Demons

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P. O. V Jonathan

~ Demons ~

Spesso siamo così concentrati a proteggere noi stessi, da non accorgerci del male che facciamo agli altri. Preferiamo vivere nella menzogna, nell'oscurità; perché la verità fa troppo male e ci rende deboli.
I minuti passano, ma i miei pensieri sono fermi in quell'attimo, dove le mie paure hanno preso la parola.
Aveva bisogno di me e io come un codardo, l'ho lasciata andare.
Ho visto la speranza morire nei suoi occhi.
Quegli occhi scuri, come la mia anima.
Per la prima volta Arya, ha avuto il coraggio di raccontarmi qualcosa del suo passato, e del dolore che ha sofferto; ma io non sono stato abbastanza forte per poter restare.
Ancora una volta, l'ho fatta sentire sbagliata, ma forse è meglio così.
Io non merito lei e di certo lei non merita uno stronzo come me.
Non posso darle amore, non posso darle protezione, non posso lasciare che si avvicini troppo, se poi sono il primo a farle del male.
Sono stato illuso e tradito troppe volte per poter rischiare ancora.
Ho lasciato che le persone vedessero il vero me, ma in cambio ho ricevuto solo insignificanti bugie.
Con il tempo ho imparato a nascondere il dolore e a cadere senza fare rumore. Ho fatto della rabbia, la mia unica difesa, ma ho paura di perdere il controllo e farle del male. Non me lo perdonerei mai.
Io non sono mio padre e non voglio essere come lui.
I miei occhi sono la chiave di tutto. Nascondono i sorrisi più belli e le lacrime più salate. Nascondono le ferite più profonde e le paure più grandi, ma ciò che temo di più sono i miei demoni. Loro non mi abbandonano mai. Tornano nei momenti più imprevedibili, ricordandomi il mostro che sono, e il sangue che nascondo tra le mie mani. Non posso lasciare che scopra la verità, che mi veda per quello che sono. Perché dietro a questa maschera di arroganza non troverà un ragazzo migliore, ma qualcuno peggiore. Qualcuno che non prova e non vuole più sentire emozioni, qualcuno che ha sofferto e ha smesso di credere nell'affetto.
Guido ormai da ore verso una meta indefinita. A casa non posso tornare in questo stato, Chris capirebbe subito che qualcosa non va e non sono pronto a deluderlo ancora. Non posso nemmeno chiamare i ragazzi, perché molto probabilmente Arya è con loro. Non ho il coraggio di affrontarla ancora. Le persone mi darebbero dello stupido; ho un appartamento tutto mio e passo il mio tempo a girare in auto. Ma in pochi sanno che quelle mura nascondono, sospiri, baci, abbracci, carezze e no, non sto parlando di Arya; ma di due occhi chiari.
Due occhi azzurri come il cielo, che mi hanno insegnato che cos'è l'amore.
Stringo più forte il volante al ricordo del suo sorriso e mi dirigo dove sono certo di farmi ancora più male. Notando peró l'assenza di tante macchine, ho più volte superato il limite di velocità; giungendo infine nella villa dei miei nonni.
Non scendo dall'auto. Resto fermo a guardare davanti, incapace di fare qualcosa, se non perdermi nei ricordi.

Era notte fonda e stavamo tornando dall'ospedale; io, mio padre e Chris, addormentato nei sedili posteriori. A fare compagnia a mamma stasera sarebbe rimasta nonna. Ormai le mancavano solo pochi giorni, ma lei non voleva che li passassimo piangendo. Ci aveva letteralmente vietato di versare alcuna lacrima davanti a lei, diceva che sarebbe crollata. Durante le visite Chris le stringeva la mano mano per tutto il tempo, la riempiva di baci e le raccontava delle sue lezioni di ballo. Sorrideva, lo faceva solo per lei; perché quando tornava a casa si lasciava andare. Ogni notte lo sentivo piangere ed era un colpo al cuore. Avrei tanto voluto prendermi il suo dolore.
Portai in camera mio fratello, mentre mio padre come ogni sera, andò in qualché bar per ubriacarsi e provare a dimenticare, ma semplicemente situazioni come queste non possono essere cancellate. Se mio padre usava l'alcool come rimedio, io avevo la boxe. Quella sera non mi curai nemmeno di indossare i guantoni, cominciai a colpire senza sosta, mentre le nocche sanguinavano, sporcando sempre di più il sacco di rosso. Ero esausto, ma se mi fossi fermato, i miei pensieri sarebbero tornati a lei e alla paura di non poter più sentire la sua voce. Smisi di combattere e di farmi male, non potevo continuare così. Medicai le ferite e scesi in cucina per un bicchiere di acqua, ma proprio in quel momento vidi mio padre entrare, con gli occhi rossi e l'odore di alcool, che mi dava la nausea. Cercai di evitarlo, ma come sempre le sue parole violente dure, cattive, piene di rabbia mi aggredirono ancora. Mi incolpó di tutto, ormai ci avevo fatto l'abitudine. Mi disse che ero un disastro, anzi mi urlò che ero un mostro, che avevo rovinato tutto, che ero egoista, un bastardo, uno stronzo. Ero la causa della sua rovina. Rimasi in silenzio davanti alle sue parole e questo lo fece incazzare ancora di più. Cosi tanto che le sue mani mi colpirono incessantemente. Potevo difendermi, ma non lo feci. Forse ero davvero io la causa di tutto, ho mantenuto quel maledetto segreto, potevo cambiare le  cose. Però non ho fatto niente, sono rimasto a vedere le donne entrare e uscire di casa, sono rimasto a sentire le loro urla di piacere. Mi odiavo, odiavo tutta quella situazione, ma resistevo per Chris, solo per lui. Il mio corpo era pieno di lividi e quando tutti dormivano, mi chiudevo in bagno per una doccia fredda, come la mia anima. L'acqua scorreva lenta, mentre io, lasciavo che le mie lacrime si confondessero con essa.

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