Darkness meets Sunshine

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Capitolo 1

Darkness meets Sunshine

Feeling my way through the darkness

*Flashback*

Hogwarts, settembre 2008, quattro anni prima.

Luke Hemmings sbuffava, sistemandosi i capelli, beandosi della sua immagine riflessa sullo specchio del bagno, mentre si preparava ad uscire, per raggiungere insieme ai suoi compagni, la Sala Grande.
Un nuovo anno aveva inizio, il suo secondo anno era appena cominciato, e già provava ribrezzo al rituale di inizializzazione che caratterizzava la sua scuola.
Lo aveva trovato sin dal primo momento una cosa noiosa, lo smistamento dei nuovi arrivati, chiamati in ordine alfabetico, costretti a indossare un cappello parlante, pieno di polvere, indossato da troppe teste; la cosa lo aveva disgustato a tal punto che si lavò i capelli per due volte al giorno per quasi tre mesi: teste di maghi puri, ma anche teste di sporchi mezzosangue, al solo pensiero, rabbrividiva ancora.
Meno male che il Cappello aveva fatto la scelta giusta con lui, e aveva urlato senza troppi giri di parole quella che era la sua casa, il suo destino: Serpeverde.
Serpeverde come sua madre, come suo padre, i suoi due fratelli, come tutta la famiglia Hemmings, sarebbe stato un disonore non farne parte, ma lui, sicuro di sé, e della sua testa, sapeva già di non doversi preoccupare, era un Serpeverde, dalla testa ai piedi, e tutti, a scuola, lo bisbigliavano tra i corridoi, facendolo sentire orgoglioso di se stesso.

«Ehy Luke!» lo chiamò una voce, una mano che si appoggiava alla sua spalla, un viso a lui familiare che si fece avanti: Ashton Irwin, Serpeverde, al terzo anno, suo amico da quando Luke aveva messo piede in quella scuola.
Il motivo di tale simpatia di Ashton nei confronti di uno più piccolo di lui, erano le promesse fatte a sua madre, la signora Anne Marie Irwin, nonché amica di una vita di Liz Hemmings: conosciutesi anche loro ad Hogwarts, stessa casa, Serpeverde, stesso anno, stessi sogni, le inseparabili, figlie di maghi potenti, conosciute da tutti, non c'era nessun'altra se non loro due, non facevano entrare nessuno nel loro duetto, loro due si capivano con uno sguardo, loro due bastavano l'una per l'altra, le altre erano solo delle briciole a confronto con loro.
Se inizialmente Ashton si vide come babysitter personale della famiglia Hemmings, con il passare del tempo scoprì in Luke l'amicizia che legava le loro madri: il più piccolo aveva le idee ben chiare, sapeva il conto suo, non era spaventato da nulla, metteva quasi timore, e la sua voglia di essere più di quel che doveva, affascinava Ashton, che lo considerava sangue del suo sangue.
Luke inoltre, gradiva la presenza di Ashton, sapeva farlo divertire, sembrava capire ogni suo pensiero, lo vedeva come una persona importante, uguale a lui, come se fossero fatti della stessa pasta, creata dalle loro stesse ambizioni, dai loro desideri, due gocce d'acqua, nati per essere amici.
«Ciao Ash» lo salutò a sua volta, fulminandolo un po': la mano di Ashton era ancora sulla sua spalla.
Un'altra cosa che Luke Hemmings non sopportava, era che la gente lo toccasse; era una cosa fastidiosa, che lui odiava, in casa sua nessuno si toccava, nessuno si sfiorava troppo, ed era stato abituato così, ad avere sempre una distanza minima, ad avere sempre il minore dei contatti: lo aveva ripetuto ad Ashton circa mille volte, ma lui, continuava a scordarselo, con la solita giustificazione del "a casa mia siamo troppo sentimentali", e Luke, come ogni volta, alzava gli occhi al cielo, sospirando a fondo, e cercando di non lasciarsi sfuggire una formula magica da spavento nei confronti dell'amico.
«Scusa, non volevo» bisbigliò Ashton, allontanando la mano, e mettendosela in tasca, continuando a camminare con lui per il corridoio, raggiungendo insieme la Sala Grande, dove i loro posti, al tavolo di Serpeverde, erano pronti ad aspettarli.

«Queste cerimonie mi annoiano» si lamentò il biondo, sedendosi sulla sedia, e intrecciando le braccia al petto.
«Magari quelli del primo anno sono interessanti» cercò di intervenire l'amico.
«Interessanti dici? Non prendermi in giro» rise appena, come se ci potesse essere davvero qualcuno di interessante, qualcuno che fosse addirittura più interessante di lui.

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