Mi dispiace

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Luigi era stato adagiato nella sua culla; l'espressione dolcissima di quel bambino era l'unica gioia per mamma e nonna. Il piccolo dormiva serenamente con accanto il suo orsetto di peluche inconsapevole di tutto quello che attorno a lui stava accadendo.

- Emma, scendiamo in salotto, preparo un tè.

L'atmosfera tra le due donne si stava stemperando ma Emma continuava ad avere uno sguardo teso e preoccupato.

Dopo il primo biscotto, assunse un'aria desolata.

- Paola, devo dirti una cosa che non ti farà piacere...

Si schiarì la voce.

- L'azienda è sull'orlo del fallimento, sono stati portati i registri contabili in tribunale. Enrico ha lasciato miliardi di debiti che in nessun modo riusciamo a coprire. È tutto finito Paola. Perderai la casa e tutte le proprietà. Mettiti in contatto con lo studio legale di Enrico, l'avvocato ti spiegherà tutto. Mi spiace molto, ora dovrai essere davvero una donna forte.

Emma continuò con la consapevolezza di chi dalla vita aveva avuto molto. Seduta sul divano con addosso uno dei suoi innumerevoli golfini di cashmere, aveva sul volto un'espressione indefinibile.

- Purtroppo non posso aiutarti, sono nella tua stessa situazione, però non ho un bambino piccolo cui provvedere. Mi dispiace per te ma soprattutto per mio nipote.

Si era fatta piccola, Paola. Piccola e indifesa. Il mondo le stava crollando addosso. I sogni non erano altro che piccoli puntini sempre più lontani. Di tutto quel lungo discorso, pronunciato come una sentenza, la parola "mi dispiace" le risuonava martellante in testa. Con un "mi dispiace" la sua vita si concludeva come l'ultima scena di un film drammatico. Di quelli che lei non andava mai a vedere per non rattristarsi. Non provava niente, né dolore, né odio, né tristezza, né disperazione. Niente. Quella sensazione di distacco dalla realtà la sorprese più di ogni altra cosa.

Emma estrasse dalla borsa un biglietto da visita, bianco, la stampa nera, elegante. Un biglietto usato dai professionisti, lo mise sul tavolino, si alzò lentamente, con dignità.

Paola cercò in qualche parte del suo essere un refolo di voce.

- Signora... ma... ma... Tommaso dov'è?

- Paola, non pensare più a lui. Tommaso è un uomo debole, io lo conosco bene, non ti avrebbe mai resa felice. Che Dio ti aiuti.

Uscì da quella casa senza sapere se e quando avrebbe fatto ritorno per rivedere suo nipote.

La freddezza di Emma impressionò Paola. Come faceva a sopportare, accettare, tutto quello che era successo senza versare neanche una lacrima? In fondo anche lei aveva perso tutto. Marito, figlio e tutto quello che il buon Luigi aveva costruito con sacrifici e rinunce. Per un attimo invidiò quella donna forte e risoluta. In Emma si poteva ancora intravvedere la ragazza altezzosa e snob che tanto aveva impressionato Luigi Marini nel loro primo incontro.

Paola rimase sola con i suoi pensieri confusamente ammassati tra il cuore e la mente. Ora non aveva più nemmeno una casa. Che ne sarebbe stato di lei e di suo figlio?

Tornò nella stanza del piccolo, la gioia che provava nel guardare il suo angelo mentre beatamente dormiva riusciva a colmare il senso di vuoto che la stava inghiottendo, a lenire ogni possibile dolore. Accudire Luigi era l'unica terapia che la faceva stare bene. Il suo bambino era la cosa più preziosa che aveva e non le importava di perdere casa, auto, mobili e tappeti, argenteria e gioielli, abiti e pellicce. Non le importava più di nulla. Lei avrebbe vissuto solo ed esclusivamente per Luigi.

In una gelida notte di febbraio, Paola, come sempre, si era alzata per la poppata che puntualmente Luigi, verso le due, con strilli e pianti reclamava. Un silenzio inquietante avvolgeva la casa.

La sposa in grigio perlaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora