Capitolo 28

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Dentro provai una sensazione piacevole, più di una delle mie tante prestazioni sessuali concluse con una pressione esplosiva da stremarmi per più di dieci minuti: avevo chiuso il telefono in faccia ad Eva, era la prima volta che lo facevo e mi sentivo energico.

Posai l'apparecchio sul ripiano del tavolo e guardai ai miei piedi dove il vino rosso del bicchiere che avevo lasciato cadere per rabbia aveva formato una macchia scura sul pavimento che lentamente stava tracciando una scia nella fuga.

Se ci fosse stato Patrick se ne sarebbe occupato lui interrogandomi in seguito sulle motivazioni per il quale avessi fatto cadere un bicchiere a terra, ma considerato gli avessi dato un giorno di riposo lasciai la cucina per attrezzarmi di ogni occorrente e mettere in ordine quel macello.

Mentre andai nel piccolo sgabuzzino a pochi passi dalla cucina pensai al fatto che quello fosse uno dei calici in cristallo della collezione di mia madre. Ricordo che diceva sempre quanto lei ci tenesse e che non avremmo mai dovuti usarli se non per ricevere persone di un certo livello.

Io, invece, lo avevo appena distrutto per una persona che non era nulla.

Quando tornai in cucina, poggiai lo straccio a terra e mi bloccai alla visione di Emily accovacciata sui frammenti: li stava raccogliendo uno per uno raggruppandoli tutti nella mano.

"Che cosa stai facendo?" Le domandai rimanendo immobile davanti la porta.

Lei sussultò e quando si voltò verso di me, ogni scheggia di vetro cadde di nuovo a terra frantumandosi in altri piccoli pezzi. La sentii emettere un verso di dolore, la sua espressione si corrucciò per pochi secondi.

"Non avevo sonno", borbottò tirando indietro la mano:"Così sono scesa in cucina per bere dell'acqua e ho visto il bicchiere rotto sul pavimento".

"E hai pensato di pulire?"

"Volevo almeno togliere i frammenti da terra", guardò in basso.

Mi avvicinai a lei con due lunghe falcate, fu istintivo afferrarla per il polso e costringerla a farmi vedere la sua mano.

Il palmo era sporco di sangue che gocciolava fino al mignolo, in parte ciò era accaduto per la mia inaccurata insensibilità nel farla spaventare mentre raccoglieva i vetri.

"Ti sei tagliata", esclamai senza alcun espressione vocale.

"Non è niente", sussurrò.

Era tesa e fredda, il nostro contatto era rigido e innaturale.

Averla toccata le aveva dato modo di sentirsi imbarazzata così lasciai la sua mano per non sentire tramite il suo polso il cuore batterle all'impazzata.

"Aspettami qui", le dissi recandomi ad uno dei pensili contenenti tutti i kit medici.

"Russel davvero, non è niente", si agitò:"Mi sciacquo con l'acqua e mi passa".

Si girò verso il lavabo e prima che potesse ruotare la maniglia della fontana la girai verso di me per medicarle la mano.

Spalancò gli occhi a quel mio gesto così tanto da renderli grandi e ancor più tondi, cominciai a tamponarle il palmo quando mi fermai pressando la spugnetta: immancabile fu il pensiero di ciò che Eva aveva urlato al telefono pochi minuti prima.

Robert e questa ragazza si amavano ancora ed io mi domandavo che cosa Emily avesse dentro da spingerlo a desiderarla così tanto. Se esteticamente lasciava a desiderare, almeno per i miei canoni estetici, doveva compensare sicuramente con un bel carattere ed una forte personalità.
I nostri sguardi si stavano studiando, Emily schiuse la bocca quando pareva star per dire qualcosa.

Come tu mi vuoi - Russel McRoverguy Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora