Dove e Quando

962 49 5
                                    

"Ma cosa stavi facendo?" chiedi inclinando la testa e facendo scendere ulteriori frange sui tuoi occhi che mi affretto a spostare, non voglio che ti si occluda lo sguardo
"Ti sono mancato così tanto?" sorrido nella tua direzione che avvampi nonostante la mia palese ironia, a differenza del solito però mantieni gli occhi nei miei e sorridi di risposta. Nessuna parola, ti spieghi con un gesto che lasciamo scorrere via nonostante abbia cambiato le regole fino ad ora rispettate. Con te cambia tutto in un momento spostando un solo sassolino del castello.
"Proviamo oggi pomeriggio?" sei talmente nervosa che improvvisamente hai portato il pollice alla bocca e stai grattando via lo smalto con i denti già immersa nella prova di domani.
"No" la sorpresa e il terrore ti attraversano per pochissimi secondi davanti al mio rifiuto "oggi usciamo". Se c'è una cosa che ho imparato in anni di spettacoli e palcoscenici è che se la paura fa novanta tu devi fare almeno novantuno e fare quel passo che ti permette di distanziarti e guardare dall'alto la situazione. Non c'è parola o nota di questa lirica che tu ed io non abbiamo analizzato, provato, corretto e ripetuto, l'esibizione è pronta tu invece no e almeno su questo ho da insegnarti.
"Ci andiamo a prendere un gelato al centro" continuo prendendoti la mano e costruendo linee immaginarie con il pollice
"Tolto che non mi piace, ma a Novembre? Possiamo prendere una cioccolata calda?" hai un broncio adorabile che mi convincerebbe di molte cose figurati di quale bevanda consumare. Annuisco perché sento che stai aspettando una mia risposta, quasi un mio permesso a un'idea che è senz'altro migliore. Ti fidi di me, anche se ti chiedo un gelato nel mezzo del freddo inverno, aspetti che io ti dia conferma sul palco come nella vita quando non ti accorgi di essere tu a rendermi così deciso.
Pranziamo veloci siamo in attesa del dolce o forse di spazio tra noi che in effetti è assimilabile al dessert. Voli su per le scale perché a quanto sembra non puoi uscire in tuta e struccata, io resto qui ad aspettarti e giocherellare con i lacci di una felpa un po' consunta ma che fa il suo lavoro proteggendomi dal vento.
Prendo il telefono e digito un messaggio che mi riporta alle prime notti sulla terrazza: "Portati la giacca" mi sembra di vederti ancora davanti a me a tremare sotto le stelle a cui comincio a dovere diversi favori. La risposta non tarda ad arrivare: "Sì tenorino, cinque minuti e arrivo" hai capito, eri anche tu lì con me in quel ricordo.

Probabilmente il nord ha una puntualità invidiabile visto che dopo effettivi cinque minuti ti vedo affacciarti con i tuoi jeans strappati e una maglia scura di chissà quale gruppo heavy metal di cui probabilmente mi parlerai appena te la farò notare. Sorridi illuminandoti e comincio a pensare che forse questo sorriso abbia un destinatario che non cambia mai e che mi fa tirare fuori luce anche dal mio.

