Moros non aveva obiettato, né chiesto a Frank il motivo della sua strana richiesta. Al contrario, aveva teso un braccio, indicando un punto attraverso la biblioteca. Frank esitò e diede un'ultima occhiata alla pagina, prima di seguirlo. Qualcosa aveva attirato il suo sguardo – là, proprio in fondo alla pagina, c'era un'altra di quelle curiose registrazioni. Un'altra anima cancellata.
Tuttavia, non aveva tempo per interrogare Moros sulle righe cancellate. L'essere si spostò verso una porta stretta incastrata in una parete. Era scura, di mogano, forse, e intarsiata con un rivestimento elegantemente scolpito. La maniglia era piccola e tonda, d'ottone brunito. Frank non riusciva a ricordare di averla vista lì, un minuto prima. Aggrottò la fronte e se la massaggiò, un po' disorientato.
«Questa era...».
Moros gli sorrise, aspettando il resto della domanda, ma Frank non proseguì. Davvero, non importava. La porta adesso c'era ed era ciò su cui doveva concentrarsi. Era tutto così poco chiaro.
«Per di qua?».
Moros annuì. Frank attese che gli aprisse la porta – sembrava che lì il capo fosse lui– ma Moros non si mosse. Era forse un'altra di quelle cose che avrebbe dovuto fare da solo, come oltrepassare il confine nella terra perduta? Con un'occhiata a Moros per assicurarsi che non stia facendo nulla di sbagliato, Frank allungò una mano esitante e afferrò la maniglia. La girò facilmente e l'essere fece un passo indietro in modo che potesse aprire completamente la porta. Frank lo fece, lanciandogli un'altra occhiata nervosa prima di uscire e contemplare l'ambiente circostante.
Una strada. Il corvino si sentì immediatamente a proprio agio. Gli edifici non somigliavano a niente che lui avesse già visto: un altro mondo rispetto agli alti palazzi in pietra arenaria rossa del Glassboro. Davanti a lui si estendevano file su file di case a un piano ordinate, con giardini ben curati e graziose fioriere. Le automobili, quasi tutte nere e lucide, con lunghi cofani bombati e scintillanti telai argentati lungo le fiancate, erano parcheggiate nei vialetti o a lato della strada. Sembrava un mondo uscito da uno di quei vecchi film che Lydia gli faceva vedere ogni volta che avevano a cena qualcuno dei loro vicini anziani. Il sole squarciava il cielo e in tutta la strada c'era un brusio sommesso e amichevole.
Frank avanzò su un vialetto perfettamente pavimentato che si snodava lungo un prato ben tenuto. Alle sue spalle vi fu un leggero clic, si voltò e vide la porta chiudersi. Era come se fosse uscito da uno degli edifici: una casa indipendente dotata di abbaini e con l'esterno rivestito di legno scuro. Moros era scomparso, e Frank aveva la sensazione di non dover fare altro che memorizzare quella porta per tornare nella sala delle registrazioni.
Si prese qualche secondo per fissare nella mente il vaso di fiori gialli e arancioni a sinistra dell'unico gradino e il numero undici in ottone, inchiodato al centro di una cassetta delle lettere. Certo di essere in grado di ritrovare la casa, si voltò di nuovo verso la strada. Sentiva nelle orecchie un tintinnio metallico che si sforzò di riconoscere. Sibilava un po', ma in sottofondo riusciva a sentire una melodia. Era come ascoltare una radio sintonizzata male. Frank seguì il suono, passando fra le macchine, finché non arrivò a un paio di gambe che spuntavano da sotto un veicolo nero scintillante. Il suono adesso era più forte e lui si rese conto di aver avuto ragione: una vecchia radio – quella che sua nonna avrebbe chiamato "radiotelegrafo" – era appoggiata sopra l'automobile. Un piede dondolava a tempo con la musica, una vecchia canzone che Frank non riconobbe.
Si chiese se avesse trovato Dominic Corey.
«Salve» esclamò, chinandosi leggermente per sbirciare sotto la macchina. Non riuscì a vedere molto, solo altri centimetri di gambe.
Il piede smise di dondolare. Dopo un secondo, con un rumore rasposo, uscì fuori un corpo e, finalmente, un viso macchiato d'olio. Frank aspettò finché lui non si alzò in piedi.
Aveva un viso da bambino, fu questa la prima cosa che notò. Liscio, tondo, con guance piene sotto due occhi blu; i capelli biondi erano ordinatamente pettinati con la riga da una parte, ma alcune ciocche si erano ribellate e adesso spuntavano bizzarre dalla testa, facendolo apparire persino più infantile. Era un viso strano, per stare in cima a un corpo così alto e robusto.
Frank era sicuro che fosse l'anima che stava cercando. Non era come l'aveva immaginato, ma era senza alcun dubbio lui, Dominic. D'un tratto ricordò che era tedesco e si chiese se sarebbe stato in grado di parlare con lui. Lui aveva studiato francese, a scuola, mentre in tedesco, al massimo, sapeva contare fino a cinque.
«Riesci a capirmi?» gli chiese.
Lui gli sorrise, rivelando denti abbastanza storti.
«Non sei qui da molto, vero?». Il suo inglese era perfetto, solo con una sfumatura d'accento.
«Oh». Frank arrossì, rendendosi conto di aver fatto una gaffe. «Scusami, no. Sono appena arrivato».
Il sorriso si fece più ampio. «Riesco a capirti».
«Tu sei Dominic» gli disse. Non era una domanda, ma lui annuì ugualmente. «Io sono Frank».
«Ciao, Frank».
Ci fu un attimo di pausa. Dominic l'osservava un po' incuriosito, così Frank fece una smorfia; cominciò a sentirsi a disagio. Perché aveva chiesto di vederlo? Che cosa voleva chiedergli? Era talmente disorientato, scombussolato, che non riusciva a chiarirlo nemmeno a se stesso.
«Ho chiesto di vederti» cominciò, sentendo che era necessaria una spiegazione. «Io... volevo parlare con te. Farti qualche domanda. Per te va bene?».
Doninic aspettava con pazienza e lui lo prese come un segnale per andare avanti.
«Volevo chiederti del tuo traghettatore».
Qualsiasi domanda si fosse aspettato il ragazzo, non era quella. Batté le palpebre, aggrottò la fronte, ma con un cenno d'assenso le fece capire che poteva continuare. Frank si mordicchiò la lingua, finché quasi non si fece male. Che cosa voleva sapere?
«Si chiamava Gerard?» domandò. Meglio cominciare con le cose semplici.
«No». Dominic scosse la testa lentamente, come se stesse ricordando qualcosa di molto remoto. «No, il suo nome era Arthur».
«Oh» riuscì a mormorare Frank, tentando invano di ingoiare la delusione. Forse non era lui, allora. Forse Moros si era sbagliato.
«Che aspetto aveva?».
«Non saprei, normale, presumo». Dominic alzò le spalle, come se fosse una domanda difficile. «Come un qualsiasi soldato. Alto, capelli scuri, uniforme».
Capelli scuri? Anche questo era sbagliato.
«Ricordo.». Sbuffò, poi all'improvviso sorrise. «Ricordo che aveva gli occhi più verdi di chiunque altro avessi mai visto in vita mia. Avevano un colore stranissimo».
«Verde smeraldo» mormorò Frank, rivedendone il colore abbagliante come se lo avesse di fronte. I contorni del viso erano un po' sfocati, ma il fuoco freddo del suo sguardo le bruciava ancora dentro. Era lui: era Gerard. Sorrise fra sé e sé. Almeno una cosa era reale.
Forse cambiava nome per ogni anima che incontrava, scegliendone uno che pensava potesse piacere. Frank ricordò ciò che gli aveva detto sul modo in cui gli convinceva a seguirlo. Arrossì, mentre gli riecheggiavano nella mente le sue parole quando gli diceva che avrebbe dovuto farlo infatuare di sé. A lui era piaciuto il nome Arthur; gli era sembrato antico, affascinante. Anche questo era parte del suo lavoro, parte del suo inganno? Si sentì stringere il cuore dalla tristezza quando si rese conto che, forse, lui non aveva mai conosciuto neanche il suo vero nome. Se ne aveva uno.
«Giusto» ammise Dominic, sorridendogli. «Verde smeraldo. È una buona definizione».
«Come... come è stato?». Involontariamente, Frank si portò una mano alla bocca e cominciò a mordicchiarsi le unghie. Adesso che stava per arrivare alle domande importanti era improvvisamente nervoso, non del tutto sicuro di volere le risposte, timoroso di sentire qualcosa che non gli sarebbe piaciuto.
«Che cosa intendi?». Corey era perplesso.
Frank sbuffò silenzioso, torcendo la bocca di lato. Non sapeva bene come esprimerlo.
«È stato... gentile? Si è preoccupato per te?».
Invece di rispondergli, Dominic inclinò la testa di lato mentre i suoi occhi blu lo studiavano a fondo.
«Perché mi fai queste domande?».
«Cosa?»
«Cos'è che vuoi sapere davvero, Frank?».
Era strano sentire il suo nome pronunciato con un accento straniero. Sembrava diverso, estraneo. Non gli somigliava. Inquieto come si sentiva, si accordava in maniera singolare al suo umore.
«Frank?». Il ragazzo richiamò la sua attenzione.
«Mi manca» ammise lui rivolto al terreno, confuso nel raccontare la verità. Dopo qualche secondo alzò lo sguardo e vide che Dominic lo stava studiando, con un'espressione divisa fra la comprensione e un leggero stupore. «Ne abbiamo passate tante insieme e... mi manca».
«Quando sei arrivato qui?» gli chiese lui.
«Adesso. Voglio dire, appena prima di venire a cercarti. Un'ora, forse». C'erano ancora, le ore?
Corey si accigliò e la piccola ruga fra i sui occhi divenne più evidente.
«E tu sei venuto direttamente qui per vedermi? Non hai una famiglia che vorresti incontrare? Persone della tua vita che hai pensato che non avresti più rivisto?».
Frank distolse lo sguardo prima di rispondere, vergognandosi un po' della risposta schietta. «No, voglio.. Gerard».
«Cos'è accaduto durante il vostro viaggio?».
«Cosa?». Distratto dalla domanda –che magari la sua mente finse di non capire– Frank tornò a guardare Dominic.
Era appoggiato alla macchina cui stava lavorando, le braccia conserte, il viso teso, mentre cercava di capire. «Quando ho conosciuto Arthur.. scusami, il tuo Gerard» si corresse, vedendo corrucciarsi il viso di Frank, «sapevo di essere morto. Ho saputo quasi da subito chi fosse lui e cosa fosse accaduto. Sono stato felice di avere la sua compagnia durante il viaggio, ma poi, quando è finito, ci siamo separati. E questo è stato tutto. Io ho proseguito; lui ha proseguito con l'anima successiva. Se penso a lui lo faccio con affetto. Ma non posso dire di averne sentito la mancanza».
Frank lo guardò, comprensivo. Però, non lo capiva. Non poteva. In effetti avrebbe anche potuto scorrere ogni nome nel registro di Gerard e non trovare una sola anima che avesse provato i suoi stessi sentimenti, che avesse saputo com'era avere quel morso doloroso che gli contorceva lo stomaco, come se gli mancasse una parte vitale di se stesso.
Era un pensiero al contempo confortante e deprimente.
Frank si girò di lato, scostandosi da Dominic. Lui lo stava guardando ancora con occhi compassionevoli, ed era doloroso vedervi riflessa la sua tristezza. Adesso voleva soltanto andarsene, trovare un posto tranquillo dove nascondersi e affrontare la baraonda di pensieri che gli paralizzavano il cervello.
«Senti, grazie per avermi ascoltato. Ti.. ti lascio tornare alla tua macchina. La stai aggiustando?».
«Sì». Dominic sorrise, un sorriso malizioso che gli fece sparire gli occhi nelle guance paffute. «Ho sempre voluto una macchina, quando ero vivo». Le parole che scelse frastornarono Frank, che però mantenne un'espressione impassibile.
«Adesso posso giocherellarci finché voglio. Anche se penso che funzionerebbe lo stesso, a prescindere da quello che io faccia. Eppure, mi piace pensare di essere io a fare la differenza. Ero così eccitato quando sono passato oltre e l'ho vista, all'inizio non avevo nemmeno notato di essere tornato a Stuttgart!». Fece a Frank con un sorriso leggermente triste. «Almeno questo posto ha una cosa. si torna a casa».
Casa. Ecco di nuovo. Gli occhi di Frank si rannuvolarono, le labbra fecero una smorfia infastidita.
«Io non tornerò a casa».
«Che vuoi dire?» il ragazzo lo squadrò.
«La sala delle registrazioni può portarti ovunque, giusto?».
«Beh, sì». Dominic era ancora stupito. «Ma quando hai oltrepassato il confine nella terra perduta...». Fece una pausa, inclinò la testa di lato e lo fissò. «Non sei tornato a casa?».
Stavolta toccò a Frank stupirsi. «Sono rimasto ancora in quella che sembrava la terra perduta».
«Ne sei sicuro?» insistette lui.
Frank lo guardò con aria interrogativa. Ne era dannatamente sicuro. «Certo. Sono rimasto nello stesso identico punto. Solo- solo che Gee... il mio traghettatore era scomparso».
«Questo non va bene» disse Dominic, palesemente preoccupato. «Tutti gli altri con cui ho parlato – la mia famiglia, i miei amici – nel momento in cui sono passati oltre si sono trovati nel luogo che sentivano come casa».
Frank non sapeva cosa dire. Immaginava che avrebbe dovuto sentirsi triste per non essersi ritrovato a casa sua.
Ma non si sentiva affatto triste. Si sentiva rassicurato. Il suo posto era accanto a Gerard, ecco che cosa gli stava dicendo il suo cervello. Per quanto detestasse la terra perduta, era lì che doveva stare.
Non apparteneva a quel luogo. Come al solito, non era adatto a lui.
«Io non dovrei essere qui» mormorò, più a se stesso che a Dominic. Si allontanò da lui. Voleva stare da solo. Da solo per pensare; si sforzò di imprimere una falsa vivacità alla propria voce: «Beh, divertiti con la tua macchina. Grazie ancora». Frank se ne andò prima ancora che l'ultima parola gli uscisse dalla bocca. Passi rapidi lo portarono via mentre gli occhi cercavano i vasi di fiori, il numero undici d'ottone.
«Ehi! Ehi, aspetta!».
Lasciandosi sfuggire un sibilo nervoso, Frank si fermò. Rimase dov'era per un secondo, poi si girò con cautela.
Corey si allontanò dalla macchina e coprì metà della distanza che li separava. La preoccupazione gli aveva segnato il viso, ora sembrava quasi un adulto.
«Non vuoi neanche provare?». Aveva la voce tanto bassa che Frank quasi non riuscì a sentirlo.
«Provare cosa?».
Lui guardò a sinistra e a destra, prima di rispondere. Frank sollevò le sopracciglia, incuriosito. «A tornare indietro» articolò senza parlare.
«Cosa?» esclamò Frank, e istintivamente avanzò fino a trovarsi faccia a faccia con lui. «Che vuoi dire con "tornare indietro"?». Indietro dove? Nella terra perduta? Gli stava dicendo che c'era una via?
Dominic lo zittì, gesticolando un avvertimento mentre si guardava intorno. Frank ignorò il suo panico, ma per ripetere la domanda abbassò la voce.
«Che vuoi dire con "tornare indietro"? Pensavo che non ci fosse un modo per farlo».
«Non c'è» precisò subito Dominic, ma aveva un'espressione sfuggente.
«Ma...»
«Ma niente». Dominic tentò di allontanarsi, ma Frank glielo impedì, prendendogli un braccio.
«Qualcuno ha tentato?» ipotizzò. Poi l'ispirazione lo colpì come un fulmine. «I nomi cancellati!». Si era sbagliato, prima? Non erano anime che si erano smarrite per arrivare lì, ma per tornare indietro? Era possibile.
«Non si può tornare indietro». Dominic ripeté le parole di Moros quasi come se la risposta gli fosse stata inculcata, ma non riuscì a mantenere un'espressione innocente.
«Come hanno fatto?» gli domandò, avanzando ancora.
Silenzio totale dal tedesco.
«Come hanno fatto, Dominic?».
Lui strinse le labbra, scrutandolo. «Non lo so».
Frank lo osservò con aria scaltra, troppo preso dall'improvvisa speranza per essere timido. «Stai mentendo».
«No, Frank. Non so come si faccia. Ma so che è un suicidio».
Frank fece una risata sgradevole. «Sono già morto».
Lui gli diede una lunga occhiata. «Sai che cosa intendo».
Gli ci volle un secondo per pensarci. Morto. Morto... davvero Finita. Era spaventoso; il solo pensiero gli diede il batticuore. Ma poi... che senso aveva rimanere lì? Sì, alla fine Lydia, suo padre, Jimmy. tutti sarebbero passati oltre. Avrebbe potuto riavere la sua vecchia vita, oppure una sua strana versione. E lui si sarebbe potuta trovare di nuovo solo, fuori posto come era stato prima; prima della terra perduta.
Questo non meritava l'attesa di una vita intera. Se avesse saputo che Gerard sarebbe arrivato, allora forse avrebbe potuto sopportare di rimanere lì. Ma non sarebbe mai accaduto. Lui non sarebbe mai arrivato. Quel pensiero gli provocò una fitta di dolore che lo colpì dritta al cuore e lui dovette chiudere gli occhi per resistere alla sofferenza. Gerard. Riusciva a richiamare alla memoria con chiarezza cristallina la sensazione bruciante delle labbra di lui premute sulle sue, delle sue braccia che lo stringevano. Quanta ironia, nel fatto che fosse stata la cosa più viva che avesse mai provato.
Valeva la pena rischiare l'oblio per provarla di nuovo?
Sì.
«Come puoi esserne sicuro quando non sai nemmeno come si fa?» lo sfidò. Si rifiutava di farsi scoraggiare dalla negatività di Dominic, non quando gli aveva dato una speranza cui aggrapparsi.
«No, Frank. Tu non capisci». Lui scosse la testa, le mani avanti, in allarme. «Ci sono anime, qui, che hanno visto trascorrere secoli. Hanno conosciuto centinaia, forse migliaia di altre anime che hanno tentato di tornare indietro, dalle mogli o dai figli. Nessuno è mai tornato qui a raccontare la storia. Hai visto gli spettri, sai che cosa fanno».
Frank si morse il labbro, mentre rifletteva. «Come fai a sapere di loro? Di quelli che hanno tentato?».
Lui fece un gesto vago. «Voci».
Voci. Il corvino fece un passo avanti, aveva gli occhi penetranti. Dominic tentò di farne uno indietro, ma non poteva andare da nessuna parte.
Lo fissò. Deciso. «Voci di chi?».
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Eᴛᴇʀɴᴀʟ Lᴏᴠᴇ
FantasyLa vita di Frank subisce un drastico cambiamento: il treno su cui viaggia ha un terribile incidente. Lui sembrerebbe essere l'unico sopravvissuto tra i passeggeri e, una volta uscito, si ritrova in aperta campagna, in mezzo alle colline. Intorno non...