«È oltraggioso. Scandaloso». Lo sconosciuto sulla banchina aveva chiaramente deciso che, dato che leggere il giornale sotto la pioggia era fuori discussione, si sarebbe concentrato sull'unico altro miglior passatempo: lamentarsi.
Frank gli lanciò un'occhiata dubbiosa. Non aveva nessuna voglia di avere uno scambio di idee con quell'uomo di mezza età ricoperto di tweed, per poi essere trascinato in un'imbarazzante conversazione finché non fosse arrivato a New York. Si strinse nelle spalle, un gesto che, sotto il parka pesante, passò praticamente inosservato.
Lui continuò, per nulla turbato dalla sua mancanza d'entusiasmo. «Voglio dire, con gli aumenti che stanno facendo, come minimo ti aspetteresti dei treni puntuali, e poi, quando arrivano, sai già che non troverai uno straccio di posto a sedere. Pessimo servizio».
Frank si guardò intorno. La banchina non era abbastanza affollata perché lui potesse confondersi fra la gente e scomparire.
L'uomo in tweed si girò per guardarlo. «Non pensi?».
Costretto a una risposta diretta, Frank tentò di essere più neutro possibile. «Mhmh».
Ma lui sembrò prenderlo per un invito a proseguire la sua invettiva. «Era molto meglio quando c'erano le Ferrovie Nazionali. Con loro sì che sapevi dov'eri. Allora a lavorare sui treni c'era gente brava e onesta. Adesso, invece, va tutto a scatafascio. Tutto gestito da un branco di ciarlatani. È oltraggioso».
Dov'è il treno? Pensò Frank, ansioso di essere liberato da quella pantomima sociale. E finalmente eccolo, che avanzava lento come un cavaliere dall'armatura arrugginita. Un barlume di speranza in una giornata piena di imbarazzo e contrarietà.
Si chinò per prendere lo zaino. Come la maggior parte delle cose che possedeva, anche questa era sbiadita e mostrava segni di usura. Se lo issò in spalla e si avviò pigramente, insieme al resto dei passeggeri sfiniti, mentre il treno accostava lentamente, fino a fermarsi. Guardò rapidamente la direzione presa dallo sconosciuto in tweed e corse verso un'altra entrata.
Una volta nella carrozza diede un'occhiata a destra e a sinistra tentando di identificare i tipi strani – ubriachi, svitati, gente che desiderava raccontarti la propria storia e filosofeggiare sul senso della vita – che sembravano inspiegabilmente attratti da lui ogni volta che prendeva un mezzo pubblico. Quel giorno, dato che aveva tante cose per la testa, era particolarmente ansioso di evitarli. Esaminò i posti liberi nella carrozza: uno vicino a una madre con bimbo urlante e faccia rossa e raggrinzita. Un altro di fronte a un paio di adolescenti ubriachi con le magliette blu dei Rangers. Bevevano da una bottiglia mal nascosta che sembrava contenere qualcosa di sospetto, decisamente simile a Buckfast, e cantavano a voce alta e assai stonata.
L'unica alternativa si trovava al centro della carrozza, un posto seminascosto da un donnone robusto che aveva sistemato le buste della spesa sui sedili di fronte e accanto a sé, in modo da rendere lampante che non gradiva alcuna compagnia. In ogni caso, per quanto fosse ostile, lei era l'opzione più invitante.
«Mi scusi», borbottò Frank, avvicinandosi malvolentieri.
La donna sospirò sonoramente, il dispiacere era palese, ma spostò comunque le buste e Frank, dopo essersi scrollato di dosso la giacca, aver tirato fuori telefono e cuffie e lanciato lo zaino sul portapacchi, si sedette. Chiuse gli occhi, infilò le cuffie nelle orecchie e alzò il volume al massimo, lasciando che i bassi potenti della sua band indie rock preferita cancellassero il mondo circostante. Immaginò la signora delle buste che lanciava occhiatacce a lui e alla sua musica, e la scena gli fece spuntare un mezzo sorriso. Troppo silenziosamente perché lui potesse udirlo, il treno gemette prendendo velocità mentre correva verso New York.
Con gli occhi sempre chiusi, Frank pensò all'imminente weekend. Nervosismo ed eccitazione si contendevano nel suo stomaco, mentre si figurava di scendere dal treno e cercare l'uomo che per lui era tutt'altro che un estraneo. Erano serviti mesi di lusinghe e moine per convincere Lydia a darle il numero di un certo Anthony Iero, suo padre. Frank ricordò quanto gli tremassero le mani quando aveva chiamato, poi appeso, richiamato e riappeso. E se lui non avesse voluto parlargli? Se ormai avesse avuto una famiglia sua? E se, peggio ancora, si fosse rivelato un'enorme delusione? Un ubriacone o un criminale? Sua madre non era stata in grado di fornirgli ulteriori dettagli. Loro non parlavano, mai. Lui se n'era andato quando lei gli aveva chiesto di farlo e non si era più fatto vivo con nessuna dei due, come Lydia gli aveva chiesto di fare. All'epoca Frank aveva cinque anni, e dopo altri dieci il viso di suo padre non era neanche più un ricordo.
Dopo due giorni passati nell'agitazione, Frank aveva telefonato durante l'intervallo, avendo trovato prima un angolo tranquillo nel cortile della scuola che non fosse già occupato da fumatori, coppiette o gruppi di balordi. Aveva sperato, però, che fosse suo padre a essere occupato e che non avrebbe risposto nessuno. Aveva funzionato. Dopo sei squilli era scattata la segreteria e Frank si era reso conto d'un tratto di non aver pensato affatto a cosa dire. Preso dal panico, aveva lasciato un messaggio esitante, dicendo cose a casaccio.
«Salve, il messaggio è per Anthony Iero. Sono Frank. Tuo figlio». Che altro dire? «Io, ehm. ho avuto il tuo numero da mamma. Cioè, Lydia. Pensavo che, magari, potremmo incontrarci, forse. E parlare. Se ti va». Respiro. «Questo è il mio numero.».
Appena riattaccato, aveva fatto una smorfia. Che razza di idiota! Non riusciva a credere di non essersi preparato un messaggio. Aveva fatto la figura di un perfetto imbecille. Beh, ormai non poteva fare altro che aspettare. E aveva aspettato. Per tutto il pomeriggio aveva avuto lo stomaco stretto dalla nausea. Biologia e Inglese erano passati senza che se ne accorgesse. A casa aveva guardato la televisione senza vederla, e non aveva cambiato canale neanche quando era arrivata quella stupida soap opera. E se lui non l'avesse chiamato? Aveva già ascoltato il messaggio? E se non l'aveva ricevuto? Frank aveva immaginato una mano femminile che sollevava il telefono e qualcuno che ascoltava, poi premeva lentamente un'unghia smaltata di rosso sul pulsante "cancella" Troppo paranoico per richiamare, non aveva avuto altra scelta se non quella di tenere il cellulare a portata d'orecchio.
Ci era voluto un giorno intero, un giorno che a Frank era parso un mese, ma lui aveva chiamato. Alle quattro, proprio mentre lui stava tornando a casa da scuola, grondante dopo un'altra giornata di pioggia, con i calzini bagnati e le spalle sempre più fradicie, il telefono gli aveva vibrato nella tasca. Ci siamo. Tirò fuori dalla tasca il cellulare con uno strattone, un'occhiata rapida al numero gli aveva confermato che era Anthony. Fatto scorrere il pollice sullo schermo e lo aveva premuto sull'orecchio.
«Pronto?». La sua voce era risuonata ruvida e strozzata. Aveva tentato di schiarirsi la gola in silenzio.
«Frank? Frank, sono Anthony. Cioè, sono tuo padre».
Silenzio. Di' qualcosa, Frank, aveva pensato. Di' qualcosa, papà. Fra di loro era aleggiato il silenzio, ma nell'agitazione del momento era risuonato come un urlo.
«Ascolta». La voce di lui lo aveva infranto, dissolto. «Sono felicissimo che tu mi abbia chiamato. È da tanto che volevo sentirti. Abbiamo un sacco di cose da raccontarci».
Frank aveva sorriso. Aveva preso un respiro profondo e aveva cominciato a parlare.
