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Fortunatamente raggiunsero la casa sicura molto prima del tramonto. Era un altro cottage di pietra e Frank cominciò a chiedersi se anche l'aspetto delle case sicure fosse una sua proiezione. Dovevano forse rappresentare la sua idea di rifugio, di casa? Tentò di pensare dove mai avrebbe potuto fare quel tipo di collegamento. L'appartamento in cui viveva - aveva vissuto - con Lydia era un palazzo in pietra arenaria rossa circondato da innumerevoli edifici identici. Sua nonna aveva vissuto in campagna prima di morire, ma in un moderno bungalow, con giardini progettati meticolosamente e disseminati di ridicoli leoni e gnomi di pietra. Non riusciva a pensare ad altro di più simile a una casa.
Tranne, beh, a suo padre, che quando avevano parlato al telefono aveva accennato alla sua casa. Una piccola casa di pietra, l'aveva definita. Vecchio stile, con spazio appena sufficiente per lui e Bean, il cane. Era quella l'immagine che la sua mente aveva creato? Forse il suo subconscio stava tentando di regalargli un frammento di ciò che lui aveva sperato di avere ma che non era riuscito a ottenere. Per un attimo immaginò la porta che si apriva e un uomo che ne usciva. Era bello, forte e d'aspetto gentile. Sorrise, pensandoci, poi si rese conto che non aveva altri dettagli. Non aveva mai visto nemmeno una fotografia di suo padre e non riusciva a ricordarlo, prima che se ne fosse andato da casa. Scuotendo la testa per scacciare quei brutti pensieri, seguì Gerard verso la porta d'ingresso.
Sebbene fosse un po' cadente, quel cottage aveva un che di confortante - era come tornare a casa dopo un lungo viaggio faticoso. La porta era di solida quercia, battuta dalle intemperie, ma resistente.
Non c'era un giardino, ma un vialetto pavimentato conduceva fino alla porta. L'erba sbucava fra gli interstizi del selciato, ma non si era ancora riappropriata del terreno.
All'interno, il cottage non aveva lo stesso aspetto di desolato disordine degli altri, e Frank si chiese se non fosse dovuto al fatto che, a poco a poco, lui stesse familiarizzando con la terra perduta. Su una parete c'era un letto, con accanto un tavolino sul quale poggiava una candela consumata a metà, e una vecchia cassettiera. Al centro della stanza, davanti al camino, c'era un tavolo e delle sedie, e sulla parete opposta una piccola cucina con un acquaio di ceramica sporco e scheggiato. Frank vi si avvicinò, sbirciando gli antichi rubinetti e chiedendosi se fossero funzionanti. Aveva ancora i jeans incrostati di fango, e la felpa grigia, che aveva scelto quando era a casa, prima che cominciasse tutta quella follia, adesso era un collage di macchie, chiazze di fango e piccoli strappi. Non voleva nemmeno immaginare in quali condizioni potesse essere la sua faccia.
Sebbene i rubinetti fossero arrugginiti e il lavabo sporco di terra, Frank si sentiva ottimista e girò quello dell'acqua fredda. All'inizio non accadde niente, ma poi ci fu un gorgoglio. Insospettito, si fece indietro proprio nel momento in cui dal rubinetto sgorgò dell'acqua marrone. Dopo aver scrosciato per alcuni secondi, il flusso si ridusse a un rivoletto dall'aspetto abbastanza pulito.
«Oh, sì» disse Frank, impaziente di potersi lavare per la prima volta da giorni. Provò anche il rubinetto dell'acqua calda, che spruzzò ugualmente acqua fangosa prima di quella pulita, ma mai calda. Il corvino si gettò l'acqua sul viso, rabbrividendo per la temperatura polare. Poi, per scherzare, ne prese un po' nelle mani e si girò per tirarla a Gerard. Si fermò di colpo, con l'acqua che gli scendeva tra le dita allentate e rimbalzava sul pavimento lastricato. La stanza era vuota.
«Gerard?» chiamò, preso improvvisamente dall'ansia. La porta era rimasta aperta e, sebbene vi fosse ancora luce, la notte si stava avvicinando in fretta. Avrebbe osato uscire fuori? Non poteva accadere lo stesso. Quel pensiero fu il fattore decisivo. Si avviò senza esitare, proprio quando Gerard comparve sulla soglia.
«Che succede?» gli chiese lui, ingenuamente.
«Dove diavolo- ..eri?» domandò Frank, prima di calmarsi e tirare un sospiro di sollievo.
«Ero qua fuori» Disse, sorpreso dalla sua reazione. «Mi dispiace, non volevo spaventarti».
«Ero... ero solo preoccupato» mormorò Frank, sentendosi stupido. Si girò e indicò il lavabo dietro di lui. «Qui i rubinetti funzionano».
Gerard gli rivolse un sorrisetto, poi guardò di nuovo la porta.
«Avremo ancora venti minuti di luce. Io sarò qui fuori, così avrai un po' di intimità. Sarò proprio di fronte alla porta d'ingresso» gli promise. «Potrai parlarmi, se ti va». Lo rassicurò con un sorriso, poi uscì dal cottage.
Frank andò alla porta e sbirciò fuori.
Gerard era seduto su un masso, e quando sollevò lo sguardo lo sorprese a guardarlo.
«Puoi chiudere la porta, se vuoi. Ma se vuoi lasciarla aperta, non guarderò». Gli fece l'occhiolino, facendolo arrossire.
Rimase lì, quasi a esitare, mentre prendeva in considerazione l'idea di lavarsi con la porta aperta e lui appena oltre. Imbarazzante. Ma poi pensò alla porta chiusa e lui solo dentro al cottage. La paura di essere lasciato da solo come l'ultima volta era ancora vivido.
Chiuse la porta a metà, nascondendo il viso beffardo di Gerard, ma lasciando una piccola apertura.
Sempre con un occhio alla porta, Frank si tolse i vestiti e, usando un pezzetto di sapone trovato accanto al lavandino, cominciò a lavarsi più in fretta possibile. Faceva molto freddo e considerò l'idea di chiedere a Gerard di accendere il fuoco, ma sapeva che, quando finalmente lo avesse acceso, entrambi sarebbero dovuti stare nel cottage, al sicuro. Stringendo i denti per non farli battere, tentò di essere rapido. Poi non ebbe altra scelta se non rimettersi i vestiti sporchi. Arricciò il naso mentre infilava i jeans infangati. Si stava infilando la maglietta, quando Gerard bussò alla porta. Frank infilò al volo anche la felpa grigia e tirò la zip fin sotto il mento.
«Hai finito?». Sbirciò in fretta dalla porta. «È solo che fuori si sta facendo buio».
«Ho finito» borbottò Frank.
Gerard entrò e chiuse la porta. «Accendo il fuoco».
Lui annuì, con gratitudine. Era ancora infreddolito per essersi lavato con l'acqua gelida. Per l'ennesima volta, in un lasso di tempo ridicolo, nel camino scoppiettarono le fiamme. Gerard si alzò e l'osservò.
«Com'è stato il bagno? Ti senti meglio?».
Frank annuì. «È solo che mi piacerebbe avere un cambio pulito» sospirò.
Gerard fece un sorriso beffardo e si avvicinò alla cassettiera.
«Qui dentro c'è qualcosa. Non so quanto ti staranno bene, ma potremmo provare a lavare i tuoi vestiti, se ti va. Ecco». Gli gettò una maglietta e dei pantaloni di una tuta. Erano un po' grandi, ma il pensiero di poter lavare i suoi abiti era molto allettante.
«Niente biancheria, però» aggiunse Gerard.
Frank ci rimuginò su e decise che rimanere senza boxer per una notte era un giusto prezzo da pagare per avere indumenti puliti. Però doveva cambiarsi ed era troppo buio per chiedere a Gerard di uscire fuori. Rimase lì, con i vestiti premuti sul petto, senza sapere cosa fare.
Gerard notò il suo disagio, così si allontanò fino all'acquaio. «Puoi cambiarti vicino al letto». Fissò lo sguardo fuori dalla finestrella della cucina. Frank sgattaiolò vicino al letto e, dopo un'occhiata a Gerard, si spogliò più in fretta che poté.
Il ragazzo guardava fermamente di fuori, ma il buio esterno e la luce del fuoco all'interno avevano trasformato il vetro in uno specchio. Poté vedere Frank che si toglieva prima la felpa, poi la maglietta. Aveva la pelle liscia, il contorno del suo corpo scendeva dalle spalle forti alla vita proporzionata. Quando si tolse i jeans, il ragazzo chiuse gli occhi tentando di aggrapparsi a un qualche residuo di cavalleria. Contò mentalmente fino a trenta - lentamente, associando ogni numero a un respiro - e quando riaprì gli occhi lui era lì, in quei vestiti troppo grandi, intento a fissargli la schiena. Si girò per guardarlo e gli sorrise.
«Carino» commentò, facendo arrossire Frank ancora una volta. «Vuoi che ti aiuti a fare il bucato?» si offrì.
«No, sono a posto». Prese i vestiti sporchi dal letto e attraversò la stanza. Li mollò sul bancone della cucina e passò cinque minuti a scrostare l'acquaio con una vecchia spugna e a cercare di ripulire la sporcizia prima di srotolare la catenella e mettere il tappo. Aprì entrambi i rubinetti al massimo - il flusso da quello caldo era sempre ghiacciato - ma non ottenne che un filo d'acqua. Il lavabo si sarebbe riempito in un sacco di tempo.
Mentre aspettava, il calore del fuoco l'attirò al centro della stanza. Gerard era già seduto su una delle sedie, comodamente appoggiato, con i piedi puntati su uno sgabello. Frank sedette su un'altra sedia e si portò le ginocchia al petto. Strinse le braccia intorno alle gambe e guardò il ragazzo. Era arrivato il momento di sentire il resto della storia.
«Allora» disse a voce bassa.
Gerard lo guardò. «Allora?».
«Raccontami il resto, Gerard».
Il modo in cui pronunciò il suo nome provocò un brivido al ragazzo.
«Che cos'è accaduto quando ti hanno portato giù?».
Lui fissò le fiamme, ma Frank capì che non stava guardando il fuoco; era di nuovo là fuori, con i demoni.
«Era buio». La sua voce era bassa, ipnotica, e il corvino riuscì subito a figurarsi nella mente tutto quello che descriveva. «Mi hanno tirato giù attraverso il terreno e io non riuscivo a respirare. La terra mi riempiva bocca e naso. Se non l'avessi saputo, avrei pensato che stavo per morire. Mi è sembrato che durasse un'eternità, affondare nella terra sempre più giù, sempre più giù. Finalmente la forza dei demoni mi ha fatto passare attraverso qualcosa e ho cominciato a cadere. Mi stavano graffiando di nuovo, ridevano di piacere e si avvicinavano veloci a me, così io mi contorcevo nell'aria. Poi ho colpito qualcosa, qualcosa di duro. Mi è sembrato di avere tutte le ossa del corpo fracassate. Ovviamente non era vero, ma la sofferenza... non ho mai provato niente di simile. I demoni mi erano tutti addosso e io non riuscivo nemmeno a difendermi». Gerard si interruppe improvvisamente, guardando verso la cucina. «Il lavabo sta per traboccare».
Aveva bisogno di prendersi una pausa, fermarsi e raccogliere i pensieri. Era sconvolto. Gerard non era mai stato catturato, mai sopraffatto dai demoni. Aveva detto a Frank che proteggere le anime veniva prima di tutto, ed era vero, ma fino a un certo punto. L'istinto di conservazione aveva sempre la meglio, perciò a volte le anime venivano perse. Non questa, però. Avrebbe sacrificato se stesso per tenerla al sicuro; quei dolori erano un prezzo piccolo da pagare.
«Oh!». Frank era stata rapita dalle sue parole e dall'espressione nei suoi occhi, così aveva dimenticato dell'acquaio. Scese a precipizio dalla sedia e, con una certa difficoltà, girò i rubinetti arrugginiti per fermare l'acqua. Vi immerse il sapone, strofinandolo vigorosamente fra le mani nel tentativo di ricavarne un po' di schiuma. Riuscì a ottenere una discreta saponata. Poi immerse i vestiti e li lasciò in ammollo, mentre lui tornava a sedersi davanti a Gerard. Lui gli sorrise appena.
«Come sei fuggito?» gli chiese.
Il sorriso si allargò. «Tu».
«Cosa?». Frank lo guardò, confuso.
«Tu avevi bisogno di me. Questo mi ha riportato indietro. Io... io non sapevo che potesse accadere, non era mai successo prima, ma tu mi hai chiamato. Ti ho sentita e poi, mi sono ritrovato di colpo all'imbocco della valle. Tu mi hai salvato, Frank». Lo fissò con occhi affettuosi, tenendo quel sorriso sincero, e anche grato.
Frank aprì la bocca, ma la sorpresa gli aveva rubato le parole. Un improvviso, nitido ricordo di se stesso che si rannicchiava sul pavimento, schiena contro la porta, e piangeva chiamando Gerard. Quindi era stato quello a funzionare, era stato lui, chiamandolo?
«Perché c'è voluto così tanto tempo?» mormorò. «Ti ho aspettato tutto il giorno...»
«Mi dispiace» rispose Gerard, sottovoce. «Sono tornato dalla parte opposta della valle, io...» si agitò, a disagio. «Mi muovevo un po' più lentamente. C'è voluto un giorno intero per tornare da te».
«Sono stato così felice di vederti. È stato terrificante rimanere da solo. Ma più di questo...». Frank rivolse lo sguardo alle fiamme del camino. «Avevo paura che ti stessero facendo del male, ovunque tu fossi. E infatti è stato così». Tornò a guardarlo e allungò una mano per toccargli il viso devastato, ma Gerard si tirò indietro.
«Dobbiamo tirare fuori dall'acqua i tuoi vestiti, o non si asciugheranno in tempo» gli disse.
Frank ritrasse in fretta il braccio, si guardò le ginocchia mentre le guance bruciavano dall'imbarazzo. Gerard vide lo sconforto sul suo viso e provò una fitta di rimorso. Aprì la bocca per dire qualcosa, ma Frank si era già girato verso il lavandino e nascondeva l'umiliazione ripulendo i vestiti con eccessivo accanimento.
Grato di avere un compito che avrebbe tenuto i suoi occhi lontani da lui, Frank si prese tutto il tempo per torcere i panni e farne uscire fino all'ultima goccia d'acqua.
«Ti aiuto a stenderli». Gerard gli era arrivato alle spalle e la sua voce nelle orecchie lo fece sobbalzare, tanto che lasciò cadere la maglietta sul pavimento. Lui si chinò per raccoglierla, ma Frank la agguantò prima che la sua mano potesse raggiungerlo.
«Nah, faccio io. Grazie» disse a bassa voce, senza guardarlo.
Non c'erano stendini, perciò Frank girò le sedie e stese i vestiti sopra gli schienali e i braccioli per farli asciugare accanto al fuoco.
Con le sedie occupate, non c'era altro posto per sedersi oltre al letto. Gerard era già lì, adagiato pigramente e intento a osservarlo con una strana espressione sul viso.
In realtà, stava lottando con la sua coscienza. Frank era soltanto un ragazzo - in confronto a lui poco più di un bambino, in realtà. I sentimenti che stava provando per lui erano scorretti, sbagliati. Ma poi, era proprio tanto vecchio quando in realtà viveva in un mondo dove non aveva mai vissuto per davvero, non era mai cresciuto? E che significato ha l'età, quando il tuo pensare e il tuo sentire durano un'eternità? Eppure, in quanto suo protettore, se avesse seguito le proprie pulsioni non avrebbe fatto altro che approfittare della sua vulnerabilità, a prescindere dalla questione dell'età.
Frank provava qualcosa per lui - glielo leggeva negli occhi, ne era quasi certo. Ma poteva anche sbagliare. Poteva anche essere soltanto la sua paura di essere solo. La fiducia che riponeva in lui poteva essere originata soltanto dalla necessità - quale altra scelta aveva avuto? - di stargli vicino, il modo in cui voleva toccarlo, potevano essere soltanto compassione.
Ma non poteva esserne sicuro.
C'era un'ultima considerazione, e fu quella decisiva. Gerard non poteva seguirlo nel luogo in cui sarebbe andato. Avrebbe dovuto separarsi da lui al confine, o meglio, Frank avrebbe dovuto farlo. Se davvero era innamorato, dargli adesso quello che a breve gli sarebbe stato tolto era una crudeltà. Non l'avrebbe sottoposto a questa dura prova. Non doveva seguire i propri sentimenti. Lo guardò, vide che lo stava osservando con quegli occhi color miele, e sentì la gola stringersi. Lui era la sua guida e il suo protettore. Niente di più. Però poteva confortarlo. Almeno questo, poteva concederselo.
Gli sorrise e allungò le braccia.
Frank gli si avvicinò timidamente e salì sul letto, accoccolandosi tra le sue braccia. Gerard gli accarezzò distrattamente il braccio, provocandogli un fremito che gli arrivò dritto al cuore. Frank appoggiò la testa sulla sua spalla e sorrise fra sé e sé. Com'era possibile che lì, in mezzo a tutto quel caos e alla paura, dopo che aveva perso davvero tutto, all'improvviso si sentisse... intero?

Eᴛᴇʀɴᴀʟ LᴏᴠᴇDove le storie prendono vita. Scoprilo ora