Mi ti affianchi facendo sfiorare le punte delle dita: "Andiamo?" chiedi calando gli occhiali da sole dalla testa
Muovo una smorfia ironica ma di fastidio: "Il gelato no ma gli occhiali si?" sbuffi ma li rialzi "mi piacciono i tuoi occhi lo sai"
Gli stessi che alzi al cielo cominciando a camminare verso l'esterno, è la prima vera volta che usciamo insieme, da soli e non stiamo nemmeno litigando, dovrei segnarlo sul calendario. Cammini con lo zaino che sballonzola ad ogni passo e le mani rintanate nella giacca, fa freddo ma sembri a tuo agio in un paesaggio di gente che corre per scaldarsi tu ondeggi leggera in perfetta armonia con i colori autunnali.
"Cerchiamo una cioccolateria?" ti chiedo costringendo a voltarti perché sei andata decisamente troppo avanti
"Dici che la hanno? Ne conosco una a Gorizia" inclini la testa in un movimento che ti ho visto fare centinaia di volte, come se tentassi di vedere il problema da un'altra prospettiva, con quella splendida ingenuità che caratterizza la parte più vera di te
"Penso proprio che nella capitale potremmo avere tanta fortuna da averne almeno il doppio" trattengo a fatica una risata pensando a migliaia di romani costretti a bere unicamente Ciobar nella mente della rossa serba
Armeggi con il telefono nascondendo l'imbarazzo di aver posto un quesito così sciocco, ti nascondi nella mappa e ne riemergi poco dopo seppellendo totalmente il discorso: "Siamo fortunati, ce ne è una a poco più di un chilometro"
Mi avvicino controllando con te il percorso: "Straordinario Tish! Siamo stati così fortunati da avere proprio una delle uniche due a così stretta distanza" stavolta non freno nessun tipo di riso che anzi coinvolge anche te nonostante continui a urlarmi di smetterla
Ti circondo con un braccio le spalle riprendendo a camminare verso quella che ormai è la nostra direzione, mi lasci appoggiare tenendomi la mano nella sua estremità. A vederci da fuori siamo esattamente due fidanzati che passeggiano ridendo, una di quelle coppie come ne ho viste tante fatta di passaggi in motorino e baci rubati sul portone. Una di quelle da "gelato in piazza?" "Si, arrivo aspettami giù", una in cui ci si portano le rose e ci si tirano i piatti, una vera, una semplice. Il nostro contrario insomma che questo angolo di spensieratezza ce lo ritagliamo quasi in fuggitiva
"Ma torniamo per cena Albi?" irrompi con una programmazione nelle mie orecchie che sto fuggendo da tutti gli orari
"Non saprei, perché?" rispondo distratto dal tentare di seguire il percorso che sul suolo romano assomiglia più a una gincana
"Nulla, Alvis voleva cenare con me e sono giorni che alla fine non riesco" sei serena mentre lo dici, molto meno mentre incontri il mio sguardo "Che c'è? È un amico ti ricordo"
Alzo notevolmente il sopracciglio quasi di risposta bastevole: "Amico. Alvis. Sei seria?" non capisco se tu stia semplicemente cercando di provocarmi gelosia o se invece credi davvero a ciò che dici.
"Ma tu pensi ancora a quella sera? Se avessi voluto lui dove pensi che sarei ora?" lagni la risposta, sei scocciata dal doverti giustificare tu che voli da sola da sempre
"Comunque qui, non ti avrei mai lasciato a Mister Mocio Vileda" ho la voce più cupa di quello che vorrei e so già che questo sarà il "la" di un'ennesima litigata
E infatti ti blocchi in mezzo al marciapiede per potermi guardare e rispondere, sei nervosa e quel cipiglio non promette nulla di buona: "Avresti lasciato?" ripeti minacciosa "e cosa sono un paio di scarpe? Il premio di una scommessa tra te e i tuoi stupidi amici?" sei livida e ogni parola il tono si alza e la pelle si colora di rosso. Come puoi pensare una cosa simile? Da quale mia parola è trapelato ciò?
Non so come rispondere tanto è assurdo ciò che stai dicendo ma questo ti dà la sicurezza di quello che pensi: "Lo sapevo! Cosa ci deve fare uno come te con una come me? Dio mio che stupida! Cos'era chi conquista prima la strana vince? Quanto hai riso di me?" trema il dito che mi punti contro e tremo io che sto affondando senza capire nel mare delle tue insicurezze
"Avrei dovuto capirlo, tu con me cosa c'entri?" ti mangi le sillabe arrabbiata e delusa di un film che stai costruendo da sola e che dovrei avere la forza di distruggere stracciando la pellicola ma sono immobile e confuso non capendo come ci siamo arrivati.
Una lacrima ti solca la guancia lasciando un netto stacco tra il fondotinta che copre il viso e mi risveglia da questo incontro di boxe in cui le sto solo prendendo, ho sempre odiato vederti piangere, figurati ora, figurati per causa mia.
"Tu con me c'entri sempre" la mia voce sovrasta la tua nonostante un'impronta fortemente blues, sto parlando con l'anima e si evince in ogni emissione di fiato: "Prima di tutto regola numero due e calmati" rispondi all'ordine e torni a respirare piano, chissà perché questo codice lo rispetti sempre: "Secondo: tu con me c'entri fino a quando vorrai, è vero non c'entriamo nulla l'uno con l'altra, sai cosa ci lega? Tu. Anzi noi. E smettila di dire che un noi non esiste, perché se ci dessi una possibilità non saremmo qui. Sai perché? Perché io potrei spaccare la faccia ad Alvis se dovesse avvicinarsi troppo e non lo farei perché sarei sicuro che tu lo respingeresti. E non vuol dire tenerti in gabbia, vuol dire scegliersi! Io ti scelgo sempre soprattutto quando sei insopportabile e litighi da sola, perché ammettilo lo fai. Però sono comunque qui. Senza certezze. Senza un domani. Mi godo l'oggi sperando che tu domani ti renda conto che noi non siamo l'alternativa, noi siamo il piano A con nessuna necessità di scrivere il B. Quindi ora smetti di piangere e andiamo a prenderci questa cioccolata perché l'unico altro pianto che voglio vedere oggi è se ti scotti la lingua" ho parlato troppo e non sono abituato a farlo e nonostante il freddo sto sudando ma i tuoi occhi brillano e ne vale sempre la pena.
Ti metti a frugare veloce nello zaino e non con poca fatica tiri fuori una penna e sei talmente imprevedibile che ho paura che andrò in giro per Roma con quattro bellissimi baffi da gatto. Ti chini sulla mia mano e poco sopra il pollice scrivi una "N" e un semicerchio proprio sulla fine della mano, semicerchio che viene completato all'inizio della tua mano e seguito da una "I", unisci subito dopo le nostre dita mostrandomi il risultato: "Noi".
Sorridi: "Lo sai che non sono brava con queste cose così romantiche. Sei tu l'uomo del sud"
Ti avvicino al mio viso baciandoti con foga non slegando le nostre mani, è perfetto così, un noi scritto su mani che si incrociano perché soltanto l'uno accanto all'altro siamo effettivamente noi stessi. Ci baciamo sotto il freddo in attesa di una cioccolata e con troppi occhi che potrebbero vederci ma che da oggi non hanno più importanza. Da oggi c'è NOI. Vorrei tanto ricordarmi che giorno sia ma avrò tempo per ricontrollarlo per ora brucio marchiato da una penna che sembrava incidere fuoco: noi. Noi oltre, noi sempre. Perché io e te abbiamo solo questo finale: insieme.

Note d'Autrice:
Eccoci!
Che ve ne pare di questo capitolo? Tra quanto il miele ci ucciderà? Fatemelo sapere!
Grazie mille per il seguito che date sempre vi adoro
Un bacio!

Sorrido fino a te Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora