La prima luce del mattino colpì le finestre del capanno con i raggi del sole e, sebbene filtrata dalla polvere e dallo sporco sui vetri, fu abbastanza forte da svegliare Frank. Il ragazzo si stiracchiò, si scostò i capelli dal viso e si strofinò gli occhi. Per un attimo non ricordò esattamente dove si trovasse e rimase sdraiato a passare in rassegna l'ambiente circostante.
Il letto era estraneo e stretto, il materasso bitorzoluto. Il soffitto era composto di solidi travi di legno che sembravano resistere da almeno un centinaio d'anni. Frank batté le palpebre due volte, tentando di raccogliere i pensieri.
«Buongiorno». La voce gentile arrivò da sinistra e gli fece voltare la testa di scatto. Guardò in direzione della voce e cominciò a capire.
«'Giorno», rispose a voce bassa, mentre le sue guance si coprivano di rossore. Anche se la notte precedente avevano condiviso molte cose, Frank si sentiva di nuovo insicuro e imbarazzato.
«Come hai dormito?». La normale, educata domanda di Gerard sembrava, in un certo senso, fuori luogo: buone maniere in mezzo alla follia. Il ragazzo non riuscì a trattenere un sorriso.
«Bene. E tu?».
Lui sorrise. «Io non ne ho bisogno. Una delle stranezze della terra perduta. Nemmeno tu, in realtà. Solo che la tua mente pensa che sia necessario, quindi riposa. Alla fine, lo dimenticherà. Serve un po' di tempo per farci l'abitudine».
Lui lo guardò in silenzio, per un istante. «Niente sonno?».
Gerard scosse la testa. «Non si dorme, non si mangia, non si beve. Il tuo corpo è soltanto la proiezione della mente. Quello vero lo hai lasciato sul treno».
Frank boccheggiò. Gli sembrava di essere in un qualche film di fantascienza. Quello che gli stava dicendo Gerard sembrava assurdo e incredibile ma, mentre si osservava le mani, si rese conto che, anche se erano incrostate di fango, erano lisce, intatte. I profondi graffi inferti dagli spettri erano guariti.
«Oh», fu tutto quello che riuscì a elaborare. Guardò verso la finestra. «È sicuro uscire allo scoperto?». Non sapeva se i mostri - i demoni - della notte precedente fossero una minaccia anche durante il giorno.
«Sì, alla luce del sole non sono troppo affamati. Certo se fosse una giornata nuvolosa e grigia potrebbero emergere, se fossero abbastanza disperati». Gerard osservò la sua espressione preoccupata. «Ma oggi dovrebbe andarci bene. Sole». Indicò la finestra.
«Quindi, che succede adesso?».
«Partiamo. Abbiamo ancora una lunga strada da percorrere. La prossima casa sicura dista circa quindici chilometri e qui fa buio presto». Lanciò un'occhiataccia verso l'esterno, come se volesse sgridare il tempo perché li metteva in pericolo.
«Sono morto nella terra perduta invernale?». Gli occhi di Frank erano divertiti, ma anche incuriositi. Voleva saperne di più su quello strano posto.
Gerard lo fissò, mentre decideva quanto dirgli. Le guide dovevano trasportare le anime attraverso la terra perduta e nient'altro. Quasi tutte le anime, quando scoprivano dove si trovavano e che cosa era accaduto loro, erano troppo immerse nel proprio sconforto e nell'autocommiserazione per mostrarsi interessate a quella strada sospesa fra il mondo reale e la fine. Frank, invece, era diverso da qualsiasi anima avesse mai incontrato. Lui aveva accettato la verità con calma, senza isterismi. Adesso, gli occhi che lo esaminavano erano semplicemente interrogativi, curiosi. Qualche informazione in più, magari, poteva rendergli più facile accettare e capire, obiettò a se stesso. Ma, in realtà, voleva condividere qualcosa con lui. Voleva un modo per essergli più vicino. Prese un respiro profondo e fece la sua scelta.
«No» gli sorrise. «È colpa tua».
Dovette mordersi il labbro per non scoppiare a ridere. La sua reazione fu esattamente quella che si era aspettato: perplessa e un pochino offesa. Le sopracciglia si aggrottarono e gli occhi si ridussero a due strette fessure.
«Colpa mia. Com'è possibile? Io non ho fatto niente!».
Gerard ridacchiò. «Voglio dire che la terra perduta prende la forma che tu le dai».
L'espressione di Frank si trasformò in stupita confusione mentre i suoi occhi si allargavano come laghi luccicanti alla luce del sole.
«Andiamo». Si alzò dalla sedia, andò alla porta e l'aprì. «Te lo spiegherò strada facendo».
Quando Frank uscì l'aria era tiepida, ma soffiava una brezza che strisciava intorno alle pareti del capanno e gli stuzzicava i capelli. Il sole splendeva, ravvivando i colori della terra perduta. Le gocce di rugiada catturavano la luce e risplendevano nell'erba bagnata che appariva di un verde più intenso. Le colline ritagliavano i loro contorni taglienti come rasoi dentro il blu del cielo. Tutto sembrava appena lavato, pulito, e Frank prese un respiro profondo, godendosi la freschezza del mattino. Ma all'orizzonte il cielo era macchiato da nuvole scure. Il corvino sperò che il sole le scacciasse prima che potessero rovinare la bellissima giornata.
Imboccò il sentiero in discesa dietro a Gerard, tentando di evitare le ortiche che spuntavano dalle pietre spaccate.
Gerard lo aspettava a pochi metri di distanza, spostava il peso da un piede all'altro in un modo che gli diceva quanto fosse ansioso di andare via.
Frank fece una smorfia. Un'altra marcia. Aver capito dove stavano andando e perché fosse così importante arrivarci in fretta non rendeva il viaggio più allettante.
«Perché la terra perduta non può essere un po' più piatta?» borbottò, mentre si avvicinava a Gerard.
Lui fece un sorrisetto, ma non rispose. Al contrario, girò e si mise alla guida della loro minuscola carovana. Frank sospirò e si tirò i jeans un po' più su, nella speranza di poter impedire che si bagnassero troppo in fretta, pur sapendo che era un gesto inutile.
Il loro viaggio cominciò al di là del capanno, seguendo uno stretto sentiero di terra che serpeggiava attraverso uno splendido prato d'erba alta annidato fra le colline. C'erano fiori selvatici: gocce nascoste di viola, giallo e rosso in un oceano di verde. Frank avrebbe voluto passeggiare lentamente, godersi lo scenario e lasciare che l'erba e i fiori le solleticassero le mani mentre camminava.
Per Gerard, tuttavia, il prato era semplicemente un altro ostacolo da superare, perciò procedeva in quello splendore a lunghe falcate senza gettare nemmeno uno sguardo a destra o a sinistra. Ci vollero circa dieci minuti per attraversarlo e, ben presto, Frank si ritrovò ai piedi della prima collina della giornata. Gerard aveva già cominciato a salire e il corvino si affrettò per stargli dietro.
«Allora» cominciò, non appena si mise in pari con i suoi lunghi passi decisi. «Perché tutto questo..», indicò con un gesto il panorama, «sarebbe colpa mia?».
«È colpa tua anche il fatto che tutto sia in cima alle colline». Gerard fece una risata cupa.
Frank si lamentò, già senza fiato e irritato dalle risposte enigmatiche del ragazzo.
Gerard scoppiò a ridere, e il cipiglio sul viso di Frank si fece più intenso.
«Prima ti ho detto che il tuo corpo era la proiezione della tua mente. La terra perduta è una cosa molto simile». Fece una pausa per afferrargli il gomito mentre lui inciampava. Era troppo concentrato sul suo discorso per stare attento a dove metteva i piedi. «Quando sei uscito dalla galleria, ti aspettavi di essere a metà strada per New York - un punto qualsiasi, un punto collinare e selvaggio - e la terra perduta si è modellata in questo modo. A te non piace fare esercizio fisico, perciò tutto questo camminare ti ha messo di cattivo umore. Questo luogo reagisce alle tue emozioni. Quando sei arrabbiato arrivano le nuvole, il vento, e il buio. Più è cupa la tua mente, più si allungano le notti». Lo osservò, tentando di capire la sua reazione. Anche Frank lo osservò, ascoltando affascinato ogni sua parola. Un sorriso astuto si allargò sulle labbra di Gerard. «In effetti, perfino io ho l'aspetto che mi hai dato tu».
A queste parole Frank aggrottò la fronte, spostando lo sguardo sul terreno, intento a elaborare quello che lui gli stava dicendo. Ma anche incapace di continuare a guardarlo in faccia.
«Perché?» gli chiese alla fine, non riuscendo a dare un senso al suo ultimo commento.
«Beh, una guida delle anime dovrebbe apparire affidabile. Dovete fidarvi di noi, seguirci. Noi ci modelliamo automaticamente per essere attraenti per voi».
Frank mantenne la testa bassa, ma i suoi occhi si spalancarono e il viso arrossì violentemente, tradendolo.
«Perciò», continuò Gerard, divertendosi un mondo, «se sono stato bravo, adesso dovrei piacerti».
Frank si fermò di colpo, il rossore divenne sempre più intenso.
«Che cosa? Ma questo è- no, non mi piaci!», terminò, con veemenza, gesticolando.
Gerard proseguì ancora per qualche passo, poi si girò per guardarlo in faccia con un gran sorriso.
«Non mi piaci» ripeté Frank.
Il sorriso del ragazzo pallido si allargò. «Okay».
«Sei proprio un-». Venendogli a mancare un insulto adeguato, Frank riprese a camminare a passo di carica, pestando con rabbia i piedi mentre risaliva la collina. Non si girò nemmeno per vedere se lui lo stava seguendo. Le nuvole scure che soltanto dieci minuti prima avevano orlato l'orizzonte, adesso ricoprivano il cielo e incupivano l'atmosfera mentre, con un rombo sordo, si spingevano avanti.
Gerard guardò in alto e il cambiamento lo contrariò. Cominciò a inseguire Frank, e in un batter d'occhio risalì il ripido pendio.
«Mi dispiace» gli disse, non appena lo raggiunse. «Stavo soltanto scherzando».
Frank non si girò, né diede alcun segno di averlo sentito.
«Frank, fermati, per favore». Allungò una mano e gli prese il braccio. Lui tentò di divincolarsi, ma Gerard lo teneva stretta.
«Lasciami» sibilò Frank, mentre l'imbarazzo inaspriva la sua rabbia.
«Lascia che ti spieghi» gli disse con una voce gentile e quasi implorante. Erano in piedi, uno davanti all'altro, Frank con il fiatone, Gerard che trasudava calma, soltanto lo sguardo era circospetto. Quest'ultimo gettò un'altra occhiata al cielo, le nuvole erano quasi nere: gocce di pioggia cominciarono a cadere dense, pesanti sfere d'acqua fredda che lasciavano macchie scure e tonde sui loro vestiti.
«Senti, mi dispiace» cominciò lui, «ma capisci che sei tu a dover seguire me, per forza. Se ti rifiuti, se te ne vai in giro da solo. Beh, hai visto quelle cose. Non dureresti una giornata, e anche se fosse non troveresti la strada per arrivare dall'altra parte. Resteresti a vagare qui per sempre».
Gerard cercò i suoi occhi per vedere se reagiva, ma l'espressione di Frank rimase immutata.
«Sono apparso sotto una forma che pensavo sarebbe stata utile. A volte, come con te, scelgo un aspetto che dovrebbe essere attraente, a volte ne assumo uno minaccioso, dipende da quello che secondo me sarà più persuasivo per una persona specifica».
«Come fai a saperlo?» domandò Frank, curioso.
Getard alzò le spalle. «Io conosco le anime Interiormente. Conosco il loro passato, quello che gli piace. Quello che non gli piace. I loro sentimenti, i sogni e le speranze». Mentre parlava, gli occhi di Frank si spalancarono. Allora che cosa sapeva di lui? Sentì un nodo alla gola mentre un elenco di segreti, momenti privati, gli balenava nel cervello, ma Gerard non aveva finito.
«A volte assumo l'aspetto di una persona che hanno perduto, un coniuge per esempio». Dall'espressione sul viso di Frank, il ragazzo capì di aver detto troppo.
«Tu fingi di essere l'amore di qualcuno, la sua anima gemella, per convincerlo a credere in te con l'inganno?». Frank, nauseato, gli buttò in faccia tutto il suo disprezzo. Come poteva sfruttare i ricordi più cari delle persone, giocare con le loro emozioni in quel modo?
Il viso di Gerard si fece più duro. «Non è un gioco, Frank». Parlava con voce bassa, ma dura. «Se quelle cose le agguantano, le anime sono perdute. Noi facciamo soltanto il nostro dovere».
Adesso la pioggia stava scendendo più forte, rimbalzando sul terreno. Aveva inzuppato i capelli di Frank e gli scorreva sul viso rigandolo di false lacrime. Anche il vento era aumentato, spazzava le montagne e approfittava di ogni fessura nei loro vestiti. Frank rabbrividì e incrociò le braccia sul petto nel vano tentativo di trattenere un po' di calore.
