Capitolo 2

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Il lunedì mattina era arrivato sin troppo presto per Clarke. Aveva passato un week end a dir poco orribile. Il pensiero di quello che era successo nell'ufficio di Lexa non le dava tregua. Aveva ceduto e si era lasciata andare, ed era successo quello che si era promessa non sarebbe mai più accaduto.

'Un errore, uno stupido errore', era quello che il suo cervello continuava a propinarle.

Il concetto le era fin troppo chiaro, ma c'era solo un piccolo inconveniente in quella logica stringente: era completamente in antitesi con quello che stava provando. Malgrado tutta la fatica e il tempo perso per ricomporre i pezzi della sua vita sembrava essere tornata indietro nel tempo in una sola notte. Non sarebbe dovuto succedere, ma era successo ed era quello che non le aveva dato tregua per tutto il weekend.

Raggiunse l'ingresso del grattacielo dove era situato lo studio presso cui lavorava da oltre dieci anni e, sorseggiando il suo prezioso caffè al caramello preso da asporto allo Starbucks, attese l'arrivo dell'ascensore. Quando le porte di metallo si aprirono, incrociò il volto di Lexa e per un attimo l'idea di prendere quello successivo la sfiorò, ma alla fine decise di comportarsi da adulta e salì. Nell'ascensore si posizionò il più possibile lontana dalla sua collega, sul lato opposto della cabina. Voleva essere lasciata in pace, non aveva voglia di affrontarla, non aveva voglia di discutere. Quando insieme a lei salirono altre persone si rilassò, Lexa non le avrebbe mai detto niente in presenza di altre persone. il problema sarebbe sicuramente sorto dopo, rimanendo da sole, ma in quel preciso non le interessava, voleva solo sopravvivere.

Quando le porte di metallo si aprirono al loro piano, Clarke scheggiò fuori dirigendosi a passo spedito verso il suo ufficio, rifilando un veloce 'buongiorno' a tutti quelli che incrociava per strada. Non si voltò mai una volta indietro, perché era più che certa che Lexa la stesse seguendo, a modi stalker.

Dopo aver salutato la sua assistente, entrò nel suo studio. Si levò il trench e lo ripose sull'attaccapanni, appoggiò la borsa sul ripiano, e con il cellulare tra le mani si sedette alla scrivania. Non fece nemmeno in tempo ad accendere il suo laptop e a commiserarsi un po', che la porta del suo ufficio si spalancò di colpo. Alzò lo sguardo ed incrociò, di nuovo, gli smeraldi di Lexa.

"Dio, Lexa, lasciami in pace...", sbuffò mentre l'altra si avvicinava chiudendosi la porta alle spalle.

"Non ho intenzione di infastidirti... penso solo che ne dovremmo parlare?", disse la mora con tono estremamente calmo, cercando lo sguardo di Clarke.

Quest'ultima sospirò alzandosi dalla sua poltrona, non voleva affrontare una conversazione del genere ma, se proprio doveva, non voleva sentirsi inferiore a Lexa, voleva guardarla dritta negli occhi e ripeterle tutte le stronzate che il suo cervello continuava a propinarle, sperando in qualche modo di darla a bere almeno alla collega e togliersi questo dente che ricominciava a dolere.

"Non vedo proprio di cosa... dovremmo parlare", negò sapendo benissimo dove volesse andare a parare l'altra.

"Forse ti è sfuggito il fatto che abbiamo scopato venerdì sera?!", sostenne la bruna cercando di essere più diretta possibile.

"E quindi? Non è certo la prima volta che faccio sesso occasionale", obiettò la bionda mal celando tutto il suo sarcasmo.

"Occasionale?! Il sesso anale?", osservò Lexa provocandola.

Clarke sgranò gli occhi incredula, infastidita dall'insinuazione della collega.

"Per chi cazzo mi hai preso? Come ti permetti anche solo di insinuare una cosa del genere... Dio!", la rimbrottò alzando la voce.

"Quindi era la prima volta? Lo hai fatto solo con me in quel modo?", le chiese sempre più avidamente.

"Lexa, la vuoi smettere di assillarmi?! Lasciami in pace! Non ho voglia di affrontare questa conversazione con te, ne ora, ne mai!", esclamò Clarke esausta.

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