Capitolo 21

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Avevo trascorso il restante tempo a leggere il primo romanzo della trilogia: L'amore sopra i tuoi occhi di Emily Castle.

Dovevo ammettere quanto ben scritto fosse, ricco di narrazione in prima persona e pensieri dell'autrice stessa nascosti dietro un font in corsivo ed un linguaggio abbastanza scherzoso.

Emily in questo libro parla di una storia d'amore iniziata come un fulmine sulla terra in ciel sereno, un amore incontenibile necessitante di forte passione che cattura non solo i sentimenti introversi della protagonista ma anche il carattere libero dell'antagonista. E di tutto ciò che la mia mente leggeva riga per riga, un appunto nasceva sulla piega delle mie labbra: banalità di un amore che può solo essere scritto e non provato.

Quel risentimento nel trovare fantasioso e impossibile ciò di cui Emily racconta nel suo libro non era solamente scatenato dal mio passato ma dalla realtà di ogni giorno: l'amore non può essere così semplice, non basta della passione e un colpo di fulmine a tenerlo aggrappato alla vita dell'altro, l'amore necessita di molto di più e certamente non è una bella storia a dargli una valida descrizione.

Ma continuai con la lettura lasciandomi trasportare dall'idea idilliaca che l'autrice ha avuto premura nel dare alla storia nata fra i due personaggi, certo fu per me che se mai esistesse un sentimento così avrei fatto di tutto per starne alla larga.

"In quel bacio avevo sigillato parole di cui mi vergognavo pronunciare: un ti amo sussurrato dal cuore che in un battito mancato avrei urlato, i silenzi in un abbraccio, il suo, così alto e possente che mi faceva sentire minuscola e debole ma protetta e libera. Jeremy era per me quel che il mare era per i pesci o il cielo per le nuvole, mi sentivo certa di non poter mai annegare se lui mi stringeva forte la mano. Ad oggi so che se chiudendo gli occhi sul mio viso spunta un sorriso e la mia mente chiama il suo nome, l'amore provato è ciò per il quale io mi tengo vicina a lui.
E Jeremy mi ama, ne sono certa, perché quando il suo pensiero mi accarezza mi lascia addosso la sensazione di non essere completamente sola in questa avventura mai provata prima".

Smisi di leggere qualche capitolo dopo quando la dolcezza d'inchiostro nero stava dando zucchero al mio sangue. In tanti anni che lavoro come editore mi era capitato di avere a che fare con diversi romanzi, il mio primario compito era sempre stato quello di dare una casa accogliente ad ogni libro, un titolo ed un ottimo editing e design di copertina che si occupasse dell'interesse e delle richieste di ogni autore. Non mi era ancora mai capitato per mia volontà di entrare nell'interesse della lettura, avevo più premura nell'assicurarmi che la storia fosse avvincente, ricca di colpi di scena, interessante a livello di sinossi ed andamento di scrittura, il resto non toccava a me.

Ma questa volta era diverso: avevo una collaborazione importante con un autore e come per il resto era mio dovere documentarmi sul suo potenziale e valutare se perderci tempo sarebbe servito a dare buoni frutti al mio albero.

Emily Castle, giovane e già avviata nel campo della scrittura con una trilogia il cui numero di copie vendute non era per nulla povero, necessitava di una possibilità in più del mio poco tempo a disposizione a sfogliare le 400 pagine per libro dei suoi tre romanzi e poi, che fosse per altri una scusante indifferente atto allo scopo, quella dedica iniziale aveva seriamente colpito un punto dolente che speravo di non veder ferire altre persone oltre me.

Che sia per me un motivo in più a darle la collaborazione che le serviva, non avevo ancora inquadrato ma sicuramente avrei tanto avuto interesse e premura in una convivenza libera cui lei avrebbe avuto modo di fidarsi dei suoi spazi attorno a me e chi lo sa, con il tempo, parlarmi della sua vita in quanto orfana proprio come lo ero diventato io.

Quando feci ricerche sulla sua vita, tal proposito era omesso dal suo curriculum. Probabilmente, come me, riteneva giusta la privacy essendo comunque un personaggio pubblico.

Le ore erano trascorse molto velocemente tra romanzi da revisionare, altri da rifiutare, organizzazione di nuove riunioni lavorative anche intenzionate al presentare più da vicino Emily e lettura della sua trilogia.

Quando mi ero messo in macchina augurando a Sophie di trascorrere una buona serata, mentre percorrevo a velocità media la strada verso casa, pensavo a ciò che Emily aveva scelto di indossare e a cosa Patrick aveva deciso di fare. Era un padre di famiglia, divorziato da anni, non ha mai avuto interesse a ricostruire sentimentalmente la sua vita ma non faceva che ricordare a me quanto fosse doveroso e giusto avere una donna accanto.

Probabilmente, molto più che sicuramente, parlava per la mia giovane età e non perché stare da soli fosse sbagliato.

Negli anni trascorsi senza una figura paterna, dei miei errori giovanili se ne occupava lui: quando tornavo a casa con il naso pieno di sangue e lividi sul viso, quando distruggevo le auto nuove con le corse imprudenti, quando una donna entrava e l'altra usciva per il solo scopo di soddisfare le mie libido.

Aveva visto la mia totale distruzione diventare scudo e i miei dispiaceri trasformarsi in marmo, mai nessuno capirà le mie scelte quanto non faccia Patrick e della sua pazienza ne dovrò fare tesoro ogni giorno.

Parcheggiai dinanzi il cancelletto di casa e quando calpestai il viottolo avvicinandomi sempre di più alla porta d'ingresso, inspirai ed espirai più volte in alternanza con il pensiero di cosa Emily avesse scelto di indossare per questa serata.

Da che ne abbia ricordo, nella sua prima serata di gala era servita la mia assistente Sophie a renderla donna e non che Emily non lo fosse, solo ritenevo non nascondesse la sua semplicità anche nel gusto estetico e nel portamento piuttosto neutro e di libero commento anche negativo.

Questa volta però avevo aspettative differenti poiché il tempo per sistemarsi era più che assistito e che avrebbe potuto giocare con se stessa e con gli abiti proposti senza badare a nulla se non a come essi ricadessero sul suo corpo.

E poi lei era lì, seduta sul divano a due posti dell'ingresso con un largo sorriso mi guardava senza alzarsi da dov'era elegantemente accomodata con una gamba sopra l'altra. Aveva una coda arricciata che ricadeva sulle spalle in ciocche a fontana, nessun ornamento brillante illuminava collo e braccia poiché l'abito che aveva scelto era il color crema tempestato di luci al cui solo raggio della luce le brillava perfino sul viso acqua e sapone.

"Bentornato a casa, Russel", esordì con quel sorriso.

Mandai giù il nodo che stringeva come un cappio alla gola, l'inconsapevolezza di ciò che mi stava succedendo mi aveva reso nervoso.

Perché guardarla mi dava così tanto fastidio?

Strinsi i pugni:"Vado a cambiarmi, torno subito".

Mi congedai di tutta fretta, al settimo gradino spiai Emily ancora seduta sul divano che fissava davanti a sé, poi continuai a salire nascondendomi in camera.

Quell'abito, quel maledetto abito.

Come tu mi vuoi - Russel McRoverguy Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora