Prologo

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Osservai il mio riflesso pulito allo specchio.
<< Mi mancherai, Arinda cara >> mi disse con voce flebile mia madre.
<< Anche tu, mamma >>.
<< Non starò via per più di una settimana, tornerò per i tuoi diciotto anni. Promesso. >> Finì di legarmi i capelli mossi in una coda alta, per poi andare a prendere la sua valigia.
<< Mi raccomando, non aprire a nessuno e non avvicinarti al... >>.
<< Al labirinto segreto, lo so >>.
Lei mi sorrise.
<< Sai che lo dico solo per il tuo bene >>.
Sospirai in risposta.
<< A presto, tesoro >>.
La abbracciai.
Rimanemmo così per diversi minuti, ma a me sembrò un attimo.
Non volevo che se ne andasse.
<< Ti voglio bene, mamma >>.
Mi lasciò un delicato bacio sulla fronte, poi afferrò la maniglia della porta di casa e la aprì, uscendo senza più voltarsi indietro.
Non sapendo cosa fare, scelsi di disegnare qualche figurino.
Amavo la moda e anche se non ero ricca, mi sarebbe piaciuto avere i più pregiati tessuti con cui creare abiti d'alta nobiltà.
Afferrai il mio quaderno e l'astuccio con apposite matite, gomme e colori vari.
Poi presi le cuffiette e feci partire la playlist su YouTube.
La musica stimolava la mia vena creativa.
Così partii da uno schizzo, e mano mano lo feci assomigliare sempre più a una donna alta e magra.
A una modella.
Avevo sentito dire che nei figurini si tende a riportare le proprie caratteristiche fisiche, alterando quelle ideali.
Eppure io non mi vedevo né alta, né slanciata.
Una volta soddisfatta dalla modella, decisi di disegnare una collezione invernale.
Amavo l'inverno, i suoi colori freddi e distaccati, ma anche l'armonia dei contrasti.
Quelli li amavo ancora di più.
I poli opposti che si attraggono.
Che si completano.
La vivacità del fuoco in contrapposizione alla tranquillità dell'acqua.
Li amavo perché in parte mi descrivevano.
Finii col disegnare un vestito lungo, che cadeva morbido.
La seta sarebbe stata perfetta per rappresentarlo.
Ero indecisa sui colori esatti, sulle sfumature, quando qualcosa catturò la mia attenzione.
Alzai lo sguardo al suono dei cinguettii degli uccelli, alla vista di una luce sfolgorante.
Strano, da me non era primavera, bensì autunno.
Incuriosita poggiai il quaderno su una sedia e mi diressi alla finestra.
La luce proveniva dalla mia destra e andava a finire dritta a sinistra.
Dalla mia posizione non riuscivo a capire bene dove, perciò uscii di casa e seguii quella luce, come ammaliata.
Dentro di me riecheggiava la voce di mia madre, che mi ricordava di stare attenta.
Di solito la ascoltavo sempre.
Ma tanto ero sicura di saper badare a me stessa, inoltre non mi sarei allontanata troppo e avevo le chiavi di casa con me.
Gli uccellini sembravano venirmi dietro, mi sentivo come la principessa di una fiaba.
Mi guardai intorno: non c'era nessuno ad osservarmi, a giudicarmi.
Iniziai a cantare, ormai seguendo la canzone delle mie cuffie ancora attive.
Era tutto perfetto, almeno finché non vidi che la luce proseguiva all'interno di un giardino.
All'interno di quel giardino.
Di colpo indietreggiai.
Non potevo andare lì.
Mi era sempre stato proibito.
Fin da bambina.
Non avrei mai dimenticato il momento in cui vidi per la prima volta quel giardino.
Volevo entrarci, giocare.
Ma mia madre non me lo lasciò fare.
Con questo pensiero in mente mi voltai e feci retromarcia verso casa.
Rientrai dentro e ripresi il mio quaderno.
Tentai di continuare il figurino.
Eppure nessun colore si addiceva al mio stato d'animo attuale.
Mi sentivo privata di un qualcosa.
Mi ero sempre sentita così.
So che era da immatura pensarlo, ma sembrava che mia madre volesse privarmi di un qualcosa di bello.
Ovviamente non era così, me lo aveva spiegato.
Mi aveva spiegato più volte che qualsiasi persona, adulta o bambina, in quel labirinto non poteva entrarci.
Perché una volta dentro, non si trovava più una via di uscita per quante strade c'erano.
Decisi di calmare, perciò, il nervosismo e di prepararmi qualcosa per cena.
Ma nonostante facessi di tutto per distrarmi, il ricordo di quella luce così luminosa, così... Poco naturale, mi tornava alla mente in continuazione.
Avrei dovuto dimenticarmela però, e al più presto pure.
Perché da quel labirinto, nessuno che sia entrato, ne era mai uscito.

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