Capitolo 33

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Quando Tracy lasciò il luogo dell'incidente, dopo circa una mezz'ora, andai via anche io lasciando nell'aria l'idea di aver potuto parlare con lei faccia a faccia.

Non riuscivo a levarmi di dosso la sensazione provata a poterla guardare ancora una volta senza doverla immaginare attraverso la foto incorniciata in camera mia e a pensare che, probabilmente, l'avermi ricordato che il suo numero fosse sempre quello doveva essere un qualche segnale che adesso non coglievo oppure lo facevo ma nel modo sbagliato.

Quando fui in macchina, turbato dall'idea di non poter accelerare, mi lasciai cogliere ancora una volta da un gesto apparentemente innocuo ma che a me dava sempre più fastidio ed astio verso me stesso.

Telefonai Patrick che al quarto squillo, rispose:"Sì, Signore?"

"Patrick, è rientrata Emily?"

Perché diavolo mi importavo di ciò che quella ragazza faceva in mia assenza? mi rimproverai.

"No, Signore".

Sospirai nervosamente, non sapevo se lo avessi fatto perché lei non era ancora rientrata oppure perché stavo ancora pensandoci.

"Va bene", conclusi.

"Vuole che la rintracci in qualche modo?", chiese lui.

"No, dopotutto la sua coinquilina le mancherà", commentai.

Ero sul punto di riprendere il Rossi Street ed assicurarmi lei fosse davvero nel suo appartamento, ma mi bloccai sul colpo quando ripetei nella mia mente che dovevo lasciarla libera di andare dove voleva. Non era il mio cagnolino né la mia donna, lei era il mio lavoro ed io il suo; non c'era nulla che doveva spingermi ad avere interesse nei suoi spostamenti.

"Va bene Signore, a più tardi", stava per chiudere quando lo fermai.

"Aspetta", feci una pausa quando Patrick fece silenzio. Raccolsi tutto il fiato che avevo:"Ho parlato con Tracy, poco fa".

Anche Patrick rimase in silenzio:"Mi spieghi, Signore".

"Stava portando dei fiori nel luogo dell'incidente", dissi:"Ed io ero lì".

"Sta bene?"

Mi fermai al semaforo cogliendo l'attimo per spostarmi indietro i capelli:"Vorrei saperlo anche io come sto con esattezza".

"So che non è da lei sfogarsi, ma lo faccia".

Non potevo non sentirmi rassicurato quando Patrick mi offriva il suo orecchio per ascoltarmi, ma io avevo davvero voglia di parlarne? Beh certo, se avevo accennato all'aver incontrato Tracy, sicuramente la mia intenzione era anche quella di parlarne con lui.

"Sono passati anni dall'ultima volta che siamo stati così vicini", iniziai mentre il semaforo tornò verde:"Credevo e speravo di averla dimenticata definitivamente; credevo di odiarla con tutto me stesso ed invece...", mi fermai.

"E invece non è così", fu Patrick a proseguire la frase al mio posto:"Signor Russel, l'amore non si odia solo perché qualcuno ci ha feriti nel profondo".

"E come si può fare per odiarlo?"

"Non si può", rispose:"Le ferite ci costringono ad andare avanti, ma non si potrà mai odiare chi ne è la causa".

Dopo le sue parole, dette con la saggezza di cui un uomo della sua età ne era ricolmo, smisi di domandarmi il motivo per il quale sentissi ancora per Tracy quello che fino ad ora Patrick ha definito come: amore.

E fu proprio quando smisi di pensarci che, pochi minuti dopo aver chiuso la telefonata con Patrick, la suoneria del cellulare risuonò insistente dal Bluetooth della mia auto.
Risposi e quella voce meccanica al telefono, rimbombante dallo stereo, mi fece tossire così forte da farmi perdere il controllo della macchina per qualche istante.

Come tu mi vuoi - Russel McRoverguy Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora