̶E̶P̶I̶L̶O̶G̶O̶

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PROLOGO/EPILOGO





Nella sua camera tutto rimandava al silenzio. Le pareti erano completamente spoglie, verniciate di un bianco pallido che dava un senso di tranquillità. Quell'ambiente sembrava favorire le riflessioni più intime degli esseri umani, provava un senso di pace mentre si rigirava fra le lenzuola del medesimo colore delle pareti, mentre un odore acre gli riempiva le narici e i sensi. Non ricordava quanto tempo era passato, che giorno fosse; in quale periodo dell'anno si trovasse. Sapeva semplicemente che era li da tanto tempo: i suoi sensi si erano abituati al tepore di quel luogo e i suoi pensieri iniziavano a fluire nel senso desiderato da tutti tranne che da lui stesso. Nei momenti in cui le sostanze chimiche non fluivano nel suo sangue però, riacquistava in parte la sua fredda lucidità e tornava di nuovo quel ragazzo che tutti temevano e che alcuni compativano. I ragazzi che colmavano le sue giornate sentivano nei suoi confronti un senso di appartenenza: tutti loro erano legati per le caviglie da un filo che li portava nei medesimi luoghi e nelle medesime condizioni.

Quando il sole iniziava a fare capolino illuminando le fredde strade della capitale, i primi lavoratori fasciati da abiti eleganti trascinavano i propri bagagli e le proprie borse lungo i binari della stazione centrale. Accasciato su qualche gradino, affiancato da persone che talvolta conosceva da poche ore, si trovava lui, con gli occhi troppo pesanti e stanchi, e con la mente troppo confusa e galleggiante in un mondo che per alcuni giorni riusciva a controllare e a far fluire nel modo che più lo aggradava. Era un circolo vizioso quello in cui si trovava, in cui tutto era rigorosamente stabilito e non aveva nessuno che era anche solo lontanamente intenzionato a fare in modo che questo cambiasse. Qualche volta qualche passante rivolgeva loro qualche occhiata disgustata e pietosa prima di arrivare dove erano diretti, tuttavia a nessuno di loro interessava il modo in cui gli altri li vedevano, erano tutti presi dalla loro frenetica e sporca vita, erano tutti saliti su un treno che percorreva il disegno di un binario parallelo, diretto verso una meta che non avrebbero mai incrociato, neanche per sbaglio, i ragazzi della loro età.

In questo momento non riusciva a ricordare nemmeno come avesse fatto a finire nel luogo in cui si trovava, mai però avrebbe dimenticato la vita che aveva condotto durante la sua adolescenza; nel periodo in cui era grande abbastanza da non essere classificato ancora come un bambino, ma ancora decisamente troppo giovane per capire appieno la forza che possedeva quel buco nero in cui aveva deciso di immergersi. Perché a quell'età si pensava sempre che le proprie azioni non portassero nessun tipo di conseguenza e che bastasse la sola forza di volontà per cambiare radicalmente la propria vita. La sua mente non aveva mai pensato cosa più stupida. Le scelte che aveva fatto in quel periodo, lo avevano perseguitato per anni, come un mostro che tacitamente segue ogni tuo passo, fino ad attaccarti le mani alla gola quando sei di spalle e non puoi vedere, ricordandoti la sua presenza, una presenza che non ti avrebbe mai lasciato per il resto dei tuoi giorni. C'era un solo modo per sfuggire a quella presenza, un unica e sola costante con una marea di variabili e lui ne conosceva di gente che era arrivata alla sua stessa conclusione, solo con largo anticipo; gente che alla fine aveva deciso non solo di abbracciare l'oblio ma di lasciare anche che quest'ultimo consumasse ogni parte della loro esistenza nella sua morsa. E a quel punto non si poteva più tornare indietro, la convinzione era già penetrata fino alle ossa e non ti avrebbe mai più abbandonato. Con il tempo, aveva avuto modo di constatare quanto vere fossero queste congetture, e soprattutto quanto caparbio fosse l'animo umano.

Era cambiato, Min Yoongi. Non gli era possibile osservare il riflesso della sua immagine attraverso uno specchio, ma lo sapeva come cosa certa. Non era più stanco, perché contro il suo volere in quel luogo si era riposato abbastanza. Non camminava più in giro per la grande capitale illuminata al calar della notte, perché in quel luogo non c'era nulla da vedere e di quel poco che c'era, non gli era permessa la visione. L'unica cosa che poteva osservare per tutto il tempo che passava sveglio, erano le asettiche pareti bianche della sua stanza quasi sempre silenziosa. Yoongi amava il silenzio e amava ancor di più riflettere in esso. Immaginava di vivere una vita che non avrebbe mai vissuto con persone che non facevano più parte della sua vita. Qualche volta la sua mente, offuscata da tormenti mai superati, lo riportava indietro contro il suo volere. Quando se ne rendeva conto, scappava per rintanarsi all'interno di un piacevole tanto quanto effimero sogno. Spesso, si era crogiolato nella paura di poter impazzire e allora si accucciava tendendo il corpo fino a quanto gli era concesso. Un ultimo, disperato, istinto di protezione verso sé stesso; qualcosa che ormai ai suoi occhi era brutto come un vaso rotto rimesso assieme a forza. Conservava una forma distorta di ciò che era sempre stato, certo, ma comunque imbruttito dai suoi trascorsi. Impossibilitato a tornare come prima. Tornare indietro, non era possibile. Il tempo era già stato segnato e a nessuno, men che meno a lui, aveva mai dato seconde opportunità. Avrebbe dovuto saperlo, per tutte le volte che se l'era ripetuto. Era caparbio, Yoongi, lo era sempre stato. Forse, era stata proprio quell'odiabile caratteristica a portarlo lì dove si trovava in quel momento. Era anche convinto di poter fare tutto da solo, esattamente com'era convinto di essere in grado di poter gestire la sua vita. Era sempre stato stupido, infondo. Solo, non lo aveva mai realmente accettato. Impiegabile come un treno privo di fermate, arrivava dove voleva arrivare e prendeva ciò che voleva prendere; consigli, opinioni, constatazioni, erano qualcosa che ascoltava ma che mai metteva in pratica.

R̶E̶G̶R̶E̶S̶S̶I̶O̶N̶  │SOPEDove le storie prendono vita. Scoprilo ora