Parte 4 - Capitolo 2

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La macchina varcò la saracinesca alzata di un anonimo magazzino ai margini del quartiere che dava sull'East River, venne risucchiata dal buio che celava degli alti scaffali pieni di scatole sigillate ed etichettate, probabilmente con la destinazione.

Rose non sapeva davvero cosa aspettarsi, ma l'atmosfera silenziosa e tesa le suggeriva che non sarebbe stato nulla di buono. Seguì i suoi genitori che scesero dalla macchina e iniziarono ad inoltrarsi tra il dedalo di scaffalature alte fino al soffitto. Il silenzio che poco prima li aveva accolti persisteva ad eccezione di alcuni rumori che però arrivavano all'orecchio della ragazza ovattati, facendole pensare che provenissero dall'esterno, probabilmente dagli edifici limitrofi. Nulla di più sbagliato.

Più si addentravano in quella foresta di scatoloni più i rumori sembravano vicini e meglio percettibili. Il gruppo era composto da Roman e Clara che camminavano uno di fianco all'altra in silenzio, seguiti da Rose che seppur intimorita non voleva di certo perdersi.

A un certo punto il gruppo voltò in una via senza uscita del sentiero preso e la ragazza pensò che forse aveva esagerato con le supposizioni, forse non sarebbe stato così malvagio come aveva pensato, quelle scatole non potevano contenere qualcosa di poi così pericoloso.

Ancora una volta dovette ammettere di aver sbagliato e mal misurato la situazione che le si stava configurando davanti agli occhi, quando suo padre aprì una botola sul pavimento rivelando una scala che sembrava scendesse fino alle viscere della terra.

Dall'ansia che stava provando per poco non vomitò, cosa non lo sapeva dato che non aveva nemmeno fatto colazione, ma cercò di farsi forza e seguire i suoi genitori, vedendoli per la prima volta sotto una luce differente. Erano le persone che l'avevano messa al mondo e che nella maggior parte dei casi avrebbero dato la propria vita per sua, se era con loro i pericoli non potevano toccarla, ma in quel momento quella certezza non riusciva a rassicurarla, visti poi i precedenti con la sorella era convinta più del contrario.

Quando finalmente la moltitudine di gradini finì le orecchie vennero a contatto con i rumori che aveva udito poco prima, ma ora chiari e ben individuabili.

La scena che si trovò di fronte le gelò il sangue nelle vene e le tolse l'aria dai polmoni. Davanti ai suoi occhi trovò una moltitudine di tavoli, circondati da persone che definire brutti ceffi era poco, intenti ad assemblare armi da fuoco di ogni genere.

Vide uomini impegnati a montare e inscatolare pistole e fucili, altri contavano minuziosamente i proiettili per poi raggrupparli e inserirli in confezioni altri che prendevano i prodotti precedentemente confezionati e applicavano le etichette che aveva visto poco prima nel magazzino sovrastante. Era una catena di montaggio dove i vari pezzi venivano assemblati, rifletté che probabilmente ci dovevano essere altri ambienti dove le varie parti venivano fabbricate. Il sistema si ingrandiva ogni volta di più, man mano che la ragazza provava a immaginarne la totalità.

Di primo istinto avrebbe voluto urlare, scappare, piangere a ripetizione finché stremata dallo sforzo non si fosse riaddormentata, anche in mezzo a una strada, per infine svegliarsi e convincersi che era stato tutto un tremendo incubo.

Non chiese se l'attività era legale, se queste armi venissero vendute attraverso dettaglianti autorizzati, non si domandò se le persone a cui veniva venduta l'arma fossero conformi ai requisiti minimi dettati dalla legge per possederne una, questionare poi se la cosa fosse moralmente accettabile le sembrava una barzelletta. Sapeva benissimo che nessuna di queste cose in quel posto, in quel contesto, erano contemplate, o se lo erano arrivavano dopo i soldi. Forse una parte era effettivamente venduta in modo legale, ma non bastava certo per ignorare la restante porzione.

I suoi genitori si avviarono verso la fine dello stanzone dove si trovava una seconda stanza, più piccola, un ufficio probabilmente, dove la fecero entrare. Mentre passavano in mezzo a quella specie di laboratorio Rose notò come i genitori venivano trattati come una sorta di regnanti dalle persone che intente nel loro lavoro, chinavano la testa al passaggio del piccolo corteo e poi ritornavano alla loro occupazione.

Quando finalmente la porta separò i tre dal laboratorio, Rose subito si sedette, sentiva che le sue gambe non avrebbero retto oltre. I suoi genitori non notarono nulla di ciò che la ragazza stava facendo, erano intenti a parlare di qualcosa, probabilmente collegato alla macabra attività secondaria della compagnia Central.

<<Allora Rose, questa piccola fabbrica sotterranea produce armi da fuoco per circa il sessanta percento del fabbisogno nazionale...>> suo padre procedette oltre, la mente di Rose sembrò esplodere. Fabbisogno? Quando pensava a quella parole la mente la portava sui libri di scienze, quando si parlava di alimentazione, di quante sostanze nutritive aveva bisogno un essere umano per un'alimentazione ideale, e quindi vivere. Suo padre l'aveva appena usata riferendosi alle armi? C'era davvero qualcuno che aveva bisogno di quelle armi?

Le tremavano le mani, era consapevole del fatto che nella stanza accanto a lei c'erano delle pistole pronte a sparare e facilmente uccidere qualcuno. Non l'aveva mai pensata in questi termini quando camminando per le strade aveva incrociato dei poliziotti, aveva sempre pensato all'arma come una misura estrema di protezione dei cittadini da pericoli.

<<Dove vengono spedite?>> Domandò la ragazza con voce tremolante. Non aveva sentito cosa le era stato detto mentre si perdeva nei suoi pensieri, sperava che nessuno avesse ancora toccato l'argomento in modo che la domanda non rivelasse il fatto che non stava davvero ascoltando.

<<In tutta la nazione, fortunatamente quasi il novanta percento di ciò che viene prodotto viene anche venduto, il resto se ne va all'estero...>> rispose il padre senza provare a celare l'orgoglio di possedere anche una fetta di mercato estero. Riprese il suo discorso, probabilmente da dove la ragazza l'aveva interrotto, ma Rose non lo sapeva.

Si sentiva tradita perché se anche i suoi genitori si erano mostrati severi e alle volte crudeli, non immaginava che mostro si celava dietro i loro rassicuranti sorrisi mostrati alla società per inscenare la perfetta famiglia americana tutta casa, chiesa e fiori.

Come aveva potuto Valerie scoprire tutto questo? Come aveva potuto non parlagliene? Ma soprattutto lei, come avrebbe fatto a evitare questo fardello? Sarebbe riuscita a scampare a questo crudele destino? Se pensava che non ce l'avrebbe fatta a gestire da sola una compagnia che commerciava piante, almeno non senza difficolta, gestirne una seconda, secreta, di queste sembianze era impossibile.

Avrebbe fatto l'unica cosa che in quel momento le sembrava logica, ne avrebbe parlato alla sorella, sperando di non essere lasciata sola come anni prima lei stessa aveva fatto.

Ciao a tutti!

Cosa ne pensate di questa quarta parte? Fatemelo sapere nei commenti! E se questo capitolo vi è piaciuto lasciate un voto :)

Buon weekend,

Norah.x

Bullets, flowers and blood. || h.s.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora