Mio padre ha decisamente bisogno di preservativi

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*Mio padre ha decisamente bisogno di preservativi* (ho il terrore che non si legga il titolo)

Entro nelle stalle dei pegasi, attenta a non fare troppo rumore. Quello che sto facendo va un tantino contro le regole del Campo. Individuo subito Blackjack e mi avvicino a lui. Lo accarezzo sul muso nero, e lui mi osserva.
Che succede, mia signora?
La domanda arriva chiara nella mia mente. Poteri da figlia di Poseidone. Faccio cenno al pegaso di aspettare. Lo porto fuori e gli salgo in groppa. Lui capisce subito cosa voglio e si alza in volo, restando però basso finchè non superiamo i confini del Campo. Arpie superate, finalmente. So esattamente cosa chiedere al mio amico a quattro zampe.
“Blackjack, vorrei che volassi in una direzione a tua scelta fino all’alba. Pensi di farcela?”.
Ovvio.

Dopo un tempo che mi sembra interminabile, scorgo un accenno di luce solare. Dico a Blackjack di scendere. Quando smonto dalla groppa del pegaso, indolenzita, avverto ancora una volta i suoi pensieri. Ora cosa devo fare, mia signora?
“Torna al Campo. Non dire a nessuno dove sono, va bene? Almeno non al momento. Se Percy ti chiede qualcosa, digli che nel biglietto c’è tutto ciò che ha bisogno di sapere” rispondo, snocciolando le istruzioni che ho studiato con cura lungo il tragitto. Ho lasciato a Percy un biglietto molto poco esaustivo: Sono fuggita dal Campo. Ho bisogno di stare sola per un po’. NON cercarmi. TVB
Blackjack annuisce, poi riprende il volo. Controllo di avere ancora Marea al polso prima di dirigermi verso la città che ho scorto prima di atterrare. Fortuna che, al contrario di quello che ci si aspetta da una figlia di Poseidone, non ho paura di volare. Certo, il volo non ha niente a che vedere con una bella nuotata, ma non mi dispiace. E poi, spostandomi via mare papà avrebbe potuto indicare a Percy la mia destinazione (non che ne avessi una) e voglio essere, almeno per un po’, introvabile.
A spingermi alla fuga sono stati tre fattori in particolare: gli sguardi che ricevo in quanto figlia di uno dei Tre Pezzi Grossi, le occhiate che alcuni figli e figlie di Afrodite mi lanciano quando sono con Marc, volte probabilmente a vedere se ci sia qualche segno di rottura per avere qualcosa su cui spettegolare e che sono aumentati dopo ciò che è successo all'inizio dell'estate, e la gelosia di alcuni dei semidei più esperti. Come dar loro torto, nei miei primi due mesi e mezzo al Campo ho partecipato a tre diverse imprese.
Assorta nei miei pensieri, non mi accorgo neanche di essere arrivata alla periferia della città di prima. Dopo circa un quarto d’ora di camminata, noto la scritta Acquario di Vancouver.
E così, sono a Vancouver. Ripesco le mie conoscenze scolastiche, e riesco a localizzare la città: sud-ovest del Canada. Cinque ore di aereo da New York, più o meno.
Apro lo zaino, tirando fuori il denaro che mi sono portata. L’acquario, a causa della mia natura e del mio legame, ormai profondo, con Percy e papà, mi attira a sé. E’ come se non potessi fare a meno di entrare.

Cammino lentamente tra le vasche, illuminata dalla luce blu che ci si aspetta da un acquario. A causa dell’ora- è presto, è appena passata l’apertura- i corridoi sono deserti. Di colpo, voltato un angolo, vedo un uomo davanti a me: avrà quarant’anni, quarantacinque al massimo. I capelli neri sono tagliati corti. Indossa abiti comuni, eppure il mio istinto mi dice che non è per niente un uomo comune.
Per un attimo penso che papà mi sia venuto a prendere, ma scarto subito l’ipotesi: è passato troppo poco e io mi sono allontanata parecchio. E’ impossibile che sia lui. Certo, gli dei possono trovarsi in più posti contemporaneamente, ma quante probabilità ci sono che una parte dell’essenza di papà si trovi proprio qui?
L’uomo si volta, e i miei dubbi crollano immediatamente. Quest’uomo non è papà. L’istinto di cercare le rughe di espressione attorno agli occhi sparisce quando vedo il colore di questi ultimi: azzurro ghiaccio. Non verde. L’uomo fa un cenno quasi impercettibile col capo, quasi volesse salutarmi. Gli passo accanto senza badarci troppo. Prima che riesca ad allontanarmi, però, sento un suono inconfondibile, metallico: il suono di una lama sguainata. Mi volto lentamente a guardare lo sconosciuto. Ora ha in mano una spada, ma non assomiglia a nessuna delle armi dei ragazzi al Campo. E’ senz’altro in bronzo celeste, ma la lama è ricurva, a forma di mezzaluna. Alcune porzioni del metallo sono coperte da sottili lastre di ghiaccio. E’ voltato verso di me, l’angolo sinistro della bocca alzato a formare un ghigno.
Più velocemente che posso, tocco la borchia di Marea. Non so come difendermi dalla lama ricurva, ma sono in un acquario. Io sono in vantaggio qui.
Succede tutto talmente in fretta che, se non fosse per i sensi acuiti dall’istinto semidivino, non mi renderei conto di nulla. L’uomo colpisce il vetro della vasca alla sua destra con la punta acuminata della spada. Il vetro si rompe, riempiendo il corridoio d’acqua salata. Immerge la mano libera in acqua, e quando la tira fuori ha un’altra spada, identica nella forma alla precedente, ma fatta interamente d’acqua. Si lancia all’attacco, e io alzo un muro d’acqua. Percy mi ha fatto allenare a rendere l’acqua quasi solida, ed ora riesco a crearmi uno scudo. Scudo che contro l’uomo misterioso è inutile, perché lui oltrepassa la barriera senza difficoltà e mi colpisce di piatto con la spada ghiacciata. L’acqua mi si raccoglie subito intorno, congelando. In pochi secondi, il mio corpo dalla gola in giù è bloccato in un blocco di ghiaccio.
Osservo lo sconosciuto che mi fissa confuso quasi quanto me.
“Come ha fatto una mocciosa come te… a governare l’acqua?” domanda. Sembra sorpreso, quasi non avesse mai visto nessuno con le mie capacità. A parte sé stesso.
“Come hai fatto tu semmai!” replico io. Ora, è uno sconosciuto e sarebbe buona educazione dargli del lei, ma io tendo a non dare del lei ai miei nemici.
“Io? COME HO FATTO IO A…” non termina neanche la frase. Sembra che la domanda che gli ho rivolto sia davvero assurda, per lui.
“Io sono Eumolpo, figlio del divino Poseidone, dio dei mari, e sono stato allevato da Bentesicima, dea delle onde. Tu, mocciosetta da strapazzo, come hai fatto a governare il mio elemento?” esclama.
Fantastico. Un altro fratello. Che ha nominato papà, il che vuol dire che lui adesso probabilmente sa dove trovarmi. Cacciarsi nei guai è un talento di famiglia, pare.
“Il tuo elemento proprio no, carissimo. Anch’io sono figlia di Poseidone” rispondo, decisa a far vedere a questo Eumolpo chi comanda. Tanto, dubito che le ricerche, guidate senz’altro da dei preoccupatissimi Percy e Jason, siano già arrivate così lontano. D’altro canto, sicuramente papà indicherà loro dove andare, ora che Eumolpo ha attirato la sua attenzione.
Eumolpo si avvicina a me, che, ancora immobilizzata, cerco di capire come ha fatto: questa non è acqua, è proprio ghiaccio.
“Non capisco come sia possibile per un figlio di Poseidone generare del ghiaccio” dico. Annabeth insegna che è importante conoscere i poteri del nemico.
“Infatti questo potere non deriva da nostro padre, cara sorella, ma da mia madre, Chione” fa lui, un tono fintamente affettuoso, mostrandomi entrambe le spade. Ma certo. Quella d’acqua è una prova del fatto che suo padre è Poseidone, mentre il ghiaccio sull’altra prova una discendenza da Borea.
“E la forma delle spade? Non mi pare che richiamino nostro padre. Né Chione”.
“Quella riguarda il mio passato. Vedi, mia madre, quando nacqui, mi gettò in mare, spaventata dalla reazione del divino Borea. Nostro padre, però, si prese cura di me, portandomi da una dei suoi figli divini, Bentesicima. Lei aveva due figlie: quando crebbi, mi fu data la maggiore in sposa. Ella mi diede tre figli, ma io mi innamorai della sorella più giovane. Bentesicima, chiaramente offesa che io rifiutassi la figlia maggiore, mi bandì. Io, col mio figlio più grande, Ismaro, andai in Tracia, dove fui accusato ingiustamente, tempo dopo, di aver complottato contro il re, Tegirio. Costretti a fuggire, ci ritrovammo ad Eleusi. Qui divenni un sacerdote della divina Demetra, e iniziai l’eroe Eracle ai suoi misteri. Morto Ismaro a causa di una malattia, re Tegirio venne a cercarmi. Lo convinsi della mia innocenza nel complotto, e lui mi nominò suo erede.
“Anni dopo, durante un conflitto tra Atene ed Eleusi, andai assieme al mio secondo figlio, Immarado, in aiuto di Eleusi. Il re di Atene, Eretteo, uccise sia me che il ragazzo. Fortunatamente, il mio terzo figlio, Cerice, era un sacerdote di Eleusi e non partecipò alle azioni militari. Nostro padre, adirato, fece sì che la terra inghiottisse Eretteo”.
Conclue il racconto, e solo allora sembra ricordarsi di me. “Uso delle siccae in onore della divina Demetra, i materiali ricordano i miei genitori”.
Siccae. Un nome latino. Perchè, visto che Eumolpo è chiaramente greco?
Piuttosto, perché non sappiamo di Eumolpo? Perché lui può attaccare coloro che si recano all’acquario senza che al Campo sappiamo nulla? Possibile che sia solo a causa della distanza?
“Perché di te non si sa nulla?” domando, confusa.
“Semplice: io servo la divina Demetra. Lei seleziona coloro che rovinano maggiormente l’ambiente, li fa venire e io li uccido, congelandoli con la spada ghiacciata per poi trafiggerli con la spada d’acqua” fa lui. Perché mi sta spiegando tutto questo? Ma soprattutto, perché Demetra, una dea, non si fa giustizia da sola?
La risposta alla seconda domanda mi viene spontanea: gli dei, quando possono, non fanno mai nulla da soli. In passato, forse. Ora, oltre a essere troppo distratti dal mondo mortale, hanno due eserciti di semidei sempre pronti ad aiutarli. Eppure, la cosa non mi quadra...
Eumolpo avvicina la spada d’acqua al mio viso. Stupido. Se è anche lui un figlio di Poseidone, dovrebbe sapere che l’acqua non può farmi del male. Appoggia la punta sulla mia guancia e, con mia grande sorpresa, vi incide un taglio. Mi brucia, e sento il sangue colarmi denso fino a dove il blocco di ghiaccio mi mantiene in libertà.
Dopo avermi ferita, si allontana, andandosi a sedere su dei divanetti che servono per ammirare i pesci stando più comodi. Mi chiedo come mai non sia ancora arrivato nessun mortale. Siamo tra le vasche dei pesci tropicali, che nuotano nell’acqua rimasta coi loro colori vivaci. Probabilmente la Foschia fa apparire questa zona come chiusa, o qualcosa del genere. Un paio di volte, mi pare di scorgere il volto di una donna, capelli neri e occhi verdi, che mi guarda dall’acqua per terra. Una donna familiare. Non capisco dove, ma so di averla già vista.
Passa parecchio tempo, probabilmente ore. Provo a portarmi un po’ d’acqua al viso, per chiudere il taglio e pulirmi dal sangue, ma non appena lo faccio Eumolpo si avvicina e me ne procura un altro.
Improvvisamente, sento uno sciacquettio di passi provenire da dietro l’angolo dal quale sono sbucata io stamattina. I passi si fermano un momento, poi riprendono con ancora più energia. Riconosco il bagliore del bronzo celeste un secondo prima che Percy, Jason, Iris e papà voltino l’angolo.
“Laura!” esclama Percy, visibilmente sollevato… poi nota il blocco di ghiaccio che mi immobilizza e il taglio sulla mia guancia, e da sollevato la sua espressione passa a fratellone-iperprotettivo-preoccupato.
Iris si mette in posizione, con il suo arco e una freccia puntata alla testa di Eumolpo. Papà guarda l’uomo, una mano stretta attorno al Tridente.
“Padre” saluta Eumolpo.
“Cosa stai facendo, Eumolpo?” domanda papà, mettendo a tacere con un’occhiata le domande di Percy.
“Il solito, ero qui per occuparmi di un paio di lavoretti per la divina Demetra quando la mocciosetta è passata in questa zona, che i mortali dovrebbero vedere come chiusa. Inizialmente ho temuto che fosse un mostro, poi al timore si è sostituita la voglia di divertimento” risponde lui, indicando il taglio.
“La mocciosetta con la quale hai pensato bene di divertirti è MIA FIGLIA!!” sbraita papà, adirato.
“Quante storie per un taglietto, padre” borbotta una voce femminile alle mie spalle.
“Bentesicima” mormora papà. “Mi spieghi che cosa sta succedendo?”.
“Volevo solo vedere se saresti corso in aiuto della mortale come facevi con mia sorella Roda e con Tritone” dice la dea, uscendo dall’acqua accanto a me. Perché devo rimanere coinvolta in una faida tra Bentesicima e papà?
“Tu avresti detto a Eumolpo di divertirsi con mia figlia per questo?!” esclama papà. Si sta arrabbiando, e parecchio.
“Oh, no, Eumolpo era ignaro. Diciamo solo che ho… ritoccato gli eventi per far sì che la piccola venisse qui” spiega la dea.
“Ma... quando è arrivata... ho percepito che la divina Demetra voleva che...” esclama Eumolpo.
“Ma quale divina Demetra! Ti svelo un segreto, fratello: ero sempre io. Demetra non ti ha mai chiesto nulla” la dea avvicina la mano al mio viso, prendendomi il mento tra le mani. Ha una presa ferrea, e la pelle, tirata, mi fa bruciare il taglio sulla guancia. Vedo Percy e Jason prepararsi ad attaccare, e papà stringere di più il Tridente. Capisco che la dea conosceva la mia decisione, probabilmente mi aveva tenuto d’occhio. Improvvisamente, ricordo dove l’ho già vista: subito dopo l’arrivo di Marc al Campo, quando con Annabeth e Percy cercavamo di capire chi ci fosse dietro al tentato furto.
“Non hai idea, caro padre” continua, lasciando andare la presa sul mio viso, “di quanta fatica abbia fatto per cercare di ucciderla. Insomma, credevo sarebbe bastato il Labirinto, inesperta com’è. Di certo non credevo di dover ricorrere ad un esercito”.
“Sei stata tu a riunire l’Esercito dei Mostri!” esclama papà.
“Beh, sì. Il piano originale era vendicarmi un po’ usando i miei fratellini mortali, ma non pensavo di avere così tanta difficoltà ad ucciderli… certo, sono fortunati. Il Labirinto, Circe, gli eidolon. Se la sono sempre cavata”.
“Era colpa tua… perfino il rapimento e il tentato furto erano colpa tua…” papà è a dir poco incredulo.
