe del silenzio che mi circonda. Probabilmente lo sto solo immaginando, sarà la disidratazione, l'ultima cosa che ho bevuto ieri è stato il fondo di una vecchia bottiglietta d'acqua sul mio comodino.
Sobbalzo al rumore della finestra che si alza con uno scatto. Scosto le coperte dal mio viso per rivolgere lo sguardo a una figura scura che si spinge oltre l'apertura nella penombra.
-Eve- mormora il ragazzo raddrizzandosi -Stai bene?-
Annuisco impercettibilmente, infatti Stan non coglie il mio gesto e si avvicina al letto inginocchiandosi accanto a me.
-Hey- sussurra vicino al mio viso per poi voltarsi a cercare l'interruttore della lampada sul comodino e accenderla. Solo al chiarore della luce riesce a scorgere i miei occhi lucidi e i solchi sul mio viso scavati dalle lacrime incessanti di questi due giorni.
Sento un'ondata di gratitudine invadermi e allungo le braccia nella sua direzione per farmi abbracciare, come fossi una bambina che si è appena sbucciata un ginocchio cadendo e ora chiede le attenzioni del padre. Stan si china su di me avvolgendomi con le sue braccia e tirandomi su per farmi sedere. Io lo stringo a me posandogli la testa sulla spalla.
-Mi porti via?-

