48. Un anno

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48
UN ANNO


Il tempo è un gioco,
giocato splendidamente
dai bambini.
Eraclito



A Mario piaceva fare lo zio.

Anzi. Più che fare, essere.
Essere uno zio.

Ancor di più essere lo zio di Pietro.
Che non era sangue del suo sangue, è vero, eppure lo aveva visto nascere ed era diventato una delle cose più importanti della sua vita.

E si sentiva così orgoglioso a girare per le vie della città spingendo un passeggino, che quando qualcuno gli si avvicinava per salutare il bambino o chiedergli quanti mesi avesse o come si chiamasse rispondeva gonfiando il petto di fierezza e il cuore di amore.

Anche quel giorno, mentre andava al bar in cui aveva iniziato a lavorare Claudio con il ranocchio appresso, gli era capitato di sentirsi maledettamente felice al pensiero di essere suo zio ogniqualvolta in cui qualcuno avesse sorriso nella loro direzione.

"Eccoci qui", aveva poi detto a Pietro varcando la porta d'entrata, "guarda zio Claudio com'è impegnato". E il ranocchio aveva battuto così forte le manine alla vista di suo zio che si erano girati tutti a guardarlo amorevolmente. E lui si era sentito nuovamente compiaciuto e felice di poter dire che era suo nipote.

"Hey", si sentì toccare la spalla in una carezza leggera "ciao piccolino", Claudio carezzò poi anche il bambino, "vi porto qualcosa?".

"Finalmente ti sei degnato di venire a salutarci", lo accolse Mario scherzando, "siamo qui da mezz'ora".

"Esagerato", alzò gli occhi al cielo Claudio, "sto lavorando, lo sai, non posso fare come mi pare altrimenti sarei venuto subito da voi".

"Lo so", lo rassicurò, "mi porti una cioccolata calda? E se ci sono dei biscottini per Pietro anche".

"Va bene", gli sorrise osservando il quasi ostetrico tirare fuori dalla tracolla appesa al passeggino il computer portatile, "lavori alla tesi?".

"Sì, devo", scrollò le spalle, "però avevo bisogno di uscire un pochino e credo anche Pietro, quindi ho pensato di venire qui".

"Hai fatto bene! Almeno vi posso guardare quanto voglio anche mentre sono a lavoro", gli fece l'occhiolino per poi allontanarsi e andare verso il bancone. Mario annuì ridacchiando tra sé e sé prima di far sedere Pietro sulle sue gambe e aprire il file word per iniziare il terzo capitolo del suo elaborato finale per la laurea.

Pietro gli fu di grande aiuto nel rendere quel lavoro meno pesante e difficile, e tra un sorso di bevanda calda e uno sguardo a Claudio il tempo tra le mura di quel bar passò incredibilmente veloce.

*

"Sai, credo che tornerò molte altre volte a scrivere la tesi all'Urban Café", annunciò Mario dopo aver messo a letto il ranocchio. Erano le undici di sera e Pietro aveva finalmente preso sonno in braccio al quasi ostetrico sotto alle sue tenere carezze.

"Sì? Ti sei trovato bene?", gli domandò Claudio facendogli segno di andare a sedergli vicino sul divano.

Mario annuì. "Non pensavo, invece lavorarci lì mi ha tolto molta ansia di dosso. Forse stare sempre chiuso nella mia stanza mi... opprime un po', in un certo senso".

"Può essere", il castano spostò delicatamente un ciuffo di capelli che ricadeva scompostamente tra gli occhi del moro, "poi sicuramente la mia presenza è una grande fonte di ispirazione", si pavoneggiò ridendo.

"Idiota", rise anche il quasi ostetrico dandogli una leggera spinta su un braccio, "dico davvero, sai che qualche volta sono intrattabile per lo stress, invece oggi mi sono sentito bene".

L'aria per me Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora