Capelli Rosa

943 62 15
                                    


L'equilibrio è cosa ben instabile da mantenere e lo sanno bene i circensi. Un funambolo passa una vita ad allenarsi a saltare sul filo, a saperlo trattare, a resistere per riuscire a dominare il cielo con il suo unico compagno fragile che potrebbe in ogni momento tradirlo e portarlo a cadere molto lontano dal suo sogno. Si impegna e riesce, magari solo pochi passi, solo qualche salto ma ha dominato il cielo e il suo filo lo ha sostenuto passo dopo passo, incerto e sicuro in perfetta dicotomia dell'essere umano. E sei felice, come mai prima. 

Poi però un giorno, magari il giorno dopo la tua vittoria, su quel filo fidato ci vedi un ragazzino strafottente che non hai mai visto prima, che sei sicuro non abbia mai camminato su un filo tanto meno sul tuo, che però di punto in bianco ci si è messo a volteggiare e proprio quel filo che ti ha insegnato la resistenza per ottenere ciò che vuoi, lo sostiene come la più amorevole delle mamme. E lui ti guarda con sdegno come a volerti dire: "era facile no? Bastava così poco" 

E sarebbe tutto molto semplice se quel ragazzino fossi io, ma io sono il funambolo che fatica e quel bambino porta un altro nome, Alvis, che non sarebbe nemmeno un gran problema se non fosse in ogni momento accostato al tuo che di essere il mio filo evidentemente non hai più voglia. 

Alvis è entrato durante la scorsa puntata mentre io già ci immaginavo al serale visto il ferro e fuoco che stiamo portando, Atene non vince una sfida nemmeno per sbaglio, e a rinforzarne le fila è arrivato lui con i suoi rasta e il suo rap che sinceramente non trovo nemmeno più di tanto innovativo. Appena si è accomodato al banco ha incrociato il tuo sguardo facendoti l'occhiolino e tu, che ti vanti di essere il più gelido ghiacciaio del Polo Nord, ti sei sciolta come neve al sole, arrossendone e formulando nella mia testa più che diverse domande. Da quel giorno dire che non vi siete più lasciati penso sia dire poco, ti ci trovi, ti diverte e l'essere coetanei accentua ancor di più la cosa. 

Da quel giorno e quindi da ben cinque giorni non sei più salita a guardare le stelle con me, non mi hai più cercato per suonare e non ti sei mai seduta con me a tavola perché ogni volta che io ti abbia visto eri in sua compagnia, o sulle sue gambe. Perché sì, c'è anche questa splendida novità, tu che "ti fondi solo con l'arte"hai deciso che lui è il tuo miglior Van Gogh e quindi se gli altri si guadagnano la tua stretta di mano lui dopo appena poche ore ti stringeva tra le braccia, ti baciava le guance e ti teneva in braccio mentre io continuavo a guardare. 

"Che ci sia qualcosa tra voi è chiaro a tutta l'Italia" mi aveva detto Umberto quel giorno che adesso sembra lontano anni luce. Tanto chiaro che sono cinque giorni che ho davanti agli occhi cosa voglia dire quando tu ti prendi di qualcuno e devo dire che sarebbe impossibile non notarlo. 

Siamo in sala relax da qualche manciata di minuti e, guarda che strano, sei con lui seduti entrambi sul divanetto solo che tu sei completamente appoggiata a lui che ti tiene da dietro per i fianchi mentre tu giochi con qualche dread ribelle liberatosi dalla sua acconciatura. Ho un terribile dejavu perché i protagonisti di quell'immagine non siete certo tu e lui ma noi, se esiste poi un noi. Sei davanti a me che sbatti le ciglia per un diciottenne con quattro rime nelle labbra e io ti guardo mentre sono costretto ad ammettere che muoio di invidia e che ormai ci sono fin troppo dentro. 

Mi alzo di scatto e tu ti volti a guardarmi mentre senza parlare prendo la volta delle scale, ho bisogno di aria, ho bisogno del cielo anche se non posso più dominarlo. Ed è un cielo grigio quello che mi si palesa, denso come i miei pensieri, come ci sono arrivato? Come ho fatto a non accorgermi che mi stavo legando a te? Come ho fatto a non capire che mi piacevi, che mi sei piaciuta da subito e che lo fai anche ora che sei abbracciata ad un altro che forse non esisterebbe se me ne fossi accorto prima. 

Certe cose devi perderle per capire quanto valgono dice un detto popolare che non ho mai odiato così tanto, la paura di fallire di priva di un sacco di cose: di sbagli ma anche di tante gioie. Avrei dovuto parlarti quella sera qui quando ci mangiavamo con gli occhi e dirti che non lo so nemmeno io come sia successo, perché così in fretta o cosa davvero senta ma io qualcosa lo provo. Qualcosa che è esattamente come te: lunatico e casinista. Ma esiste e scalpita talmente tanto che è impossibile non sentirlo. Avrei dovuto dirti che mi piacciono i tuoi occhi anche quando li tieni chiusi per cantare e che mi piacerebbe parlare di te per capire chi sei sotto questa buccia di limone. Avrei dovuto dirti che io in quel momento volevo baciarti e lo voglio fare anche quando bevi il cappuccino e ti macchi di schiuma che ti disegna dei buffi baffi, ti vorrei baciare tanto quanto non ti sopporto ogni volta che ti chiudi, che ti inventi una paranoia e che dici che non ce la farai, che rispondi male e che non ti fai trovare troppo chiusa in quel tuo mare di incertezze camuffate da arroganza. Ma mi piaci comunque, mi piaci sempre, mi piaci tu ed è un casino. 

Ho gli occhi velati di lacrime di rabbia, sono furente contro me stesso per essere sempre puntale al treno delle occasioni perse e verso di te che mi hai sostituito in un quarto d'ora come il peggior paio di scarpe vecchie. Sento dei passi lungo le scale seguite da voci e mi impietrisco perché la prima che riconosco è quella del rapper: "Ma quindi non ho capito baby, perché non vuoi andare su? Ci sono le stelle, sono due giorni che mi parli solo di quelle, vediamocele no" trattengo il respiro sperando davvero che tu non abbia voglia di salire, non ho voglia di spiegare perché sono qui e fortunatamente ascolto la tua risposta: "Ma non si vedono tanto bene, facciamo altro, andiamo da me a suonare". Lo sento sbuffare divertito: "Okay baby, andiamo a suonare la tua chitarrina". 

"è un ukulele" ci sento dire nello stesso momento anche se tu non puoi sentirmi visto che l'ho appena sussurrato. "Quello che vuoi, tanto devi strimpellarlo tu" saccente, stupido e pure ignorante, te lo sei scelto bene Tish nulla da dire. "Magari posso insegnarti" hai un tono più freddo, forse stizzito dal suo sminuirti che però mi priva della risposta perché vi state allontanando verso la tua camera. 

Torno a guardare il cielo, stanotte non ci saranno stelle e anche se ci fossero non ho nessuno con cui guardarle. Non più. 


Note d'autrice: 

Capitolo più corto del solito ma di transizione e l'Università mi sta uccidendo, perdonate.

Buongiorno! Vi ringrazio come al solito tantissimo per il seguito che date alla storia, vi adoro. Fatemi sapere con un commento se vi ho rovinato l'idillio o vi ho indotto curiosità. 

Un bacione 

Sorrido fino a te Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora