Frank fu certo dell'istante in cui oltrepassarono la soglia del capanno e furono salvi, perché il rumore cessò immediatamente. Gerard si sbatté la porta alle spalle e mise subito giù il ragazzo, quasi come se averlo tra le braccia lo avesse ustionato. Dopo averlo lasciato lì, attonito per lo shock, andò dritto alla finestra e guardò fuori.
Il capanno, come il cottage della notte precedente, era poco arredato. C'era una panca lungo la parete di fondo che Frank raggiunse con passo malfermo. Si lasciò cadere pesantemente sopra il legno grezzo e nascose il viso fra le mani. Piccoli singhiozzi gli sfuggirono dalle labbra, mentre tentava di controllare la scarica di terrore che le scorreva nelle vene. Gerard le lanciò un'occhiata, ma non abbandonò il suo posto d'osservazione vicino alla finestra.
Frank allontanò le mani dal viso e si esaminò le braccia. Persino nella semioscurità riuscì a vedere i graffi disseminati su tutta la sua pelle. Alcuni l'avevano appena scalfito, ma altri erano tagli più profondi, dai quali colavano piccole gocce di sangue. Sentiva la pelle pizzicare e bruciare ovunque. Eppure non diede segno di provare dolore, mentre l'adrenalina che gli inondava i nervi gli faceva tremare le mani.
Il capanno aveva un camino e, dopo pochi minuti, Gerard attraversò la stanza e vi si chinò davanti. Non c'era legna, eppure, anche se Frank non udì alcuno sfregamento di fiammiferi, ben presto nel camino bruciò un bel fuoco. Il guizzare delle fiamme diede al capanno un'atmosfera inquietante, con le ombre che giocavano sulle pareti. Frank non fece domande sull'improvvisa comparsa del fuoco. C'erano molti altri pensieri più importanti che nella sua mente occupavano spazio. Quelle idee erano tarli assillanti, che stavano lottando per uscire dal fondo della sua coscienza, per essere uditi.
Gerard era composto e immobile come una statua, di nuovo alla finestra, e Frank era raggomitolato sulla panca, che ancora lavorava sul proprio respiro.
Da fuori non arrivava nessun suono. A quanto pareva, qualunque cosa fossero, per il momento le creature si erano ritirate.
Alla fine, Frank alzò la testa. «Gerard».
Lui non si girò. Sembrava si stesse preparando a qualcosa.
«Gerard, guardami». Frank aspettò e, finalmente, lui girò la testa, lentamente e controvoglia. «Cos'erano quelli?». Tentò di mantenere la voce calma, ma era ancora arrochita e, mentre parlava, si incrinò leggermente. I suoi occhi scintillarono, alla luce del fuoco, lucidi delle poche lacrime che aveva versato precedentemente, ma lui sostenne il suo sguardo perché desiderava che fosse sincero. Qualsiasi cosa fossero, Gerard li aveva riconosciuti, e sapeva già che cosa sarebbe accaduto quando lui gli aveva lasciato la mano. Come faceva a saperlo?
Gerard sospirò. Ormai sapeva che quel momento stava per arrivare, lo aveva rinviato quanto più gli era stato possibile. Ma adesso non c'erano giochetti o trucchi che potessero aiutarlo a passare sopra ciò che era accaduto. Frank aveva visto e percepito quelle cose. Non potevano essere liquidate semplicemente come animali selvatici. Non aveva altra scelta se non essere sincero con lui. Non sapeva bene da dove cominciare, come spiegarglielo in modo che potesse comprendere, come darle la notizia provocandogli la minor sofferenza possibile.
Di malavoglia, Gerard attraversò la stanza e sedette sulla panca, accanto a lui. Non lo guardò, fissò invece le proprie dita intrecciate, come se sperasse di trovare lì le risposte.
Di solito, quando rivelare la verità diventava una necessità inevitabile, lui la buttava fuori e basta. Diceva a se stesso che uno shock rapido e breve era molto meglio che tirarla dolorosamente per le lunghe. Ma il fatto era che faceva così perché se ne fregava. Se le persone piangevano, singhiozzavano, imploravano o tentavano di negoziare, non cambiava niente. Lui lasciava perdere e aspettava che la crisi finisse, finché loro non accettavano l'inevitabile e poi, insieme, potevano proseguire in una reciproca comprensione. Ma quella volta... quella volta non voleva farlo.
Seduto abbastanza vicino da sentire sul viso il respiro di lui, Gerard girò la testa e lo guardò negli occhi nocciola, una sfumatura color sabbia che era sensuale, rendevano i suoi occhi intensi, che gli provocò una stretta allo stomaco. Non voleva ferirlo. Non sapeva perché, ma sentiva un profondo desiderio di proteggere quella persona, più di quanto lo avesse mai sentito per tutti gli altri.
«Frank, non sono stato del tutto onesto con te», cominciò.
Vide le pupille di lui dilatarsi leggermente, ma non vi furono altre reazioni. Lo sapeva già, ecco perché. Semplicemente non sapeva in cosa non fosse stato onesto.
«Io non ero sul treno».
Fece una pausa per valutare come avrebbe reagito. Si aspettava di essere interrotto da un profluvio di domande, di richieste e accuse, ma lui aspettava e basta, immobile come pietra.
I suoi occhi erano pozze di paura e incertezza; era intimorito da ciò che avrebbe potuto dirgli, ma deciso sentirlo in ogni caso.
«Io stavo-». La voce di Gerard tremò e si spense. Come dirglielo?
«Stavo aspettando te».
Frank aggrottò le sopracciglia, altamente confuso, ma non parlò e lui ne fu felice. Sembrava più facile far uscire le parole senza udire la sua voce. Ma si rifiutò di fargli lo sgarbo e non guardarla negli occhi.
«Non sei stato l'unico sopravvissuto all'incidente, Frank». La sua voce si ridusse a un sussurro, come se potesse attutire il colpo abbassando il volume. «Sei stato l'unico a non esserne uscito vivo».
Le parole furono pronunciate in modo chiaro, ma parvero fluttuare nel cervello di Frank, rifiutandosi di assumere un significato. Il ragazzo continuava a guardare il viso di Gerard, ma allo stesso tempo non lo stava facendo. Stava osservando il vuoto. Tentò di elaborare quello che gli stava dicendo.
Gerard, a disagio, aspettava una sua reazione. Trascorse un intero minuto, poi un altro. Lui non si mosse. Soltanto l'occasionale tremito delle labbra gli impediva di somigliare a una statua.
«Mi dispiace, Frank» aggiunse lui, e non era una riflessione a posteriori, ma una frase sincera. Anche se non ne capiva il motivo, detestava l'idea di infliggergli un dolore e avrebbe voluto ritrattare tutto. Ma non si poteva disfare ciò che era stato fatto. Lui non aveva il potere di cambiare le cose e, anche se avesse potuto, sarebbe stato comunque sbagliato. Non stava a lui giocare a fare Dio. Lo vide battere le palpebre due volte, vide la consapevolezza assestarsi dentro di lui. Da un momento all'altro, sarebbe cominciato il flusso delle emozioni. Gerard osava a malapena respirare. Aveva paura delle sue lacrime.
Ma lui lo sorprese.
«Sono morto?» chiese alla fine.
Gerard annuì, fidandosi poco della propria voce. Dato che si aspettava uno sfogo angosciato, tese le braccia verso di lui. Frank, invece, rimase stranamente calmo. Annuì e sospirò, poi fece un minuscolo sorriso fra sé e sé.
«Credo che, in un certo senso, lo sapessi già» disse.
No, non era così, pensò Frank. Non lo sapeva ma da qualche parte il suo inconscio aveva preso nota di tutte le cose sbagliate, tutte le cose che non quadravano. E, sebbene non sapesse spiegarsi il perché, non provò alcun terrore nel venire a sapere finalmente la verità. Provò soltanto sollievo.
Pensò al fatto che non avrebbe rivisto mai più sua madre, o Jimmy, né conosciuto suo padre o goduto del rapporto che avrebbero potuto avere, che non avrebbe mai avuto una carriera professionale, una famiglia. Sentì la tristezza toccargli le corde del cuore, ma a eclissare quei pensieri cupi arrivò un senso di pace interiore. Se era vero, e lui sapeva dentro di sé che lo era, allora ormai non si poteva più tornare indietro. Frank era ancora lì, ancora se stesso, e questa era una cosa per la quale sentirsi grati.
«Dove mi trovo?» chiese, sommessamente.
«Nella terra perduta» rispose Gerard. Frank lo guardò, aspettando il resto. «È la terra tra i due mondi. Devi attraversarla. Tutti devono. È la personale landa desolata di ognuno di voi. Il luogo in cui scopri la verità della tua morte e scendi a patti con lei».
«E quelle cose?». Frank indicò la finestra. «Che cosa sono?».
Sebbene il suono fosse ormai scomparso, il ragazzo era sicuro che le creature fossero ancora là. Stavano semplicemente aspettando, passavano il tempo e speravano in un'altra occasione per attaccare.
«Demoni. Immagino che li chiameresti così. Mangiatori di morti, spettri. Tentano di impadronirsi delle anime durante la traversata. Più ci avvicineremo all'estremità opposta, più le aggressioni peggioreranno, perché la loro fame aumenterà».