“Ah ah” fa la dea, voltandosi. Percy scaglia un’onda potentissima contro di lei, che si scansa leggermente mentre l’acqua devia dalla traiettoria originale. Noi non possiamo di certo batterla, ha dalla sua parte millenni di allenamento in più. Oltre tutto, lei è figlia di due divinità marine, mentre noi siamo per metà mortali.
“Però” riprende Bentesicima, allontanandosi da me e ponendosi di fronte a papà “ora mi sono stufata di giocare. Credo proprio che me ne andrò”.
Papà prova a fermarla, ma la dea diventa acqua e si mischia con quella già presente sul pavimento. Allora, Percy parte all’attacco. Eumolpo prova a proteggersi, ma papà ordina all’acqua di non ostacolare Perce, anzi di aiutarlo. Eumolpo, spaventato dall’attacco, scappa nel corridoio buio, lasciando cadere la spada d’acqua e rinfoderando l’altra. In pochi secondi, senza il suo influsso, il blocco di ghiaccio si scioglie, spaccandosi e permettendomi di muovermi. Lo sbalzo di temperatura mi lascia senza fiato, ma Percy è già accanto a me, mentre comanda all’acqua di salire alla mia guancia. Papà, Jason e Iris lo seguono rapidi.
Tutti e quattro mi abbracciano, e io, sfinita, mi addormento, finalmente al sicuro.

Mi risveglio su una nave, cullata dal rollio delle onde e dalle braccia di Percy. Le mie mani sono strette da qualcun altro, è una stretta familiare, rassicurante anche se non è mio fratello. Socchiudo gli occhi e alla luce del tramonto vedo Marc, il viso una maschera di preoccupazione, che mi guarda.
“Laura” sospira, sollevato.
“Marc…” mormoro io.
“Papà” chiama mio fratello, “si è svegliata”.
“Laura” la voce di papà mi raggiunge, il tono rivela che è scosso e che si sta dando la colpa. Come se tutto questo sarebbe potuto succedere senza la mia brillante idea di scappare dal Campo…
Percy e Marc si allontanano, lasciandomi sola col dio. Mi culla dolcemente, guardandomi il viso.
“Credo proprio di doverti chiedere scusa” dice.
“E perché?” domando.
“Se non mi fossi comportato come ho fatto con Bentesicima, avresti avuto una vita più tranquilla al Campo…”.
“Papà, smettila. E’ colpa sua, non tua. Non potevi saperlo”.
Papà sorride debolmente. “Tuo fratello ha reagito allo stesso identico modo, sai?”.
“Non stento a crederlo” faccio io. “Ti vogliamo bene”.
“Ve ne voglio anch’io” risponde lui. Poi, sfiorandomi la guancia, aggiunge: “Ti potrebbe rimanere la cicatrice”.
“Beh, devo recuperare mio fratello. Lui ne ha tantissime” dico, ridendo.
“Sono felice di vedere che stai meglio” fa lui.
“Papà”.
“Sì?”.
“Procurati dei preservativi. Siamo decisamente troppi”.
Ride, e rido anch’io. Faccio parte della prole più numerosa dell’Olimpo, purtroppo per me. Per fortuna non devo invitare tutti i miei fratelli e sorelle alle feste di compleanno.

Al Campo Mezzosangue, Chirone mi chiede, in privato, le motivazioni della mia fuga. Percy, che non si stacca da me un secondo, ascolta le mie spiegazioni. Quella sera, Chirone dice solo che sono tornata. Non espone i miei motivi. Mi appunto mentalmente di ringraziare quel fantastico secondo padre, che mi ha riaccolta al Campo, anche se ho violato le regole. Anche il signor D, probabilmente a causa del breve scambio avuto con papà poco fa, non fa storie.
Quella notte, Percy mi costringe a dormire assieme a lui, nel suo letto. Un attimo prima di addormentarmi tra le sue braccia, scorgo un Tridente in bronzo celeste scintillare nel buio della casa 3.

E niente guys, questa storia è finita, almeno per il momento.

Io al Campo MezzosangueDove le storie prendono vita. Scoprilo ora