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Era seduto su una collina a sinistra dell'ingresso della galleria, le mani strette intorno alle ginocchia, e lo stava osservando. Da dove si trovava, Frank riusciva a capire soltanto che si trattava di un ragazzo, probabilmente adolescente, con capelli bianco cenere agitati dal vento. Quando vide che lo stava guardando, lui non si alzò, né sorrise, ma continuò semplicemente a fissarlo.
C'era qualcosa di insolito nel modo in cui sedeva lì, una figura solitaria in un luogo isolato. Frank non riusciva a immaginare come vi fosse arrivato, a meno che anche lui non fosse stato sul treno. Gli fece un cenno con la mano, felice di avere qualcuno con cui condividere quell'orrore, ma lui non gli rispose. A Frank sembrò che si raddrizzasse appena un po', ma era talmente distante che gli fu difficile dirlo.
Continuando a tenere lo sguardo fisso su di lui, in caso fosse scomparso, Frank scivolò giù sulla banchina ghiaiosa dei binari e saltò un piccolo fossato pieno d'acqua ed erbacce. C'era un filo spinato che separava i binari dal terreno aperto. Frank ne afferrò con cautela il lembo superiore, in mezzo ai due nodi di metallo ritorto, e lo tirò giù più forte che poté. Il filo si abbassò quel tanto da permetterle di scavalcarlo con una gamba. Quando fece altrettanto con la seconda, il piede si impigliò e lui fu sul punto di cadere, ma riuscì ad aggrapparsi al filo e mantenere l'equilibrio. Gli spuntoni le tagliarono il palmo della mano, perforando la pelle e facendone stillare qualche goccia di sangue. Frank esaminò rapidamente la ferita prima di strofinarsi la mano sulla gamba. Una macchia scura sui jeans le strappò una seconda occhiata. C'era una grossa chiazza rossa sull'esterno della coscia. La fissò per un istante prima di ricordare di essersi ripulito le mani dalla robaccia appiccicosa toccata sul pavimento del treno. Impallidì al pensiero e sentì un vuoto allo stomaco.
Scuotendo la testa per sbarazzarsi delle immagini nauseanti che gli giravano nel cervello, si voltò e riportò lo sguardo fisso sul suo obiettivo. Il ragazzo era seduto sul declivio, a circa cinquanta metri sopra di lui. Da quella distanza riusciva a vedergli il viso, quindi gli sorrise per salutarlo.
Lui non rispose.
Leggermente turbato da tanta freddezza, Frank guardò con attenzione per terra mentre si inerpicava verso di lui. Era una salita ardua e, dopo poco, si ritrovò a corto di fiato. Il versante della collina era ripido e l'erba alta era umida e difficile da attraversare. Guardare per terra, concentrarsi sui suoi piedi, gli dava una scusa per non incontrare lo sguardo del ragazzo - almeno finché avesse potuto evitarlo.

Impassibile, il giovane sulla collina esaminava il ragazzo che si stava avvicinando. Lo guardava da quando era uscito dalla galleria, emergendo dalle ombre come un coniglio spaurito dalla tana. Piuttosto che urlare per attirare la sua attenzione, aveva semplicemente aspettato che lui lo vedesse. A un certo punto aveva temuto che sarebbe tornato indietro, nella galleria, e aveva pensato di chiamarlo, ma poi lui aveva cambiato idea e così si era accontentato di rimanere seduto in silenzio. Sarebbe stato lui a notarlo.
E aveva avuto ragione. Frank lo aveva avvistato e lui aveva notato il sollievo inondargli gli occhi mentre si sbracciava per salutarlo. Però non aveva ricambiato. Aveva visto la sua espressione alterarsi un po', ma poi aveva preso ad avvicinarsi. Era maldestro nel muoversi, si era impigliato nel filo spinato ed era inciampato nei ciuffi d'erba bagnata. Quando era stato abbastanza vicino da poterlo vedere bene in faccia, lui aveva voltato la testa, ascoltando il rumore del suo approssimarsi.