«Qual è il tuo vero aspetto?» gli chiese. Voleva vedere oltre le bugie, vedere il suo vero viso.
Un lampo negli occhi di Gerard indicò un'emozione diversa, ma Frank era troppo preso dal suo sdegno per notarlo. Non gli rispose e lui si spazientì. Alla fine, Gerard abbassò lo sguardo a terra.
«Non lo so», mormorò.
Lo shock dissolse la rabbia di Frank. «Che cosa vuoi dire?»
Lui alzò la testa per guardarlo e parve che la sofferenza scurisse di più il verde dei suoi occhi. Poi cercò di sminuire tutto, rispondendogli in tono molto rigido. «Io mi mostro a ogni anima nel modo più adeguato. Mantengo quell'aspetto finché non incontro l'anima successiva. Non so che cosa fossi prima di incontrare la mia prima anima, sempre che fossi qualcosa. Io esisto perché voi avete bisogno di me».
Mentre Frank lo osservava, la pioggia cominciò ad alleggerirsi. Il ragazzo sentì la compassione gonfiargli il petto e tese una mano per confortare Gerard. Raggi di sole ancora stillanti acqua bucarono le nuvole. Ma lui si ritrasse e la sua tristezza lasciò il posto a una maschera d'indifferenza. Frank lo vide chiudersi completamente.
«Mi dispiace», mormorò il corvino.
«Dovremmo andare». Gerard guardò l'orizzonte e pensò alla distanza che ancora dovevano coprire. Frank annuì in silenzio e lo seguì su per la collina.Trascorsero il resto della mattinata camminando senza parlare, ognuno immerso nei propri pensieri. Gerard era arrabbiato con se stesso per essersi preso gioco di Frank e per aver innescato la conversazione che gli aveva stravolto il viso in un'espressione di disgusto e ripugnanza. Lo aveva fatto sentire disonesto. Non si aspettava che capisse, ma lui aveva visto i demoni, conosceva i rischi. A volte era necessario essere crudeli; a volte il fine giustificava i mezzi.
Frank era intriso di senso di colpa e compassione. Sapeva di averlo ferito accusandolo di essere un insensibile. Non voleva usare parole così cattive, ma l'idea di qualcuno che fingeva di essere la madre, il padre o l'amore di qualcun altro. Era un pensiero orribile. Ma forse aveva ragione lui; in quel luogo, le conseguenze erano spaventose. Era vita o morte. Più della vita o della morte.
Tentò anche di immaginare come potesse essere non possedere una propria identità. Essere definiti esclusivamente da quelli che hai intorno, non avere mai un momento di solitudine. Non conoscere nemmeno il proprio volto. Non riusciva proprio a figurarselo e, per una volta, si sentì come fortunato a essere se stesso.A mezzogiorno fecero una pausa, più o meno a metà di una collina, su una piccola balza che offriva riparo dal vento e una vista mozzafiato sui dolci rilievi della campagna circostante. C'era una fitta copertura di nuvole, ma non sembrava promettere pioggia. Frank si sedette sul pavimento roccioso senza curarsi del freddo che filtrava attraverso la spessa stoffa dei jeans. Stese le gambe e appoggiò la schiena contro la parete della collina. Gerard non si sedette, ma rimase in piedi davanti alla balza, dandogli la schiena per osservare l'orizzonte. Poteva sembrare un gesto protettivo, ma Frank era certo che stesse soltanto evitando la conversazione. Si mordicchiò un'unghia. Desiderava sistemare le cose, ma non sapeva bene come fare. Non voleva tirare ancora in ballo l'argomento per timore di peggiorare la situazione, ma non riusciva a pensare a niente da dire che non suonasse falso.
Come poteva fargli tornare l'umore di prima? Risvegliare il Gerard scherzoso e spensierato?
Non lo sapeva.
D'un tratto lui si girò e lo guardò. «È ora di andare».
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Eᴛᴇʀɴᴀʟ Lᴏᴠᴇ
FantastikLa vita di Frank subisce un drastico cambiamento: il treno su cui viaggia ha un terribile incidente. Lui sembrerebbe essere l'unico sopravvissuto tra i passeggeri e, una volta uscito, si ritrova in aperta campagna, in mezzo alle colline. Intorno non...