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Tu lo sai.

Blake

Sfioro delicatamente i capelli con la mano sinistra, mentre è appoggiata con il mento sulla spalla. Il respiro è diventato regolare subito dopo aver azionato il film. I lunghi capelli fanno da coperta, le labbra rosse per il freddo pungente e gli occhi chiusi privi di ogni colore. Sono in Inghilterra, a casa mia. Dopo la chiamata ricevuta il trentuno dicembre, sono partito senza prendermi un secondo per riflettere. Ritengo che la mia famiglia sia molto più importante di una stupida partita di basket. Avrei dovuto inviare un messaggio ai miei coinquilini, ma non l'ho fatto. Avrei dovuto almeno chiamare, ma non ci sono riuscito. Loro non sanno nulla. Solo Nives conosce la verità, solo lei. Il sapore della bocca è ancora persistente, i gemiti li sento nella testa. Mi ha mandato in pappa il cervello. Nives mi piace sul serio, potrei riuscire ad essere me stesso. Potrei confessarle tutti i miei peccati e lei resterebbe, senza lasciarmi la mano nemmeno un secondo. Ammetto di non avere un buon carattere sono: irascibile, tremendamente permaloso, spesso menefreghista. Ma so amare forte. Solo una ragazza è riuscita a prendersi tutto di me. L'ho amata finché i suoi occhi non si sono chiusi. Julienne aveva la leucemia. Quando scoprì della malattia avevo solo diciassette anni, non pensavo a tutte le conseguenze che un giorno avrei dovuto affrontare. L' amavo, eccome se l'amavo. Tutti i giorni le consegnavo qualcosa in ospedale per scorgere le fossette ai lati delle guance, nel momento in cui non ne fu capace, mi accorsi che la stavo perdendo. La prima ragazza per cui avevo dato anima e corpo, mi stava sfuggendo dalle mani. Ammetto di non aver mai amato come ho amato lei. Julie avrà sempre un pezzo del mio cuore.
«Blake...» le iridi incontrano le mie, per un istante mi rivedo in essi. Scarlett è la fotocopia di nostro padre. Il mio punto debole, ma anche il punto di forza.
«Nostro padre non chiamerà, vero?»
La speranza colpisce in faccia come uno schiaffo, il petto vibra. Gli occhi lucidi, le mani tremanti e il petto in fiamme per la malinconia.
«Non chiamerà, smettila di sperare in qualcosa che non esiste...» pronuncio con tono duro, i pugni serrati lungo i fianchi.
«Lui è nostro padre Blake. È già stato giustiziato per ciò che ha fatto, perché dovremmo farlo anche noi? Siamo la sua famiglia, lui ci ama davvero» afferma. Scatto in piedi, la fisso senza ribattere. Sono sul punto di uscire...per non tornare mai più. Non voglio udire il suo nome. Davon Thompson è mio padre biologico, non posso rinnegarlo come tale, non ho intenzione di farlo. Il bambino messo da parte perché il padre è detenuto aleggia ancora dentro me. È adirato con il mondo, con se stesso e con l'uomo che l'ha privato dell'infanzia.
«Lui non ha mai fatto nulla per noi Scarlett, la mamma si è fatta in quattro per darci un futuro. Ti ho fatto da padre e da fratello. Questo è il modo di ringraziare? Ponendo speranze in un uomo che non c'è mai stato?» lacrime amare rigano la pelle diafana. Abbassa il viso e si alza dal divano. M'osserva e si precipita sul torace. Circonda le spalle con esili braccia, accosta la testa e stringe le palpebre.
«Perdonami Blake non volevo dire quello che ho detto...ti prego, scusami» borbotta parole incomprensibili, fatico a capire. Il suono delle chiavi nella serratura ci fa scattare, mia madre fa capolino attraverso l'arco. Sorride nel momento in cui nota l'abbraccio.
«I miei bambini!» finge di asciugarsi una lacrima e procede con le buste della spesa fra le mani. Mi stacco da Scarlett solo per aiutare, ringrazia con un bacio sulla guancia. Comincia a sistemare le cose nei ripiani appositi. La luce riflette sul piccolo tavolo in marmo, osservo la tracolla con i vestiti ripiegati.
«La signora Margherita chiede continuamente di te. Ricorda ancora quando le portavi il giornale all'alba e litigavi con il suo bassotto» ride e faccio lo stesso, contagio anche Scarlett.
«Avevo dodici anni ma sapevo farmi rispettare» vanto.
Il cellulare squilla, Scarlett corre verso il soggiorno. Scruto la scena come un perfetto estraneo, una persona esterna al problema.
«Pronto?» mia sorella è la prima a parlare.
Il luccichio negli occhi mi fa sentire in colpa, ma sono troppo orgoglioso per ammetterlo.
«Inserisci l'audio amplificato» suggerisce la mamma, obbedisce senza argomentare.
«Pronto? Scarlett, sei tu?»
Vengo invaso da mille brividi, la voce è così vicina ma lontana. Il cuore batte come un matto, sono trascorsi cinque anni. Fa male, molto male. Mi accascio sul pavimento gelido.
«Si papà, sono io!»
«Tesoro buon compleanno!» risuona incerto in tutta la casa.
«Grazie papà, mi manchi...» le parole muoiono in gola.
«Anche tu mi manchi piccola»
Sono invidioso.
Non ho mai avuto nulla da parte sua. Non ho mai ricevuto nessuna chiamata nel giorno del mio compleanno, nemmeno quando mi sono laureato.
Nulla.
Lui non ha mai chiesto, io lo stesso. Sono stato, per colpa sua, contrassegnato da un'etichetta che non mi apparteneva. Sono stato emarginato da tutti, solo perché la reputazione di mio padre mi precedeva. Acqua salata mi bagna la faccia, passo una mano sul viso per eliminare la debolezza. Mi dirigo verso l'uscita.
«Blake è qui!» dice Scarlett.
Non mi guarda, l'errore che ha commesso è troppo grande.
«Blake, davvero? Figliolo, ci sei?» richiama il mio nome, ma io sono bloccato. Rigido, inerme, morto dentro. Il rancore mi sovrasta, il disappunto prende il sopravvento. Mia madre ha già capito tutto, lei sa.
«Può sentirti» borbotta.
«Blake perché non vieni a trovarmi qualche volta? Sono passati cinque anni dall'ultima volta. Quanti anni hai adesso? Ventitré, no venticinque...aspetta forse...»
«Ventisette» rispondo atono, consapevole di quello che è appena successo.
Guardo entrambe, il borsone in spalla e la vista offuscata.
Egoista.
Indifferente.
Taciturno.
Sono così solo per lui.

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