Dopodiché era stato tutto facilissimo. Parlando con lui si era sentito perfettamente a suo agio, come se lo conoscesse da sempre. Avevano chiacchierato finché il telefono di Frank non si era scaricato. Suo padre volle sapere ogni cosa: la scuola, gli hobby, con chi usciva, quali erano i suoi film preferiti, quali libri gli piaceva leggere, e le ragazze – anche se su questo non c'era stato granché da dire. E da parte sua le aveva raccontato la vita che conduceva ad New York, dove viveva con la sua cagnolina. Niente moglie, né figli. Nessuna complicazione. E voleva che lui andasse a trovarlo.
Questo accadeva esattamente una settimana prima. Per sette giorni Frank era stato combattuto fra nervosismo ed eccitazione all'idea di vedere suo padre e aveva tentato di non litigare con Jane, che non aveva nascosto affatto quanto disapprovasse tutta quella faccenda. Frank non l'aveva ancora detto nemmeno a Jimmy. Ma una volta seduto in treno, una punta di nervosismo lo spinse a scrivere un messaggio:"Jimmy! Come ti vanno le cose?
La nuova scuola è ancora una palla?""Nuova scuola, stessi idioti. Solo che
questi sono idioti di campagna.
Strafelice che l'anno prossimo a
quest'ora cominceremo il college,
non vedo l'ora di andarmene di qui!
E come butta la giornata alla gloriosa Rowan?""Lo stesso una palla, però ho delle notizie"
"Ooh spara"
"Ho parlato con mio padre"
Frank premette il tasto "invio" e aspettò. Sperava che Jimmy le dicesse qualcosa di carino; voleva che qualcuno le dicesse che stava facendo la cosa giusta. Ci fu una pausa che sembrò durare un'eternità prima che apparisse la piccola icona che indicava che Jimmy stava scrivendo.
"Allora... come è andata?"
Una risposta cauta. Il suo amico non voleva fare gaffe.
"In realtà benissimo, vuole conoscermi...
al telefono mi è sembrato simpatico.
Non capisco perchè Lydia lo odi così tanto""Chi lo sa, i genitori sono strani.
Guarda i miei, completamente
fuori di testa!
Quindi, viene da te?""No, vado io"
"Oh, beh hai fatto presto, sei preoccupato?"
"Nah, perchè dovrei esserlo"
La risposta arrivò in un istante:
"Bugiardo, te la stai facendo sotto"
Frank scoppiò a ridere, poi si tappò la bocca con la mano quando vide la donna davanti a lei guardarlo ancora più male di prima. Tipico di Jimmy, si accorgeva sempre quando fingeva.
"Sta' zitto.. forse un po' "
"Su, dai, sarà bello.
E poi è meglio che sia così distante,
se tua madre non lo sopporta, lol.
Ci vai in treno?""Sì, mi ha comprato lui il biglietto.
Dice che vuole recuperare dieci anni
di tempo perduto"Frank teneva il biglietto in mano. Avrebbe dovuto avvertire suo padre che stava arrivando.
Aprì un nuovo messaggio."Papà, sono in treno.
Non vedo l'ora di incontrarti..
-Frank"Proprio mentre premeva il pulsante "invio", il finestrino accanto a lui divenne nero. Fantastico, pensò, una galleria. Lo schermo del telefono – un costoso regalo di Natale che Lydia aveva pagato con numerosi straordinari al lavoro – visualizzò una parola: "invio in corso".
Lo caricò per tre volte prima che comparisse l'avviso: "messaggio non inviato".
«Dannazione», borbottò Frank. Scioccamente, allungò il braccio per puntare il telefono verso l'alto, pur sapendo che in galleria era perfettamente inutile; nessun segnale sarebbe passato attraverso uno strato di roccia così massiccio.
Era in quella posizione, braccio in alto come una statua della libertà in miniatura... quando accadde. La luce svanì, e il rumore esplose.
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Eᴛᴇʀɴᴀʟ Lᴏᴠᴇ
FantasyLa vita di Frank subisce un drastico cambiamento: il treno su cui viaggia ha un terribile incidente. Lui sembrerebbe essere l'unico sopravvissuto tra i passeggeri e, una volta uscito, si ritrova in aperta campagna, in mezzo alle colline. Intorno non...