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KAIROS:
Kairos nell'antica Grecia significava "momento giusto o opportuno" o "momento supremo".
Il tempo per gli antichi greci poteva essere espresso da due parole: χρονος (chronos) e καιρος (kairos). Chronos si riferisce al tempo cronologico e sequenziale ed ha una caratteristica quantitativa, mentre Kairos è qualitativo e significa "un tempo nel mezzo", un momento di un periodo di tempo indeterminato nel quale accade qualcosa di speciale per chi utilizza questa parola.



I

Un piccolo pettirosso era appollaiato a un ramo di ciliegio e la sua esile voce melodiosa accarezzava l'aria frizzante del primo mattino, decorata dalle macchie rosate dei fiori e intrisa del loro profumo dolce.
Sotto a quello stesso ciliegio era accasciata una sagoma ricoperta da un lungo mantello nero. Respirava lentamente, gli occhi celesti che si sforzavano di mettere a fuoco l'ambiente attorno a sé. La vista andava e veniva, concedendogli di vedere solo brevi frammenti di ciò che lo circondava. Davanti a lui, la via in cui erano caduti i suoi migliori guerrieri, la via che lui stesso aveva percorso falciando un nemico dopo l'altro senza lasciarsi andare alla disperazione, senza permettersi di deconcentrarsi anche per un solo secondo mentre volteggiava tra gli orchi ferendo e decapitando tutti quelli che le sue lame riuscivano a raggiungere. Nonostante ciò, e nonostante con lui combattessero le sue guardie personali, per ogni mostro che cadeva ne arrivavano altri due. Ne erano arrivati a dozzine, finché si era ritrovato da solo, con il corpo macchiato di sangue e il volto ferito, le forze che cedevano mentre la flebile speranza che ancora provava cominciava a spegnersi.
Thranduil aveva combattuto finché aveva avuto ossigeno nei polmoni, finché le gambe lo avevano retto in piedi e il suo braccio aveva avuto la forza di sollevare la spada assetata di sangue.
E i suoi sforzi erano stati premiati: era riuscito ad abbattere anche l'ultimo orco, l'ultimo di una lunga scia di corpi ammassati e di pozze di sangue che avevano sporcato il terreno di nero.
Il re degli elfi si era girato, solo per scorgere i suoi fedeli guerrieri immobili nel loro letto di morte tra quei mostri maledetti. Uno dopo l'altro, non avevano potuto far altro che soccombere, proteggendo il loro re con l'ultima scintilla di vita.
Thranduil non era riuscito ad andare lontano. Aveva fatto qualche passo, trascinandosi in avanti mentre si aggrappava ai tronchi degli alberi, ascoltando i sussurri del vento tra le foglie mentre il sangue colava e gli macchiava il tessuto pregiato dei pantaloni e della casacca, finché l'argento originario del tessuto non era stato più visibile.
Alla fine si era accasciato contro un tronco, respirando affannosamente per lo sforzo, mentre il suo cuore batteva forte e la sua mano premeva sulla ferita al ventre per cercare di fermare il sangue.
Ed era ancora lì, che si trovava. Aveva perso conoscenza più volte, mentre si sforzava di lottare contro il freddo che gli invadeva il corpo, che non ne voleva sapere di lasciarlo andare, perché lui non poteva ancora morire, doveva vivere.
Era lì, che si trovava, con il volto macchiato di sangue e il sopracciglio spaccato da un graffio a guardare i fiori armoniosi sopra di sé, mentre le immagini perdevano nitidezza ogni pochi secondi. Un refolo di vento gli accarezzò la guancia, dopo un minuto, o forse era già passata un'ora. Era comunque un'eternità quella in cui era sprofondato, un'eternità in cui era in bilico e non riusciva né a trarsi dalla parte della vita né ad abbandonarsi all'abbraccio della morte.
Sentì un lieve profumo di gelsomino e vaniglia, portato dal vento, e aggrottò la fronte, con un respiro spezzato. Stava sognando o era vera, la figura che scivolava verso di lui, annebbiata dal velo sui suoi occhi?
Ebbe la conferma che era vera, era vera e si stava inginocchiando davanti a lui, mormorando parole rapide e intrise di preoccupazione. Le sue orecchie erano diventate insensibili, o forse lo erano diventate fin troppo, sensibili, mentre sentiva le parole rimbombare nella sua mente con fitte dolorose. C'era qualcosa che non andava.
La sua vista si schiarì, e riuscì a vedere un volto umano davanti a lui, dai grandi occhi verdi che lo fissavano preoccupati. Le labbra dell'umana si mossero veloci, di nuovo, ma di nuovo Thranduil non riuscì a comprendere cosa stesse dicendo e fece una smorfia mentre un fischio copriva ogni rumore, tranne quello del suo cuore che batteva sempre più lento.
Sentì le palpebre farsi sempre più pesanti, e appoggiò la nuca al tronco ruvido dietro di sé.
No, lesse sulle labbra dell'umana. Non addormentarti.
La vide estrarre qualcosa da sotto al mantello grigio, una fiala dal contenuto azzurrognolo. La avvicinò alle sue labbra, afferrandogli il mento per socchiudere la sua bocca. Versò un sorso del liquido, il sapore dolciastro si mischiò a quello acre del sangue. Thranduil fece in tempo a mandare giù, poi gli abissi calarono su di lui.

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