Sabato, Settimana 7

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7.53 PM

Non c'è stato tempo. Dione è andata via e ora la sua casa sembra completamente svuotata di qualsiasi ombra di colore, anche se la sua assenza non ha cambiato fisicamente nulla. Persino il giardino accanto al quale ora sto passando sembra inespressivo, quando prima il verde smeraldo dell'erbetta catturava i miei occhi ammaliati. Il problema è mio, nulla è cambiato nella realtà delle cose, piuttosto sono cambiati gli occhi con i quali guardo questa casa piena di ricordi che sembrano distare anni luce da me. Mentre il sole morente getta un'ombra arancio acceso sulle pareti donandogli un briciolo di brio, e le finestre riflettono flebilmente questa luce tentando invano di accecarmi.
Una grande mano sfilata si posa delicatamente tra le mie scapole, ma non riesco a scostare lo sguardo dall'abitazione, dall'assenza dell'automobile di Dione davanti quella candida saracinesca. Ma devo lasciare la presa, non sarà via per sempre, lei tornerà, ne sono sicura, almeno per darci quell'addio per il quale non c'è stato tempo.
'Lasciamo la presa, Stan.'
Mi volto proseguendo il marciapiede accanto a Stan che mi stringe a lui per una spalla. Abbiamo bisogno di esserci l'uno per l'altro, ecco perché abbiamo deciso di incontrare anche Penny questa sera. Dobbiamo essere compatti ora, perché questo è un momento critico per ciascuno di noi. In silenzio proseguiamo in direzione della fermata del bus che porterà via da questa zona, via dalle risate stridule di Dione, via dalle sue mani sempre lisce e profumate di crema, via da ciò che ci fa male in fondo al petto, come se i nostri polmoni riuscissero a respirare la sua essenza e bruciassero per questo.