Contatto effettuato.

Alla fine, Frank raggiunse il punto in cui il ragazzo sedeva e fu in grado di vederlo meglio. Aveva fatto centro nell'attribuirgli l'età: poteva avere un anno più di lui, a dire tanto. Indossava jeans logori e una felpa nera che sembrava molto calda. Data la posizione rannicchiata era difficile valutarne la corporatura, ma non sembrava basso o gracile. Era piuttosto pallido, con un leggero colorito rosso sugli zigomi. L'espressione sul suo viso era una maschera di durezza e disinteresse e, non appena Frank si fece più vicino, rivolse lo sguardo al paesaggio desolato. Persino quando rimase in piedi davanti a lui, il ragazzo non cambiò espressione, né la direzione dello sguardo. Era davvero sconcertante e Frank cincischiò un po', indeciso su cosa dire.
«Ciao, mi chiamo Frank», borbottò alla fine, guardando per terra. In attesa di una risposta, bilanciò il peso da un piede all'altro e puntò gli occhi nella stessa direzione del ragazzo, chiedendosi cosa stesse osservando.
«Gerard», rispose lui, finalmente, concedendogli uno sguardo rapido che poi distolse ancora.
Sollevato dal fatto di aver ricevuto una risposta, Frank tentò di riavviare la conversazione. «Immagino che anche tu fossi sul treno. Sono felice di non essere qui da solo...». Lo disse tutto d'un fiato, innervosito dalla gelida accoglienza del ragazzo. «Tutti gli altri passeggeri erano già usciti e, a quanto pare, nessuno ha notato che fossi lì. C'era quella stupida donna piena di buste e roba varia. mi è crollato tutto addosso. Quando sono uscito, non sapevo quale direzione avessero preso gli altri, ma noi dobbiamo essere usciti dalla parte sbagliata della galleria. Scommetto che i vigili del fuoco, la polizia e tutti gli altri sono dall'altro lato».
«Treno?». Il ragazzo si voltò verso di lui e Frank lo guardò negli occhi per la prima volta. Erano verdi, vividi ma allo stesso tempo spenti, il suo sguardo era vitreo. Ebbe l'impressione che, in preda alla collera, avrebbero potuto gelargli il sangue nelle vene, ma adesso erano soltanto incuriositi. Lo scrutarono per mezzo secondo, prima di spostarsi sull'ingresso della galleria. «Giusto. Il treno».
Frank rimase in attesa, ma lui non sembrava incline ad aggiungere altro. Il ragazzo si morse un labbro e maledisse la sorte che gli aveva riservato un ragazzo come unico compagno di sventura. Un adulto avrebbe saputo cosa fare. Inoltre, sebbene detestasse ammetterlo, i ragazzi come lui lo rendevano nervoso. Sembravano tutti così fighi e sicuri di sé e lui finiva sempre col ritrovarsi a balbettare sentendosi un perfetto idiota.
«Forse dovremmo ripercorrere la galleria al contrario?», suggerì lui. Insieme a un'altra persona, non sembrava una proposta così orribile. Poi avrebbero potuto riunirsi a tutti gli altri passeggeri e ai soccorritori e lui sarebbe riuscito a preservare il weekend con suo padre.
Il ragazzo posò lo sguardo intenso su Frank, e lui dovette sforzarsi per non fare, involontariamente, un passo indietro.
Gerard aveva occhi magnetici che sembravano penetrare fino al centro del suo essere. Frank si sentì esposto, quasi nudo, sotto quello sguardo.
«No, non possiamo tornare indietro». Lo disse con un tono privo di espressione, come se non fosse affatto preoccupato della difficile situazione in cui si trovavano. Come se avesse potuto rimanersene allegramente seduto su quella collina per sempre.
Beh, pensò Frank, io non posso.
Dopo averlo fissato per un altro, lungo momento, il ragazzo tornò a guardare le colline. Frank si morse il labbro mentre tentava di pensare a cos'altro dire.
«Allora hai un telefono per poter chiamare qualcuno, tipo la polizia o altro? Il mio si è rotto nell'incidente. E dovrei chiamare mia madre, quando sentirà cosa è accaduto avrà una crisi isterica. È davvero iperprotettiva e vorrà sapere se sto bene, così potrà dirmi "te l'avevo detto"» Non terminò la frase.
Questa volta lui nemmeno lo guardò. «Qui i telefoni non funzionano».
«Oh». Adesso si stava irritando. Erano bloccati lì, dalla parte sbagliata della galleria, senza un adulto, né un mezzo per chiedere aiuto e lui non lo stava aiutando affatto. Tuttavia, Gerard era l'unica persona presente. «Bene, e allora che cosa dovremmo fare?».
Invece di rispondergli, d'un tratto si alzò. In piedi lo sovrastava, era molto più alto di quanto Frank avesse immaginato. Lo guardò dall'alto in basso, con un sorrisetto sulle labbra, e cominciò a camminare.
La bocca di Frank si aprì e si chiuse alcune volte, ma non ne uscì alcun suono. Era immobile e muto, pietrificato da quello strano ragazzo. Aveva intenzione di lasciarlo lì e basta? La risposta arrivò in fretta. Gerard si allontanò per una decina di metri, poi si voltò e lo guardò.
«Vieni?».
«Dove?», domandò Frank, restio ad abbandonare il luogo dell'incidente. Non era restare lì, la cosa più sensata da fare? Come li avrebbero trovati, se andavano in giro chissà dove? Oltretutto, come faceva a sapere dove andare? Era già pomeriggio inoltrato e ben presto sarebbe sceso il buio. Il vento stava aumentando e faceva anche freddo; lui non voleva perdersi e passare la notte a sopportare le intemperie.
Ma la sicurezza del ragazzo gli fece dubitare di se stessa. Sembrò che lui leggesse l'indecisione sul suo viso. Gli rivolse uno sguardo paternalistico mentre la sua voce trasudava senso di superiorità. «Beh, io non ho intenzione di starmene seduto qui ad aspettare. Tu puoi rimanere, se ti va».
Lo scrutò mentre la sua affermazione veniva assimilata, e soppesò la reazione di Frank.
Gli occhi di lui si spalancarono al pensiero spaventoso di essere lasciato lì, da solo, ad aspettare. E se poi fosse calata la notte e non fosse arrivato nessuno?
«Penso che dovremmo rimanere qui tutti e due», cominciò lui, ma Gerard stava già scuotendo la testa.
Con l'aria di uno che sta facendo una cosa estremamente fastidiosa, il ragazzo tornò indietro e lo fissò, talmente vicino che Frank sentiva il suo respiro sul viso. Lo guardò negli occhi ed ebbe l'impressione che tutto il mondo circostante sbiadisse nel nulla. Aveva uno sguardo magnetico; non avrebbe potuto distogliere il suo neanche se avesse voluto.
«Vieni con me», gli ordinò, con un tono che non lasciava spazio a repliche. Gli aveva dato un ordine e si aspettava che lui obbedisse.
La mente di Frank si fece stranamente vuota e lui non pensò neanche per un attimo di disobbedire. Annuendo, stordito, fece un passo incerto verso di lui.
Il ragazzo, Gerard, non aspettò nemmeno che lo raggiungesse, prima di allontanarsi dalla galleria risalendo a lunghi passi la collina. La sua ostinazione lo aveva sorpreso; era un osso duro, quello lì. Eppure, in un modo o nell'altro, lui lo avrebbe seguito.

Eᴛᴇʀɴᴀʟ LᴏᴠᴇDove le storie prendono vita. Scoprilo ora