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Arrivai sotto casa di Alessio e la tentazione di scappare a gambe levate fu tanta. La paura di rivederlo, dopo quello che gli avevo detto per messaggio, non se ne andò ma, dall'altra parte, c'era anche la voglia di riabbracciarlo. Presi un respiro profondo – ed un po' di coraggio – e mi decisi a schiacciare il campanello con il suo nome. Attesi un attimo, poi sentì la sua voce. «Sono io, Ari» mi annunciai, mentre sentì Rocco in sottofondo.

Salì fino al suo piano, avevo il cuore in gola e le gambe che tremavano. Un mix di emozioni si fece largo nel mio corpo: paura, agitazione, gioia. Prevalse, però, la parte innamorata, che mi fece aumentare il passo. Non avrei resistito un altro secondo lontana da lui.

Lo vidi che mi stava aspettando, appoggiato al muro e con Rocco seduto tra i suoi piedi. «Ma ciao, amore mio» mi inginocchiai, per coccolare il bulldog. Con un po' di fatica, dato dal suo peso, lo presi in braccio e lo strinsi, come un bebè. Vedendo la scena, il calciatore non riuscì a trattenere un ghigno. Rivolsi a lui un rapido sguardo, che fu sufficiente per perdermi nei suoi occhi... e nelle sue fossette.

«Ti conviene smetterla, Romagnoli» lo avvisai, con la paura di cosa potesse succedere dopo. Incrociò le braccia e alzò un sopracciglio, e con aria di sfida, mi provocò «altrimenti!?»

«Altrimenti...» mi morsi il labbro inferiore e andai nel panico, non trovando la risposta da dargli «lascia perdere»

Si avvicinò a me, mi prese per i fianchi e mi tirò verso di lui. Mi incastrò nel suo abbraccio, e non potei più scappare da lì – non che fosse stato tra i miei pensieri. «Sei ingiusto, Romagnoli»

«Smettila di chiamarmi per cognome, sembri il mister quando mi riprende» si lamentò, appoggiando il suo mento sopra la mia testa; la differenza d'altezza lo permetteva. «Quindi, se ti riprende, vuol dire che stai facendo schifo in allenamento. E non è da te» scherzosamente, gli puntai un dito al petto. Lo sentì sbuffare tra i miei capelli e sorrisi contro il suo petto. «Se mi riprende, vuol dire che non ho la testa sull'allenamento. Ed è tutta colpa tua, amò. Dai, entriamo»

Presi dall'abbraccio, neanche ci preoccupammo di entrare in casa. Solamente quando si staccò da me, mi accomodai sul suo divano; Rocco mi seguì e lo presi in braccio. Appoggiò il muso sulla mia gamba e iniziai ad accarezzargli la testa.

«Allora, come mai sei a Milano? Capisco che c'è il sottoscritto e non sai resistermi, ma stai venendo su troppe volte»

«A parte che sono qua solo per Rocco; comunque, non è colpa mia se avevo un appuntamento a Milano. E non è colpa mia se tu vivi qua» cercai di discolparmi, come se fosse colpa mia. «Sarà come dici tu. Però, non ti sei sottratta al mio abbraccio» si vantò, sistemandosi meglio sul divano.

«Non mi hai neanche dato il tempo di entrare in casa. Sei stato tu il primo ad abbracciarmi» gli lanciai un cuscino, che riuscì a schivare. Iniziammo una lotta con i cuscini, proprio come due bambini.

Si sentivano solo le nostre risate... e il russare del cane, che faceva da sottofondo.

«Ahia» mi lamentai, dopo aver ricevuto una cuscinata sul naso. Il difensore, subito, si preoccupò e si avvicinò «scusa, amò. Vuoi un bacino sulla bua?»

Scossi la testa, ma fu inutile perché le sue labbra finirono contro il mio naso; mi lasciò un bacio contro di esso. Non lo diedi a vedere, ma dentro di me ero al settimo cielo. Socchiusi gli occhi e sorrisi. Peccato che mi sgamò in tempi record «che hai da sorridere?»

«Niente, mi hai fatto il solletico con la barba» gli accarezzai il mento e rimasi a guardarlo dritto negli occhi. Ben presto il bulldog, che non stava più ricevendo le mie coccole, si stancò e scese dal divano, preferendo la sua cuccia.

Alessio Romagnoli - InstagramDove le storie prendono vita. Scoprilo ora