«Che cosa fanno?». La voce di Frank era poco più di un sussurro.
Gerard fece un gesto vago, riluttante a dare una risposta.
«Dimmelo», lo incalzò lui. Era importante sapere, essere preparato. Non voleva più brancolare nell'oscurità.
Lui sospirò. «Se ti prendono, cosa che non accadrà, ti trascineranno di sotto. Quelli che hanno preso, non li abbiamo mai più rivisti».
«E una volta sotto?». Frank sollevò un sopracciglio interrogativo.
«Esattamente, non lo so» gli rispose a voce bassa.
Frank fece una smorfia, ma sentì che Gerard gli stava dicendo la verità.
«Ma quando hanno finito con te» continuò, «diventi uno di loro. Cupo, affamato, pazzo. Un mostro fatto di fumo».
Frank fissò il vuoto. Era inorridito al pensiero di diventare una di quelle cose. Urlanti, bramose, violente; erano creature ripugnanti.
«Siamo al sicuro, qui?».
«Sì». Gerard rispose in fretta, come se volesse fare del suo meglio per rassicurarlo «Queste costruzioni sono case sicure. Loro non possono entrare».
Frank accettò l'informazione in silenzio, ma Gerard sapeva che vi sarebbero state altre domande, altre cose che lui aveva bisogno di conoscere. E lui gliele avrebbe date, per quanto possibile. Meritava almeno questo.
«E tu?».
Fu l'unica cosa che chiese, ma implicava mille altre domande. Chi era lui? Che tipo di vita conduceva? Qual era il suo posto in quel mondo?
A Gerard era proibito rivelare la maggior parte di quelle risposte e, a dir la verità, nemmeno le conosceva tutte, ma alcune cose poteva dirgliele, alcune che aveva il diritto di sapere.
«Io sono un traghettatore» cominciò. Si era guardato le mani per tutto il tempo, ma in quel momento sbirciò rapidamente il viso di Frank. Era semplicemente incuriosito. Gerard prese un respiro profondo e continuò, «Guido le anime attraverso la terra perduta e le proteggo dai demoni. Rivelo loro la verità, poi li accompagno alla loro destinazione».
«E qual è?».
Una domanda chiave.
«Non lo so», fece un sorriso triste. «Io non ci sono mai stato».
Frank schiuse le labbra sorpreso. «E allora come fai a sapere che è il posto giusto? Lasci lì persone e te ne vai, come niente fosse?».
«Lo so e basta».
Frank strinse le labbra e sembrò poco convinto, ma non discusse oltre. Gerard tirò un sospiro di sollievo. Non voleva mentirgli, ma c'erano cose che non gli era consentito condividere.
«Quante persone hai..», Frank si interruppe, incerto su come porre la domanda, «..fatto passare oltre?».
Lui alzò gli occhi e, questa volta, nel suo sguardo c'era pura tristezza. «Non saprei dirti.. migliaia, centinaia di migliaia, forse. Lo faccio da molto tempo».
«Quanti anni hai?».
Questa era una domanda alla quale avrebbe potuto rispondere, ma non volle farlo. Sentiva che se lui avesse saputo la verità, se avesse saputo da quanto tempo lui stazionava in quel luogo - senza crescere, apprendere e fare esperienza come un normale essere umano, ma semplicemente esistendo -, allora il fragile contatto che si era creato tra di loro si sarebbe infranto. Lui lo avrebbe visto vecchio, strano e chissà cos'altro ancora, e Gerard scoprì di non volerlo. Tentò una battuta.
«Quanti me ne dai?». Allargò le braccia e si offrì al suo esame.
«Diciotto», disse lui, «ma non puoi averne così pochi. È l'età a cui sei morto? Non puoi invecchiare?».
«Tecnicamente, io non ho mai vissuto» gli rispose, con un'ombra malinconica negli occhi. Ma subito lasciò il posto a un'espressione più controllata. Si era già lasciato sfuggire più di quanto dovesse. Per fortuna, sembrò che Frank capisse tutto e non fece altre domande.
Guardandosi intorno, per la prima volta il ragazzo prestò veramente attenzione all'ambiente in cui si trovava. Il capanno era una lunga stanza arredata con mobili scompagnati che risentivano dell'usura del tempo e dell'incuria. Eppure, era in condizioni migliori del cottage della notte precedente. Porte e finestre erano intatte e il fuoco che ardeva nel camino aveva scaldato la stanza. Accanto alla panca c'era un vecchio letto, privo di coperte ma dotato di materasso. Anche se sembrava aver visto giorni migliori ed era ricoperto di numerose macchie, in quel momento sembrava allettante. Sul lato opposto c'erano anche un tavolo da cucina e un lavandino.
Frank si alzò in piedi, irrigidita - doveva essere rimasto seduto su quella panca dura più a lungo di quanto avesse pensato - e attraversò la stanza per raggiungere l'area della cucina. Si sentiva sporco, a disagio. Voleva lavarsi, ma il lavandino aveva l'aria di essere inutilizzato da anni. Entrambi i rubinetti erano coperti di ruggine. Ciononostante, Frank ne agguantò uno e provò a girarlo. Non ottenne niente, quindi provò con l'altro. Quando anche questo risultò bloccato, aumentò la pressione sentendo i bordi metallici affondargli nei palmi. Avvertì un cedimento, quindi, speranzoso, strinse e girò un po' più forte. Uno stridio, un rumore sordo e il rubinetto, eroso dalla ruggine, gli rimase in mano.
«Ops». Con una smorfia si girò verso Gerard mostrandogli l'arnese rotto.
Lui sorrise e alzò le spalle. «Non preoccuparti».
Frank annuì, sentendosi meno in colpa, e gettò il rottame nel lavandino. Poi si voltò e si avvicinò al letto. Percepiva addosso gli occhi del ragazzo e, quando si girò per sedersi sul materasso, notò che il suo era uno sguardo scrutatore.
«Che c'è?» gli chiese, con un leggero sorriso. Adesso che la verità era venuta fuori, Frank era stranamente molto più a suo agio con lui. Era come se il segreto fosse stato una barriera che li aveva tenuti separati.
Gerard non poté fare a meno di ricambiare il sorriso. «Sono soltanto stupito dalla tua reazione, tutto qui. Nemmeno una lacrima». Ma la sua voce si affievolì mentre il sorriso di lui svaniva e lasciava il posto alla tristezza.
«Serve a qualcosa piangere?». Sospirò, con la saggezza di un'anima molto più vecchia. «Cercherò di dormire».
«Sei al sicuro, qui. Io starò ancora di guardia».
E Frank si sentì davvero al sicuro sapendo che lui era lì, all'erta. Il suo protettore.
«Sono felice che sia tu» mugugnò, proprio quando il sonno la prese.
Gerard fece una faccia confusa, non del tutto certo di quello che intendesse dire, ma ne fu ugualmente contento. Rimase a guardarlo dormire per parecchio tempo, osservando il gioco delle ombre che le fiamme del camino proiettavano sul suo viso rasserenato dall'incoscienza. Provò una strana voglia di toccarlo, di accarezzargli la guancia vellutata e scostargli i capelli che gli ricadevano sugli occhi, ma non si mosse dal suo posto. Dovevano essere la sua giovinezza e fragilità a suscitare in lui tali sentimenti. Lui era la sua guida e, per un periodo limitato, il suo protettore. Niente di più.Quella notte, Frank sognò di nuovo. Sebbene l'incontro con i demoni le avesse fornito ampio materiale per un incubo, lui, invece, sognò Gerard.
Non si trovavano nella terra perduta, ma Frank ebbe la strana sensazione di essere in un luogo già visto. Erano in una foresta fitta di grandi querce dai larghi tronchi nodosi e dai rami protesi che si intrecciavano, formando una volta verde sopra di loro. Era notte, ma il chiarore della luna filtrava fra gli alberi creando macchie di luce e gettando ombre tremolanti per l'oscillare delle foglie. La brezza leggera gli scompigliava i capelli, solleticandogli il collo e le spalle. Un tappeto di foglie frusciava sotto i loro piedi mentre camminavano. Doveva aver piovuto, di recente, perché l'aria aveva un vago sentore di umidità e natura. Da qualche parte, alla sua sinistra, Frank udiva il tenue gocciolio di un ruscello che scorreva lento. Era sublime.
Nel sogno, Gerard lo teneva per mano mentre camminavano lentamente, muovendosi a zig-zag fra un tronco e l'altro, senza seguire un sentiero battuto, ma semplicemente scegliendo una strada tortuosa verso l'indefinito. A Frank sembrava che il tocco di Gerard gli bruciasse la pelle, ma temeva che, se avesse arricciato anche un solo dito, lui l'avrebbe lasciato andare.
Non parlavano, ma non per questo si sentivano a disagio. Erano appagati dalla reciproca vicinanza e le parole avrebbero rovinato la pace di quel luogo incantevole.
Nel capanno, Gerard lo guardava sorridere.
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Eᴛᴇʀɴᴀʟ Lᴏᴠᴇ
FantasíaLa vita di Frank subisce un drastico cambiamento: il treno su cui viaggia ha un terribile incidente. Lui sembrerebbe essere l'unico sopravvissuto tra i passeggeri e, una volta uscito, si ritrova in aperta campagna, in mezzo alle colline. Intorno non...