11.34 PM

Nel momento in cui Stan ha posato il piatto di pollo davanti a me, ho scoperto di star morendo, non di fame, ma di vita. Prima di questo momento di voracità sentivo come se stessi quasi lasciando questa terra di mia spontanea volontà. Ma ora ho occhi solo per queste cosce di pollo fritto che Stan si è fermato a comprare mentre tornavamo a casa sua. In realtà non ricordo precisamente come siamo arrivati qui, a malapena mi reggevo sulle gambe.
Sento gli occhi di Stan fissarmi dall'alto, quindi mollo il piatto e mi raddrizzo da persona civile.
-Avevo fame- mormoro a denti stretti.
-Me n'ero accorto-
La sua voce è ferma e il suo tono duro, sembra quasi mi voglia rimproverare. E infatti.
-Mi dici cosa è successo? Perché ti sei ridotta così?-
Sospiro scostando le ossa spolpate dalla mia portata, non vorrei diventare un cane mettendomi a rosicchiare i resti del cadavere nel piatto.
-Non lo so. Volevo solo rimanere da sola, cercare di seppellire i miei pensieri-
-O meglio, cercare di seppellire te stessa- ribatte lui passandomi un bicchiere d'acqua dopo aver fissato insistentemente le mie labbra secche e rotte.
-Lo so, scusami. È solo che vedo le persone a me care soffrire, e io non posso nulla contro tutto questo. Tutto quello che vorrei fare è caricarmi addosso tutti i vostri affanni e portarmeli nella tomba. Ma non posso e questo mi distrugge. È quello che prova ogni persona nei confronti di quelli che amano, penso. È naturale, tanto ovvio quanto impossibile-
Abbasso lo sguardo sulle mie mani unte, a quanto vorrei affondarle in una bacinella d'acqua per scacciare ogni segno di olio di frittura, per ripulirle da tutto.
-Hai ragione è una sensazione naturale. Ognuno di noi vuole proteggere le persone che gli stanno accanto, ma dobbiamo capire che è inutile, perché chi si salva, si salva da solo-
Le sue parole mi colpiscono come un schiaffo, un altro. I miei occhi incrociano i suoi e  non mi accorgo nemmeno del suo movimento nel togliersi la maglia, fino a quando perdo il contatto con il suo viso. Mi ritrovo di nuovo davanti a quella cicatrice, ma ora è molto più vicina e posso vederne i frastagliati confini e l'ombra di punti ricuciti male. Distolgo lo sguardo dal suo petto, non so se mi sottraggo alla vista per l'imbarazzo o perché sento di non essere io quella che dovrebbe guardarlo così, senza maschere e senza veli. Con la coda dell'occhio lo vedo posare l'indumento sul bancone della cucina davanti a me.
-Non so cosa tu stia pensando, me lo sono chiesto incessantemente questi ultimi giorni, ma non sono arrivato a una conclusione. Però sento di doverti una spiegazione- dice con tono amareggiato, per poi sospirare e riprendere: -Per ciò che sto per dirti, ti prego di non cambiare opinione su di me-
'Non prevedo buone notizie.'
-Non posso promettertelo- rispondo alzando gli occhi su di lui. Chiunque gli abbia inferto un ferita simile, non ha certo la mia misericordia.-Pensavo lo avresti detto- ribatte lui con un sorriso sbilenco.
-Bene, da dove comincio. Ti ho già raccontato di come mio padre ci abbia praticamente abbandonati qui. Mia madre ne ha sofferto molto, ti ho detto che è quasi impazzita per questo-
Lo vedo respirare pesantemente, capisco quanto possa essere difficile per lui, quindi mi sporgo sul bancone per prendere la mano di Stan e stringerla nella mia, mentre faccio scorrere lo sguardo sulla linea marcata delle sue costole fino ai suoi occhi persi nel vuoto, privi di luce.
-Non posso dire che ora stia bene, ma ha passato un brutto periodo non molto tempo fa. Una sera, mi pare, tornai a casa un po' più tardi del solito. Credo che mia madre pensasse che fossi chiuso nella mia stanza, e che non l'avrei interrotta, mentre tentava di tagliarsi le vene-
A entrambi sfugge l'aria dai polmoni, come se ci fossimo tuffati in un mare gelato che ci avesse tolto il respiro. Vedo i peli sulle braccia di Stan rizzarsi e la pelle d'oca farsi spazio sulla sua pelle.
-Ma non aveva calcolato la mia entrata in scena. Sono entrato piano, senza far rumore, e quello che mi sono trovato davanti era lei che piangeva, senza aver il coraggio di premere il coltello sui polsi. Non credevo ai miei occhi, quindi la chiamai, ma quando si voltò verso di me, la prese una frenesia insana. Mi lanciai su di lei per strapparle il coltello dalle mani, ma mia madre me lo puntò contro aprendomi il petto-
Sento un brivido percorrermi la schiena e tutto quello che voglio fare è afferrare quella maglietta e gettarla addosso a Stan per coprirlo dalla bufera che stiamo attraversando.
-Istintivamente le tirai un pugno, non lo feci di proposito. La colpii in pieno volto e lei svenne-
Poso una mano sulla maglia di Stan facendola scorrere lentamente sulla superficie piastrellata, mentre scivolo giù dallo sgabello di legno.
-Cadde a terra, proprio qui- continua lui guardandomi mentre mi avvicino lentamente a lui -Non sapevo se portarla in ospedale o meno, non sembrava ferita, fortunatamente non era riuscita a farsi nulla. Allora provai a prenderla per riportarla in camera, ma il taglio sul mio petto si strappò ancora di più, era lancinante-
Poso il tessuto sul suo sterno con la malinconia di una madonna che vede il figlio in croce sotto lo sguardo dei suoi occhi afflitti.
-Allora andai prima a ricucirmi il petto-
Alzo lo sguardo su di lui interdetta e sussurro: -Perché non andare in ospedale?-
-Cosa avrei dovuto dirgli? Che mia madre mi aveva quasi ucciso per sbaglio? Non potevo sottoporla a ulteriore stress. Non se lo meritava. Tutto ciò che voleva era riavere sua figlia, perché evidentemente io non le bastavo-
Stan distoglie lo sguardo dal mio per portarlo lontano, vedo il suo volto duro, contratto in una smorfia di amarezza. Sotto la mia mano sento il suo petto sollevarsi in modo irregolare. Il suo respiro mi fa crollare inesorabilmente contro di lui posando delicatamente una guancia sul battito del suo cuore.
-Sono sicura che non è così, Stan- mormoro circondandolo con le braccia e stringendolo a me, come una madonna che stringe il corpo del figlio morto.

11.50 PM

-Se vuoi rimanere qui, sai che c'è una camera per te- mormora Stan salendo le scale, mentre lo guardo ancora stralunata.
-Penso sia una scelta saggia-
'Comunque non sopporterei di stare con i miei genitori nella stessa stanza. Quindi mi sembra inutile tornare indietro.'
Tasto le tasche posteriori dei miei jeans in cerca del mio cellulare e ce lo trovo senza difficoltà. Non ricordo nemmeno di averlo preso prima di lasciare la mia stanza. Non ricordo persino come sono uscita dalla finestra e mi sono calata giù con Stan. Solo pensare a quanto potevo essere priva di sensi solo un'ora fa mi fa rabbrividire.
Strabuzzo gli occhi e salgo le scale lentamente per raggiungere Stan. Non voglio sapere nulla dei miei genitori, anche se le preoccupazioni mi invadono la mente, non le sopporto, non voglio sopportarle.
Conosco la strada fino alla camera di Adele, che ormai è diventata una stanza di motel. Però, quando aprò la porta, Stan non è lì.
Un rumore di ferraglia attira la mia attenzione e mi volto imboccando di nuovo il corridoio. Una delle porte chiuse che vidi più volte in queste ultime settimane, ora è socchiusa e d'improvviso ne fa capolino il viso di Stan.
-Eve, vorrei mostrarti una cosa, dammi solo un secondo per, ehm... ripulire il disordine-
Il tono della sua voce è cambiato drasticamente, ora è molto più leggero, mentre il mio cuore fa ancora fatica a riprendere il suo normale battito. Mi avvicino a piccoli passi per concedere a Stan il tempo di cui ha bisogno, ma è fin troppo veloce per le mie premure e ben presto si sporge dalla soglia per afferrarmi un polso e trascinarmi all'interno della stanza.
-A Dione non piacevano, gridò la prima volta che glieli mostrai-
Scuoto la testa presa dalla sorpresa alla vista di una miriade di occhi immobili, completamente privi di vita. Una stanza piena di animali imbalsamati di ogni stazza.
Le mie gambe sono mosse dalla curiosità e non posso che allungare una mano per sfiorare il dorso di una volpe pietrificata, per poi ritirarlo e rivolgermi a Stan come per chiedere il permesso di toccarla. Lui mi sorride a trentadue denti rivolgendomi un cenno d'assenso, quindi affondo la mano nel folto pelo morbido. Poi il mio sguardo è catturato da un tavolo da lavoro invaso da macabri attrezzi.
-Li crei tu?- chiedo alzando gli occhi sul viso soddisfatto del ragazzo.
-Sì, lo facevo con mio padre quando ero piccolo, mi ha insegnato lui, era il nostro passatempo. Ricordo che uscivamo a caccia per intere settimane per tornare a casa con più prede possibile da imbalsamare. Abbiamo continuato a farlo fino a quando non se n'è andato. Ecco... Il nostro rapporto era così forte. Eppure ciò non è valso nulla quando ha deciso di andarsene senza di me.
-Dopo la sua partenza ho catturato solo piccoli animali urbani, come quei piccoli uccelli lassù, o qualche animale domestico-
Gli rivolgo uno sguardo di rimprovero e lui si corregge subito.
-Appena seppelliti o morti per la strada, ovviamente. Sono un cacciatore, non un killer.
-Non è proprio una collezione, ma è un modo, forse, per ricordare. Un'abitudine-
-Mi piace sentirti parlare di te- dico raddrizzandomi e avvicinandomi a Stan -Finalmente sento di conoscerti meglio-
Lui mi rivolge un sorriso imbarazzato distogliendo lo sguardo dal mio viso.
-Quindo ti piacciono? Non ti spaventano?-
-Direi che li apprezzo, è bello vedere come dalla morte si può ottenere qualcosa che ricordi la vita. Penso siano davvero belli-
Ma d'improvviso mi acciglio. Cosa sto dimenticando?

-my psycho luvDove le storie prendono vita. Scoprilo ora