Trascorsi l'ennesima notte in ospedale, nella sala d'attesa fuori dal reparto dove si trovava Arianna. Mi ero abituato a dormire – o per meglio dire, far riposare la mente – su quelle dure e scomode sedie. Il personale sanitario mi invitò più volte a fare ritorno a casa per riposare e, in caso, mi avrebbero contattato quanto prima. Ma non volevo perdermi neanche un momento di Arianna; sapevo che si sarebbe risvegliata e volevo essere la prima persona che avrebbe trovato davanti a lei.
Feci amicizia con un'infermiera, la prima persona che vidi, dopo quella corsa disperata dal centro sportivo all'ospedale. Lei mi accompagnò a conoscere Nicole, mi tranquillizzò quando mi strinse la manina attorno al dito e, pur non lavorando nel reparto di Arianna, si interessò della sua salute. «Ero certa di trovarti ancora qua» mi sussurrò, sedendosi accanto a me; aveva appena finito il turno e stava tornando a casa. Annuì e mi sistemai meglio sulla sedia.
«Dovresti andare a casa; non ti fa bene perdere così tante ore di sonno. Il tuo corpo non è una macchina e, ogni tanto, devi concederti un po' di riposo»
Non fu la prima a ripetermi quelle frasi, ma era più forte di me; avrei perso ore su ore di sonno, pur di stare accanto alla mia fidanzata. «Non la lascio sola; è la persona più importante della mia vita e, se potessi, soffrirei io al suo posto»
«Non la stai lasciando sola, è in buone mani. E sono convinta che vorrebbe che tu andassi a casa a riposarti. Torni domani mattina, quando puoi entrare in reparto»
Rimasi fermo sulla mia decisione di rimanere in ospedale; mi sentivo più vicino a lei, di quanto lo fossi stando a casa. «Come sta Nicole?» le domandai, sapendo che aveva appena staccato il turno.
«Dovresti parlarne con il medico che la segue, ma ti posso dire che sta bene. Sta rispondendo alla terapia ed è quello l'importante»
Mi sentì sollevato, sentendo quelle parole. Almeno, avevo Nicole come pensiero positivo. Era proprio lei che mi spingeva ad andare avanti.
L'infermiera fece un ultimo e disperato tentativo di convincermi ad andare a casa, ma scossi la testa «finché Arianna non si sveglia, io da qui non me ne vado. Mi devono scacciare con la forza»
Prima di ritrovarmi in questa situazione, non mi accorsi di quanto fosse lunga la notte. Tutti i rumori del giorno cessavano; il silenzio era così fastidioso che, senza neanche sforzarti, potevi sentire tutti i tuoi pensieri e le tue preoccupazioni farsi largo nella tua testa.
Tra un breve sonnellino ed una contemplazione del vuoto davanti a me, sentì vibrare il telefono: la sveglia che mi avvisava che avrei, finalmente, potuto raggiungere Nicole per la prima visita del giorno. Lei era il mio buongiorno.
Ormai, mi ero abituato al rituale prima di entrare nel reparto di mia figlia: mi rimboccai le maniche della felpa, mi lavai accuratamente mani e braccia, indossai il camice e finalmente ero pronto per vedere Nicole.
Mi avvicinai alla sua incubatrice e la vidi dormire pacifica; delicatamente e senza farla spaventare, le accarezzai il dorso della manina. La prima mezz'ora rimasi in silenzio, a fissarla mentre dormiva. Non volevo che la mia voce la disturbasse. Mi bastava guardarla, per sentirmi bene; era una sorta di medicina del buonumore.
Mosse una gamba e, subito dopo, aprì lentamente gli occhi; si stava svegliando ed io sorrisi orgoglioso «buongiorno, amore mio» le sussurrai. Ero pronto ad affrontare una nuova giornata, carica di emozioni difficili da descrivere.
Giunta la fine dell'orario di visita, il personale fece uscire tutti i genitori dalle stanze e mi ritrovai nuovamente solo. Ripercorsi quei corridoi e quelle scale – che ormai avevo imparato a memoria – e raggiunsi la stanza di Arianna; la mia felpa, lasciata alcune notti prima, era ancora sulla sedia accanto alla mia ragazza. Mi sedetti al suo fianco e intrecciai la mano sopra la sua «ciao, amore mio» mi sporsi per lasciarle un bacio contro le sue labbra.
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Alessio Romagnoli - Instagram
Fanfiction|| Vieni qui e fammi dimenticare come si sta senza di te ||