«Gerard!» esclamò. Saltò giù dal letto e quasi cadde per la frenesia di attraversare la stanza. Mentre si avvicinava, Gerard rimase fermo e Frank gli gettò le braccia al collo, finalmente sollevato. Dei singhiozzi sommessi gli sfuggirono, scuotendogli il petto. Nascose la testa nella sua spalla e si lasciò annegare nell'oceano di sicurezza e piacere che lo travolse.
Gerard restò immobile per un istante, ma poi l'abbracciò e lo strinse forte a sé. Gli accarezzò la schiena con una mano, mentre lui continuava a singhiozzare sul suo petto.
Finalmente, Frank si rese conto che l'impeto emotivo si stava calmando e, sentendo tornare l'imbarazzo, si staccò. Sentì le guance arrossarsi, ma si sforzò di guardare negli occhi il ragazzo.
«Ciao» mormorò.
Lui dava la schiena alle fiamme e aveva il viso nascosto dalle ombre.
«Ciao» rispose Gerard, con un evidente sorriso nella voce.
«Pensavo... pensavo che fossi morto». La voce di Frank si spezzò, ma proseguì ugualmente, desideroso di sapere. «Che cosa è successo? Eri proprio dietro di me».
Vi fu una pausa. Gli occhi di Frank scrutarono il buio, ma non riuscì a decifrare la sua espressione.
«Mi dispiace» mormorò Gerard. Lo prese per mano e lo riportò verso il letto, dove si sedette accanto a lui. La luce del fuoco, a quel punto, tremolò sul viso di lui illuminandolo per la prima volta e provocando a Frank un sussulto.
«Oh Dio, Gerard, cosa ti è successo?».
Il ragazzo era quasi irriconoscibile. Un occhio nero e semichiuso; l'altro iniettato di sangue. La mascella era livida e una guancia era attraversata da un taglio profondo per tutta la sua lunghezza. Gerard si sforzò di sorridere, ma il tentativo fu palesemente doloroso. Persino nell'oscurità i suoi occhi rivelavano tutta la sofferenza che aveva sopportato. Frank allungò una mano per fargli una carezza sul viso, ma esitò, temendo di provocargli altro dolore.
«Non importa» gli rispose. «Non è niente».
Frank scosse lentamente la testa. Non era affatto vero. Il viso di Gerard era stato devastato, sfigurato. Per causa sua, forse?
«Gerard.»
«Shh. Te l'ho detto, non è niente. Tu non hai perso l'abitudine di dormire, invece» aggiunse, un evidente tentativo di cambiare argomento.
Frank annuì. «Era solo per passare il tempo».
«Pensi che potresti dormire un altro po'?».
Lui scosse la testa prima che finisse la frase.
«Beh, almeno dovresti sdraiarti e riposare, domani dovremo arrivare lontano».
Frank lo guardò con occhi imploranti. Sapeva che stava evitando di discutere dell'accaduto, ma lui ebbe l'impressione che non volesse parlargli affatto. Lui gli si era gettato addosso e aveva manifestato apertamente la sua gioia nel vederlo tornare. Adesso sembrava una cosa sciocca.
Gerard percepiva le sue emozioni. Gli prese la mano e, con dolcezza, la allontanò dal suo corpo.
«Dai, sdraiati. Resterò qui con te».
«Io...» era esitante, incerto.
La voce di Gerard era un mormorio sommesso nel buio. «Sdraiati con me» insistette, «Per favore».
Strisciò all'indietro finché non arrivò a sdraiarsi contro il muro, e fece accostare Frank accanto al suo petto. Il corvino si accoccolò al suo fianco sentendosi imbarazzato, ma al sicuro. Gerard non sembrava desideroso di parlare, ma era soddisfatto di stare lì, sdraiato accanto a lui. Frank sorrise e si concesse di rilassarsi per la prima volta in due giorni.
Alla luce del mattino le ferite di Gerard risultarono anche peggiori. Il suo occhio sinistro era una macchia ombreggiata di blu e nero e la sua mascella era ricoperta di sfumature viola, marroni e gialle. Il taglio lungo la guancia cominciava a chiudersi, ma il sangue secco spiccava netto sulla pelle bianca. Aveva anche numerosi, lunghi graffi sulle braccia. Quando il mattino scacciò la penombra dal cottage, Frank sfiorò con la punta del dito una ferita particolarmente brutta che correva su tutto l'avambraccio di Gerard. Era ancora sdraiato tra le sue braccia e, sebbene lì si sentisse incredibilmente tranquillo e al sicuro, aveva paura di parlare e infrangere il silenzio.
«Dovremmo andare» gli mormorò Gerard all'orecchio. La sua voce era bassa e dolce e il respiro gli solleticò il collo e provocò un brivido lungo la schiena. Imbarazzato, Frank saltò giù dal letto e si allontanò da lui per fermarsi al centro della stanza, di fronte a una finestra. Diede un'occhiata fuori e vide che la terra perduta, la sua terra perduta, era tornata.
«È cambiata» esclamò.
«In che senso?». Gerard alzò veloce lo sguardo.
«Ieri, prima che tu arrivassi, ho guardato fuori dalla porta e... e» Frank non sapeva come descrivere il mondo che aveva visto. «Era tutto rosso. Il sole, il cielo, la terra. E potevo vedere le anime, a migliaia, che viaggiavano con le loro guide. Ho visto i demoni, erano ovunque». Assorbito dal ricordo, la voce di Frank si spense in un sussurro.
Gerard lo guardò accigliato. Non riusciva a ricordare una sola volta in cui un'anima avesse visto e immaginato così tanto sul suo mondo. Nessun'anima era mai stata separata dal suo traghettatore per poi sopravvivere all'aggressione di un demone. Frank doveva essere perso ormai, e invece eccolo. E Gerard era scioccato e visibilmente grato per il fatto che fosse lì, davanti a lui. Com'era possibile che quell'anima così apparentemente normale fosse invece tanto straordinaria?
«Quando perdi la tua guida, vedi la vera terra perduta» gli disse. «Io sono il veicolo che crea le tue proiezioni».
«Allora è falso? Tutto quello che vedo è falso? È soltanto nella mia testa?». Questo glielo aveva già spiegato, ma Frank non aveva mai realmente compreso che cosa volesse dire. Fino a quel momento. E non gli piaceva. Anche se la terra perduta del giorno prima era stata terrificante, non sopportava il pensiero di essere ingannata da Gerard.
«Frank» lo chiamò lui, teneramente. Non c'era modo di addolcire le sue parole, perciò tentò di renderle meno pungenti aiutandosi con il tono della voce. «Tu sei morto. Quello che vedi nella tua mente è tutto quello che hai. Questo luogo, qui, è l'unico modo in cui puoi compiere il tuo viaggio. Questo è reale».
Frank lo guardò e i suoi occhi erano riflessi di impotenza. Gerard gli tese la mano, consapevole della sua fragilità, ma sapendo anche che ritardare era pericoloso.
«Forza» disse. «Andiamo». Gli rivolse un sorriso affettuoso e rassicurante che Frank ricambiò con labbra appena tremanti.
Fece un passo avanti per prendere la sua mano, e oltrepassò la porta. Quel cottage era stato allo stesso tempo rifugio e prigione per lui, e nel lasciarlo si sentiva come strano, ma Gerard si avviò fuori con decisione e lo riportò nella terra perduta.
Quel giorno non c'era sole, ma gli strati nuvolosi che avevano coperto il cielo erano leggeri e vaporosi. Frank si chiese che cosa rivelassero del suo umore. Se avesse dovuto identificarlo da solo, avrebbe detto che era pensieroso e curioso. Era rimasto confuso da quello che Gerard gli aveva detto della terra perduta e della sua mente ma, sebbene non volesse essere ingannato da quel luogo artificiale, si sentiva molto più al sicuro nel panorama familiare delle colline. Certo, la presenza di Gerard giocava un ruolo essenziale. Frank lo guardò ancora una volta, osservò la sua nuca e le sue spalle forti mentre le mostrava il cammino. Che cosa gli era accaduto? Frank si sentiva responsabile per ogni livido, per ogni taglio. Dopotutto, lui era lì per proteggerlo.
«Gerard» cominciò.
Lui si girò a guardarlo e rallentò, per potergli camminare a fianco. «Dimmi».
Sotto il suo sguardo, il corvino rinunciò e gli chiese, invece, un'altra cosa, una cosa di cui era curioso. «Tutte quelle anime... potevo vederle camminare, ma non stavano venendo verso casa sicura».
«No».
«E allora dove sono? Come funziona?».
Gerard fece un gesto noncurante. «Ogni traghettatore, qui, ha i propri luoghi sicuri, protetti. Il nostro aspetto dipende da voi. Ma il luogo dove io e te ci fermiamo, quello sarà sempre la mia casa sicura».
«Oh». Frank rimase zitto per un minuto, ma continuò a lanciare occhiate furtive a Gerard, chiedendosi se fosse giusto chiedergli quello che voleva sapere davvero.
Lui notò una delle sue occhiate. «Tu vuoi sapere che cosa mi è accaduto» ipotizzò.
Frank annuì.
Il ragazzo sospirò, diviso fra il desiderio di essere sincero e condividere, e la consapevolezza che lui non avrebbe dovuto sapere, di quel mondo, più dello stretto necessario per attraversarlo.
«Perché è importante?». Non era tanto una domanda, quanto una strategia per prendere tempo mentre tentava di decidere cosa fare: la cosa giusta, oppure quello che desiderava lui.
Funzionò. Frank rimase in silenzio mentre ci pensava.
«Perché, beh, perché è colpa mia. Tu sei qui per me e se io fossi stato più veloce, o avessi tenuto il sole alto più a lungo, l'avessi fatto brillare di più, allora... questo non sarebbe accaduto».
Gerard parve sorpreso, e lo era. Non era quella la risposta che si era aspettato. Aveva pensato che si trattasse di semplice curiosità sul suo mondo, invece Frank era interessato a lui. Sentì un calore diffondersi nel petto e capì di aver preso la sua decisione.
«Non mi avevi detto che potevano farti del male» gli disse Frank a bassa voce, con gli occhi colmi di tristezza e rimorsi.
«Sì» gli rispose. «Non possono uccidermi, ma possono toccarmi».
«Dimmi che cosa ti è accaduto». Era una richiesta carezzevole e Gerard non riuscì a resistergli una terza volta.
«Loro erano dappertutto e tu eri bloccato. Vedevo che non riuscivi a muoverti e invece dovevi correre».
Frank annuì, quella parte la ricordava bene, purtroppo. Se avesse corso quando lui glielo aveva ordinato, se fosse stato più coraggioso e non paralizzato dalla paura, ce l'avrebbero fatta entrambi.
«Ti ho spinto e a quel punto è stato come se fossi uscito da uno stato catatonico. Poi, mentre correvamo, ho pensato che ci saremmo riusciti». Fece una smorfia, mentre la vergogna gli aggrottava la fronte. «Non avevo intenzione di lasciarti», mormorò.
Frank si morse il labbro, e il senso di colpa crebbe in lui come una nausea. Gerard si sentiva male, si rimproverava, mentre era stata tutta colpa sua.
«Gerard», tentò di interromperlo, ma lui lo zittì con la mano.
«Mi dispiace, Frank. Mi dispiace per quello che è successo. Non appena hanno visto che ti avevo lasciato, mi hanno circondato, si sono messi tra di noi. Non riuscivo a passare in mezzo a loro per raggiungerti. Poi tu hai cominciato a correre, ma il cottage era troppo lontano. Non ce l'avresti fatta». A quel punto, nei suoi occhi affiorò uno sguardo lontano, come se stesse rivivendo la scena. La linea delle sue labbra rivelò a Frank quanto il ricordo fosse doloroso. Il senso di colpa crebbe di più, rendendosi conto che nel riportarglielo alla memoria lo stava ferendo di nuovo. Cominciò a chiedersi che cosa la spingesse a volerlo sapere.
Non era semplice curiosità invadente, però.
«I demoni erano ovunque» continuò Gerard. «Tu non puoi toccarli, ma io sì. Lo sapevi?».
Frank scosse la testa perché non era sicuramente di riuscire a parlare e, soprattutto, non voleva interromperlo.
«Ti sono corso dietro e ne ho spinti via più che ho potuto. Non riuscivo a farlo con tutti, non ne avevo mai visti sciamare così tanti, ma non stava funzionando. Anche se posso toccarli, non posso ferirli. Ogni volta che li tiravo via, non facevano che aggirarmi e attaccare da un altro angolo».
A quel punto Gerard si interruppe e sembrò che combattesse una lotta interiore. Frank non capiva se stesse decidendo se dirgli qualcosa, o semplicemente cercando il modo in cui farlo. Aspettò, con pazienza. Gerard alzò lo sguardo al cielo, poi annuì bruscamente e sospirò.
«Ci sono delle cose che posso fare nella terra perduta. Cose fuori dalla norma, cose che potresti definire magie».
Frank trattenne il fiato. Era il tipo di confessione che stava aspettando, quella che avrebbe dato un senso a tutto.
«Ho creato un vento». Fece una pausa, perché Frank, confuso, aggrottò la fronte. Non l'aveva notato. «Tu non lo avresti avvertito, era soltanto per i demoni».
«Hai creato un vento?» chiese, stupefatto. «Sei in grado di farlo?».
Gerard fece una smorfia. «È difficile, ma posso».
«Che significa, è difficile?».
«Che richiede moltissima energia, mi sfinisce, ma ha funzionato. Li ha sballottati da tutte le parti. Non potevano afferrarti» Sospirò. «Ma non ci hanno messo molto a capire da dove provenisse. La maggior parte di loro si sono girati e hanno attaccato».
«Avresti dovuto smettere» sbottò Frank. «Avresti dovuto fermare il vento e- e combatterli. Oppure...».
Gerard scosse la testa, interrompendo le sue parole. «Dovevo fare in modo che tu ti mettessi in salvo. Nella terra perduta, sei tu la mia priorità» Sorrise davanti all'espressione inorridita di Frank. «Io non posso morire e sono moralmente obbligato a proteggere prima di tutto l'anima, poi me stesso».
A queste parole, Frank annuì di riflesso. Era anche ovvio che non avesse corso un rischio specificamente per lui. Era il suo lavoro.
«Hanno tentato di attaccarmi, di tagliarmi con i loro artigli e di volarmi dritti addosso, sferrando colpi su tutto il corpo. Non possono passarmi attraverso come fanno con te. Ti stavano ancora intorno, ma tu eri molto vicino al cottage. Sono riuscito a mantenere il vento finché non ti ho visto varcare la soglia, ma poi si sono concentrati su di me, ed erano troppi per poterli combattere. Mi hanno trascinato sotto».
Frank immaginò la scena mentre lui parlava. I demoni che scendevano in picchiata, si avvolgevano intorno a lui, tirandolo e graffiandolo. Immaginò Gerard che tentava di combatterli, e cercando di correre. I demoni erano su di lui, che lo afferravano e lo tiravano giù, dentro la terra. Anche se, persino nella sua immaginazione, Gerard era troppo lontano per poterlo vedere, ogni sfumatura della sua espressione gli era chiarissima: il viso una maschera di panico e terrore, gli occhi spalancati e la bocca aperta in un muto urlo di dolore. Il sangue gli gocciolava sul viso, scorreva dall'occhio sinistro dove uno dei demoni lo aveva lacerato. Nelle sue immagini mentali, Gerard scompariva lentamente. Quanto lo avevano torturato? Quanto dolore c'era stato in ogni colpo, nell'affondo di ogni artiglio?
E aveva passato tutto questo per salvare la sua anima.
«L'ultima cosa che ho sentito sei stato tu che mi chiamavi. Ho tentato di liberarmi di loro per raggiungerti, ma erano in troppi. Almeno sapevo che eri al sicuro». Lo guardò, con quegli occhi verdi che lo trapassarono fino al cuore.
Frank riuscì soltanto a guardarlo a sua volta, smarrito nello stupore, nella profondità del suo sguardo. Perciò, ovviamente, cadde. Il suo piede si impigliò in un ciuffo d'erba.
«Oh-» sussultò, mentre si sentiva cadere inesorabilmente verso il terreno. Chiuse gli occhi e aspettò l'impatto. che non arrivò mai. La mano di Gerard scattò in avanti e gli afferrò la felpa da dietro arrestando di colpo la sua caduta a pochi centimetri da terra. Frank aprì gli occhi, non fece in tempo a tirare un sospiro di sollievo, che uno strattone lo rimise in piedi.
Gerard tentò con tutte le sue forze di rimanere serio, ma dalla bocca contratta sfuggì una risata.
Frank sbuffò e si allontanò a passo svelto, con quel poco di dignità che gli era rimasta. Udì la risata che cresceva, dietro di lui.
«Quanto sei goffo» lo prese in giro, raggiungendolo senza sforzo. Frank alzò il naso all'aria indignato, e continuò a camminare, pregando di non inciampare di nuovo.
«Di che ti meravigli? Guarda questo posto. La terra perduta non potrebbe essere asfaltata?» sibilò.
Gerard alzò le spalle. «Sei tu che l'hai creata così».
Frank fece una smorfia. «Io odio le escursioni» borbottò. «E odio le colline».
«E perchè?»
Stavolta fu Frank a fare spallucce. «Il nostro professore di motoria ci metteva su un pullman ogni anno, ci portava in campagna e ci obbligava a scalare montagne al freddo e al gelo. Era una tortura. Non sono un appassionato delle scalate».
«Ah, capisco» Gerard sorrise. «Ti farà piacere sapere che ormai siamo oltre metà strada. Ben presto sarai fuori di qui». Voleva rallegrarlo, ma a questa notizia il viso di Frank si intristì.
E poi, cosa? Che cosa c'era oltre la terra perduta? E significava che non avrebbe mai più rivisto Gerard? Questo pensiero era più sconvolgente della paura dell'ignoto. Gerard era diventato l'unica persona del suo mondo e lui non sopportava di perdere anche quell'ultima cosa.
Tali riflessioni l'accompagnarono fino in cima alla collina, passando sopra qualche dosso per arrivare in un piccolo avvallamento. Il punto perfetto per prendersi un po' di riposo. Guardò speranzoso la sua guida che, comprensiva, gli sorrise. Tuttavia, insieme al sorriso arrivò un diniego.
«Non oggi» gli disse, e Frank mise il broncio.
«Mi dispiace» insistette lui. «Non abbiamo tempo, Frank. Non voglio che ci prendano di nuovo».
Tese una mano, un invito. Frank la guardò male, ma aveva ragione lui. Dovevano cercare di precedere la notte e gli spettri che portava con sé. Non voleva che Gerard soffrisse ancora a causa sua. Allungò un braccio e prese la mano che gli offriva. Era coperta di graffi, quasi un riflesso dei segni sbiaditi che aveva sulle sue stesse braccia. Lui lo tirò fuori dalla piccola conca e, tutto d'un tratto, il corvino venne travolto dalla forza del vento. Fu difficile fare conversazione mentre scendevano. Frank aveva sperato di riportare Gerard al discorso su ciò che era accaduto sottoterra, ma a quanto pareva avrebbe dovuto attendere un momento più tranquillo. Non era il genere di racconto che poteva essere urlato controvento.
Oltretutto, sebbene desiderasse tanto ascoltare cos'era accaduto dopo, aveva anche paura di scoprire quale altra tortura aveva sopportato.
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Eᴛᴇʀɴᴀʟ Lᴏᴠᴇ
FantasyLa vita di Frank subisce un drastico cambiamento: il treno su cui viaggia ha un terribile incidente. Lui sembrerebbe essere l'unico sopravvissuto tra i passeggeri e, una volta uscito, si ritrova in aperta campagna, in mezzo alle colline. Intorno non...