Proprio così

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Ormai sono due ore che stò qui seduta su un gradino rientrato sotto una tettoia di un negozio chiuso.

La pioggia continua e io mi sono stufata, nessuno mi ha trovata, per mia fortuna, ma voglio tornare a casa.

Prendo il cellulare per chiamare un taxi.

Merda, scarico!

L'unica cosa sensata da fare sarebbe entrare in un bar e chiedere di poter fare una telefonata...

A pochi metri da me c'é una caffetteria, dove entro subito.

Saluto con un cenno del capo la barista e mi accomodo ad un tavolino sfregando tra di loro le mani.

Una cameriera si mi affianca.

"Ordina qualcosa?" Chiede sorridente.

"Un caffé! Grazie!" Sorrido in risposta.

Torna dietro il bancone a preparare il caffè.

Alle mie spalle si sentirono delle risate e si sentirono dei ragazzi parlare.

Avanzarono ridendo e scherzando su come li avesse conciati la pioggia.

Qualcuno urta la borsa appesa alla sedia che cade a terra con un tonfo, mi chino per raccirgliela, ma qualcuno ha la mia stessa idea e mi precede.

"Scusi!" Dice per poi alzare lo sguardo il ragazzo.

Un leggero flashback si fá spazio nei ricordi. Trattengo il fiato.

Set.

"Non fà niente..." Dico sussurrando.

"D-Dakota?!" Dice allargando gli occhi.

"Proprio così!" Ammetto guardando il pavimento.

"Io-io..." Inizia.

"Vai, ti stanno aspettando..." Faccio cenno degli altri suoi cinque amici che lo guardano perplessi.

"Aspetta. Voglio parlare..." Dice alzando il busto diritto sulla sedia.

"Siediti." Annuisco accettando.

Lui obbedisce e stiamo a lungo senza parlare, ci guardiamo negli occhi senza spiccicare parola anche se tutti e due nuotiamo dalla voglia di sapere come stiamo!

Ha degli amici? Come sta lui? Perché mi picchiava, insultava? Perché mi odiava?

I suoi occhi erano uguali a quando mi fissava insultandomi.

Percepivo quegli attimi come a rallentatore. Le parole che mi diceva si azzeravano, guardavo la sua bocca aprirsi e chiudersi con violenza mostrando dei denti perfetti, la pelle arrossata dall'affanno e gli occhi azzurri ignettati di odio, odio vero.

Ricordo il momento dell'impatto tra il suo palmo e la mia guancia, violento, doloroso, ma un dolore interno: come se mi avessero strizzato lo stomaco.

Urlare parole incomprensibili, perché tanto quando avrei ricevuto la seconda sberla non avrei capito più nulla avrei avuto il vuoto nella testa e quando avrei sentito il contatto tra la suola sporca di terra dei suoi stivaletti marroni consumati e il mio addome avrei sentito le orecchie fischiare e un leggero senso di vomito.

Quando sarei stata sollevata per il colletto della camicia blu avrei sentito tutti ridere e le lacrime avrebbero rigato i miei zigomi rossi, avrei provato vergogna e invidia.

Si, invidia per gli altri ragazzi che invece avevano una dignità. Io la avevo persa, già da tempo ormai.

Lui mi osserva cercando di succhiare più particolari del mio volto, quasi a stamparlo nella sua mente per ricordare.

I suoi occhi grandi vagano veloci su di me per vedere come sono diventata, a quanto pare le tre costole incrinate non avevano avuto ripercussioni.

Avevo dovuto mentire, seguendo il mio istinto di sopravvivenza, dicendo che ero caduta da un albero mentre mi stavo arrampicando sopra di questo.

"Non ti vedo da tre anni..." Sussurra passandosi la mano a spostare il ciuffo castano, un tempo rossastro.

"Ho avuto da fare..." Sbatto le palpebre velocemente.

"Mi sono trasferito a Londra, due anni fa..." Sorride amaro lui.

"Io in Australia, Sydney. Tre mesi fá!" Mi mordo il labbro.

"Scusa!" Dice dopo un sospiro.

"Non-non fa niente..." Dico sospirando.

"Ti prego perdonami..." Dice sotto voce.

"Lo ho già fatto molto tempo fa." Cerco di sorridere, fallendo.

"Sto frequentando il college!" Sospira.

"Che bello." Commento distaccata.

Passa qualche secondo.

"Non so perché lo facessi..." Appoggia la mano destra sul tavolino.

"Forse perché eri un ragazzo stupido. Non sapevi che non esistessero persone perfette." Alzo le spalle sorseggiando il mio caffè che nel frattempo la cameriera mi ha portato.

"Sai, ho sempre avuto una cotta per te!" Sorride sincero.

Alzo gli occhi dalla tazza bianca grande.

"Davvero?" Chiedo sorpresa.

"Si..." Guarda le mani che giocherellano con il bordino del tavolo rotondo.

"Perché allora?" Appoggio poso lo sguardo sulle sue mani per poi riposizionarlo agli occhi.

"Perché ero stupido!" Sputa la parola come fosse velenosa.

Ridacchio. "Mi era noto..."

Lui mi segue in una leggera risata.

"Non so perché i ragazzi quando si innamorano cercano di far sembrare il contrario, cercano costantemente di farsi odiare da quella persona..." Sospira. "Se uno dimostra odio é amore..." Finisce la frase.

Questo avrebbe cambiato molte cose. Avrebbe spiegato sicuramente il fatto che Luke mi odiasse così costantemente, potrebbe essere innamorato?

Potrebbe provare i brividi, proprio come li provo io al solo pronunciare il suo nome?

Potrebbe mai svegliarsi con un immagine ben nitida in testa, la mia.

No. Che cosa dico? Sto sognando.

Ma non fatemi smettere, sogno finché posso... Perché la realtà di questo sogno, mi piace più della realtà stessa!

Flight ✦Luke Hemmings✦Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora