Capitolo 47

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Cap.47

Marinette si svegliò indolenzita.

Si guardò attorno con curiosità, non riconoscendo la stanza.

Notò una flebo alla sua destra, mentre a sinistra, in penombra, riconobbe una figura addormentata su una poltrona: sua madre.

Provò a muoversi sul letto, ma il dolore dovuto allo scontro con l'akumizzata la fece rinsavire di colpo.

I ricordi riaffiorarono prima confusi, poi, via via, sempre più definiti e crudi, quasi come vedere un film e saltare a piè pari alla fine, sapendo già come andrà tutto quello nel mezzo.

Il fiato le si mozzò in gola.

Ricordò tutto: l'akuma, Lillà, i suoi amici, Papillon, Gabriel, Nathalie e, infine, Adrien.

Il ricordo vivido di averlo sentito sparire tra le sue braccia la mandò nel panico assoluto.

Si portò le braccia al viso, dopo aver tentato di ripetere quell'unico abbraccio con la persona a cui lei aveva donato il cuore due volte e lui... e lui...

Il nodo alla gola le salì così velocemente ed incontenibilmente che le lacrime divennero l'unico modo per abbassare quella pressione straziante che le stava stritolando il petto.

Sua madre si svegliò di soprassalto.

"Marinette! Sei sveglia!" - le sussurrò, avvicinandosi ed abbracciandola amorevolmente.

"Dio ti ringrazio!" - disse la donna, per poi chiudersi nel silenzio del momento, lasciando sfogo alla crisi della figlia che non accennava a fermarsi.

Le accarezzò la testa più e più volte.

Quei capelli, prima corvini ed ora bianchi come la neve, non le sembravano neppure reali, ma tanto le bastava che sua figlia fosse ancora viva.

Marinette rimase abbracciata alla madre, piangendo, ridendo, strillando, respirando affannosamente, stringendola ora forte, ora piano. Tremò più e più volte, smise di piangere, per poi ricominciare a dirotto.

La sua vita era andata in pezzi.

La sua forza era andata in pezzi.

Adrien l'aveva fatta rivivere, l'aveva abbracciata, l'aveva baciata, si erano amati, in quell'unico momento, ed ora...

Marinette svenne nuovamente, per poi riprendersi dopo poco, ricominciando a sragionare, rivivendo ancora ed ancora quel magico, ultimo, tragico bacio.

Sabine non lasciò l'abbraccio della figlia per tutto il tempo, anzi, continuò ad accarezzarla.

Mai l'aveva vista in quello stato.

Mai aveva visto nessuno in quello stato.

Eccola lì: l'eroina di Parigi che tutti acclamavano. Una ragazza, neppure maggiorenne, che, da sola, aveva sopportato tutta quella responsabilità e l'enorme pressione di mostrarsi sempre forte e di dover sempre vincere.

La sua bambina... ora piangeva, ora rideva, strillava, tremava, si addormentava, di destava di scatto e si riperdeva: Perché il destino era stato così duro con una ragazza così dolce?

Dopo molto tempo - Sabine non seppe distinguerlo - qualcuno bussò alla porta della camera: suo marito.

Tom era rimasto rigorosamente fuori, ascoltando, in silenzio, la sofferenza della figlia. Avrebbe voluto spaccare il mondo per evitarle tutto quel calvario, ma capì che quello non sarebbe stato il modo giusto di aiutare la sua bambina e si fece da parte, aspettando, silenzioso e speranzoso, che la bufera si chetasse.

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