8.12 PM

-Potremmo prendere due pizze- mormoro tra me e me vedendo all'orizzonte il diner. Stan mi ha sentita ma non mi rivolge lo sguardo e io continuo a pensare che non sia la giusta decisione parlare con Penny davanti a del cibo.
-Magari qualche birra- propone lui allungando repentinamente il passo superandomi e infilandosi tra le porte di vetro del locale. Decido di aspettarlo proprio qui, non penso che Penny sia già arrivata. Nonostante sappia già della partenza di Dione, so che ha bisogno di noi, per sapere che tutto ciò è reale e non solo un sogno. Rettifico, è ciò di cui io ho bisogno.
Infatti, lei non ne ha bisogno.
No, lei non ha bisogno di nulla.
Posso constatarlo mentre ora la vedo venirmi incontro stringendo la mano di Amy con la sua.
Non posso crederci.
'Non ora. Non di nuovo lei. Non ora!'
-Cosa ci fa lei qui?- sento dire a Stan che è appena apparso alle mie spalle tenendo sotto braccio un cartone di birre. Io sospiro furiosa non riuscendo più a trattenere le mie gambe frementi e lanciandomi verso Penny. Vedo i suoi occhi insicuri studiarmi da lontano, ma ha già capito che questa cosa, qualunque cosa sia, non mi va bene. Stan mi precede ancora una volta interponendosi tra me e loro, ma non ho alcuna intenzione di affaccendarmi con loro in questo momento. Voglio solo parlare con Penny, chiederle perché, e perché ora.
-Penny- la chiamo, ma ho catturato la sua attenzione da metri ormai. Amy mi rivolge uno sguardo misto tra ribrezzo e colpa. Mi fermo accanto a Stan che guarda di sottecchi le due ragazze a qualche metro da noi. Penso che anche a lui non vada a genio l'attuale situazione. Penny si scosta da Amy mormorandole qualcosa vicino l'orecchio faccenda rimanere indietro e mi raggiunge cercando di tenere la testa alta sotto il peso che le sto lanciando addosso masso dopo masso. Una volta nel mio raggio d'azione la afferro per un polso costringendola a seguirmi nel vicolo del diner. Sento l'odore acre del bidone traboccante di spazzatura, ma lo scaccio dai miei pensieri concentrandomi su di lei.
-Eve, ti posso spiegare-
-Ti prego, fallo- dico voltandomi nella sua direzione e incrociando le braccia sul petto -Perché io non sto capendo-
-Questo non ha nulla a che fare con Dione, ok? È solo una coincidenza che Amy mi abbia ricontattata ora. Eve, è stata male per me, capisci?-
-Perché tu non sei stata male per lei, no? Anzi te ne sei completamente sbattuta, vero? Penny, ti ha ferita, è stata lei ad abbandonarti, e ora come puoi davvero volerla indietro?-
-Te l'ho detto che non si tratta di me-
-Penny, ma cosa c'entra? Come puoi starci insieme se non la ami? Per caso è compassione, quella che provi nei suoi confronti?-
-Chi ha detto che non la amo?- ma Penny si pente di aver pronunciato quelle parole nell'esatto momento nel quale queste lasciano le sue labbra.
-Penny- la richiamo con voce gutturale scuotendo la testa, mi rifiuto di pensare che la ami ancora.
-Ascolta- mi prega con voce incrinata -Tu hai Stan, io non ho nessuno-
Mi sfugge l'aria dal polmoni per un attimo, non so nemmeno perché.
-Cosa? E questo cosa significa?- le dico acida con tono rabbioso.
-Eve, guarda la realtà. Stan ha sempre avuto una cotta per te, e ora che le cose si sono fatte difficili, ci sarete l'uno per l'altra. Ma io non c'entro, io sono l'intrusa-
-Non è così. Tra me e Stan non c'è nulla- dico con tono gelido.
Però vorrei dire altro, vorrei dirle che per me è importante che lei ci sia, che non la lascerei mai da sola per nulla al mondo. Ma per qualche motivo non ci riesco, i suoi occhi sono così distanti, sono sicura che i suoi pensieri non sono indirizzati a me, a Dione.
-Non puoi rifiutarti di pensare a Dione mettendo di mezzo Amy- la accuso sentendo le lacrime lottare per allagarmi la vista. E con questa parole attivo la parte di Penny che mi spaventa, quella capace di ferire.
-Senti, Eve. Come puoi permetterti di criticare me, quando tu innanzitutto approfitti dell'assenza di Dione per prenderti Stan? Quindi lasciami dire che se qui c'è qualcuno che non ha rispetto per la situazione, questa sei proprio tu-
Sono senza parole. Voglio negare ciò che sta dicendo, ma non trovo le giuste parole.
'Avevo le migliori intenzioni, ti prego, Penny, credimi. Come posso lasciarci soffrire da soli?'
Davanti la mia espressione attonita, Penny scuote la testa per un attimo tirandosi indietro e sfuggendo repentinamente alla mia vista. Non so come reagire. Tutti questi avvenimenti non mi hanno permesso di pensare chiaramente a Stan. Ultimamente mi è stato concesso di associarlo solamente a una presenza importante per Dione. Ma Stan è importante per me? Voglio davvero portarlo via a Dione? Ma lei tornerà mai? E lui si lascerebbe davvero prendere da me?
Le lacrime arrivano prima che io possa sentirle bruciarmi in gola.
Sono io quella sbagliata, ecco perché ho perso tutto.

9.34 PM

Premo il tasto di invio sul mio cellulare per avvertire mia madre con un messagio che resterò a casa di un'amica per la notte. E quando tenta di chiamarmi, non le rispondo, deve capire che in questo momento deve lasciarmi fare. Infatti, mi manda solamente un messaggio per raccomandarsi che stia bene. La ringrazio mentalmente, abbastanza sorpresa dalla sua arrendevolezza.
-Non penso che i vecchi pigiami di mia sorella possano entrarti, magari una camicia di mia madre, ma non so dove le tenga- mi attira la voce di Stan che irrompe nella cucina scendendo dalle scale e io mi volto verso di lui riponendo il cellulare nella tasca dei jeans.
-Non preoccuparti, posso dormire con le cose che indosso- mormoro guardando di sbieco i miei jeans.
'Non trascorrerò una notte molto comoda, questo è sicuro.'
Stan mi squadra per poi risalire le scale in silenzio. Io sbuffo prendendo un ultimo sorso dal bicchiere d'acqua per poi posarlo sul bancone.
'E io che speravo in una sua maglietta.'
No, non posso pensare questo. Stan è ancora il ragazzo di Dione, e Dione è mia amica, e Stan è mio amico. Voglio bene a entrambi, e non mi sognerei mai di mettermi in mezzo.
Con uno slancio scendo dallo sgabello e salgo le scale con le spalle curve. Sono sfiancata, ho davvero bisogno di una ricarica.
-Ti lascio alcune mie cose- dice Stan quando varco la soglia della vecchia camera della sorella.
-Non devi, davvero- insisto cominciando a sentire i sensi di colpa scavarmi il petto, mentre lo guardo posare una t-shirt consunta e un paio di pantaloni da ginnastica sulla superficie del letto.
-Ci tengo- mi dice avvicinandosi a me per posarmi un bacio sui capelli prima di uscire dalla stanza. Il mio cuore perde un battito, lo sento scivolarmi tra le dita. Prendo un profondo respiro e scaccio dalla mente il suo sorriso confortante e quegli occhi ancora lontani. Mi chiedo se riuscirò mai a raggiungerli.
Mi richiudo la porta alle spalle e mi avvicino agli indumenti. Li prendo e non posso non cercarne l'odore di Stan, ma non esprimono nulla di lui. Mi guardo attorno, stringendo la stoffa al petto. In questa stanza ci ha dormito Penny, ci ha dormito Dione. Io cosa ci faccio qui? Non ho il diritto di restare. Ma cosa posso fare? Nulla se non tenermi lontana dalla linea di demarcazione. Non devo superarla, devo stare nella mia zona. Devo riportare questi vestiti a Stan.
'Ma lui ci tiene.'
Rifiutare in tronco getterebbe ombre di imbarazzo tra di noi, ne sono sicura, come anche accettare incondizionatamente. Mi sfilo i jeans per indossare i pantaloni di Stan.
'Direi che così può bastare.'
Posso dormire con la mia maglietta.
Sospiro prendendo coraggio ed esco nel corridoio diretta alla camera di Stan. Noto la porta chiusa e mi avvicino con cautela, mentre il tessuto dei pataloni troppo lunghi striscia sul pavimento. Allungo la mano per bussare lievemente quando mi accordo che in realtà la porta è socchiusa in modo da permettermi di  scorgere un angolo della stanza. Mi sento di nuovo mancare il respiro, stare con Stan mi mette ansia. La mia mano è ancora sospesa nell'aria quando il petto nudo di Stan entra nel mio raggio visivo. Dall'altra parte della stanza vedo la sua schiena, i muscoli appena accennati dalla luce soffusa che si muovono sotto la pelle pallida. La sua nuca definita dalle ossa del collo che si china per rovistare in un cassetto per poi trarne una maglietta grigia. Il suo corpo gira su se stesso e ora vedo il suo viso corrucciato, e il mio sguardo cala sul suo petto e sulla grossa linea bianca che gli attraversa l'addome.
Quella è una cicatrice.
Lascio cadere involontariamente la mia mano sulla porta che viene aperta quasi completamente. I miei occhi sono sbarrati, ma mai quanto quelli di Stan che si infila la maglia con fretta e furia.
-Eve-
Già sa cosa mi ha destabilizzata, ma rimane al suo posto, mentre io vorrei che mi urlasse contro e mi sbattesse la porta in faccia. Il mio cuore ha già raggiunto la tachicardia e ho bisogno di sedermi. In uno scatto improvviso, entro nella stanza avvicinandomi a lui. Sollevo una mano in direzione del suo viso per posarne il palmo sulla guancia, ma subito questa ricade al mio fianco. I suoi occhi saettano per la stanza, aggrappandosi a ciò che ci circonda, ma mai al mio sguardo.
-Stan- mormoro stringendomi al petto la sua t-shirt, come se fosse lui, come se contenesse la sua essenza e attraverso questa riuscissi a raggiungerlo.
La sua testa si china pesantemente e Stan si accascia sul letto. Ci tengo a lui, ho bisogno di sapere che non sia in pericolo. Ma lo vedo distrutto, ciò che è accaduto ha influito anche su di lui. Anzi, gli ultimi mesi hanno segnato ognuno di noi. Penny, Stan, Dione, Susanne. Susanne, non la sento da un po'. Dovevamo persino fare una festa di fine anno, mi paiono ovvi i motivi per cui non è stato possibile. Dovrei scriverle, per sentire come sta.
Riporto l'attenzione su Stan che combattuto si preme una mano sul petto.
-Tranquillo- sussurro scostandomi e posando la maglia sul letto accanto al ragazzo che mi guarda stranito.
-Sei stanco, riposati. Ma, ti prego, per qualunque cosa, io sono qui-
Detto questo gli rivolgo un sorriso, notando il suo sguardo tra il sollevato e l'incerto. Ripercorro i miei passi fino alla porta per sentire un flebile 'grazie' alle mie spalle.
'Sono qui per te.'

-my psycho luvDove le storie prendono vita. Scoprilo ora