Capitolo quindici - Decisioni

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La sabbia dietro di lui continuava a muoversi incessante, leggera ma troppo fitta per permettergli di tornare indietro. Ug'bcur non riuscì a trattenersi dal lanciarle uno sguardo quando la sentì chiudersi dietro di sé, ma se ne pentì.

Per un istante pensò di tornare indietro, provare a sfidare quella barriera e raggiungere la sua gente. Ma se anche la sabbia non lo avesse soffocato, sarebbe rimasta la magia. Quella magia malefica che avrebbe portato alla loro fine definitiva.

E lui lo aveva permesso.

Gridò di rabbia, incurante di poter essere udito. Non era riuscito a fare nulla, ancora una volta. E ora aveva fallito del tutto.

Presto la bestia li avrebbe completamente divorati dall'interno.

Se non gli avesse mai permesso di insinuarsi tra loro, la loro vita sarebbe ancora stata sicura. E invece ora erano assediati, pronti a essere umiliati e distrutti una seconda volta.

Aveva dovuto guardare i mostri che avevano popolato i suoi incubi durante l'infanzia materializzarsi in quello che avrebbe dovuto essere il loro rifugio sicuro. Aveva dovuto vedere Hai'shrir, Aj'eor e Sie'nskem cadere in una battaglia che non avrebbero mai dovuto combattere.

Aveva dovuto restare inerme ad assistere mentre Nir'mjatt moriva, sacrificato a una guerra che non sarebbe dovuta scoppiare.

Trattenne a stento le lacrime ricordando l'amico. Il suo sorriso, la sua voce, tutte le volte che avevano cacciato insieme. Ogni cosa cancellata per colpa di un traditore che lui aveva riconosciuto troppo tardi.

E non era nemmeno stato in grado di vendicarlo.

Ora tutto ciò che restava degli orchi sarebbe stato spazzato via, ed era tutta colpa sua.

Batté le palpebre per scacciare le lacrime che si erano formate, contro la sua volontà, nei suoi occhi, e fu accecato dalla luce viola troppo vicina. Digrignò i denti. I loro nemici erano quasi riusciti a impadronirsi dell'oasi. Non sarebbero nemmeno dovuti essere lì.

Forse lo avevano visto o sentito. Non gli importava. Che venissero pure.

Sarebbe morto, ma forse ne avrebbe portato qualcuno con sé. Anche disarmato, era consapevole di essere più forte di loro. Se non fossero stati così codardi da ricorrere ogni volta alla magia, avrebbe vinto di certo. Ma aveva accettato la fine. Aveva fallito. Che motivo aveva di vivere ancora?

Drizzò le spalle e si preparò ad andare loro incontro, ma si fermò. Aveva un'idea migliore.

Era folle, ma anche se non avesse funzionato, non aveva più nulla da perdere.

Riprese ad avvicinarsi, cautamente. Come aveva immaginato, tre kamryn controllavano la barriera. Si mosse troppo in fretta perché loro potessero accorgersi di lui.

Un sibilo sorpreso fu ciò che ottenne quando finalmente lo videro. La luce iniziò a percorrere le loro lance, ma li aveva colti di sorpresa, e non si mossero abbastanza in fretta. Alzò le mani. "Sono disarmato." pronunciò a fatica. Aveva imparato poco il kurjt. Kehn'eb aveva voluto che il traditore lo insegnasse loro il più possibile, quando ancora non sapeva abbastanza della loro lingua da poter comunicare. Ognuno dei suoni che uscì dalla sua lingua gli parve odioso, ma era l'unico modo. "Sono qui per parlare."

Quello che doveva essere il più giovane dei tre ringhiò e sembrò sul punto di colpirlo, ma un altro gli poggiò una mano sul polso, sussurrando qualcosa. "Di cosa? Avete scelto di arrendervi?"

Ug'bcur sogghignò nel vederlo tendere i muscoli e indietreggiò. "Vi conviene ascoltarmi. Non penso che uccidermi mentre sono disarmato vi faccia onore. E se provate a tenermi prigioniero, potrei vedermi costretto a rivelare ai vostri alleati un vostro piccolo segreto."

Il leopardo e la panteraDove le storie prendono vita. Scoprilo ora