II

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Quella notte Thranduil non dormì. Ovviamente non nel senso del sonno umano, ma non sprofondò nemmeno nel dormiveglia che cullava le notti degli elfi. Rimase sveglio, a fissare il soffitto e le forme della camera per lui perfettamente visibili alla fioca luce della luna che rischiarava appena la stanza. Pensava a molte cose.
Pensava a suo figlio, prima di tutti. Suo figlio che aveva sognato in pericolo. Sperava davvero che fosse stato solo un brutto incubo partorito dalla sua mente, e sperava che fosse arrivato sano e salvo là dove la sua ricerca l'aveva portato. Sperava che avesse trovato il figlio di Arathorn, e che avesse potuto quietare l'angoscia e la rabbia che aveva visto oscurare quegli occhi così simili ai suoi nel doloroso momento in cui aveva dovuto lasciarlo andare.
Pensava al suo regno, ai suoi sudditi. Pensava ai soldati che avrebbe dovuto raggiungere, e che l'avevano aspettato invano. Era certo che i suoi generali fossero più che capaci di mantenere il sangue freddo -anche perché non li avrebbe scelti, se non fosse stato così- ma la sua scomparsa poteva essere nascosta solo per breve tempo, prima che il panico dilagasse e che fosse dato per morto. Doveva tornare in piedi e raggiungerli, il prima possibile.
Pensava ai valorosi guerrieri che avevano dato la vita per lui. Pensava a loro e ai loro cari, che non li avrebbero più visti tornare. Pensava a come fossero stati coraggiosi e avessero guardato la morte in faccia, fino all'ultimo secondo, rinunciando alle loro preziose vite per il loro re.
Pensava alla guerra che si stava avvicinando. Quella stessa guerra che si era rifiutato di riconoscere, e che non appena l'aveva fatto non gli aveva nemmeno dato il tempo per schierare le sue truppe prima di metterlo fuori gioco in un crudele scherzo del destino.
Pensava a se stesso, a come avrebbe fatto a condurre un esercito contro gli orchi, in quelle condizioni. Senza l'udito, avrebbe dovuto affidare il comando in campo ad altri. E come avrebbe fatto ad ascoltare i rapporti, i pareri, i consigli? Per iscritto? Non era una soluzione adatta, non era un metodo abbastanza rapido che potesse garantire la vittoria in battaglia. Il tempo lì era prezioso, ogni momento contava. Erano molti i pensieri che lo tennero occupato quella notte, con l'unica compagnia del dolore, nel buio screziato di raggi lunari.
Accolse con sollievo l'arrivo dell'alba. Osservò le ombre muoversi, la luce diventare di una calda sfumatura dorata, e fu lieto che il tempo delle tenebre fosse finalmente finito. Aspettò poco, prima che la porta si aprisse e la figura ormai familiare si appoggiasse allo stipite della porta con le braccia incrociate.
- Ve la sentite di alzarvi?
Thranduil annuì e lei sciolse le braccia. Si girò per afferrare qualcosa e quando si voltò verso di lui l'elfo vide che aveva in mano una camicia. Si avvicinò per porgergliela e senza dire niente se ne andò, socchiudendo la porta dietro di sé per lasciargli la dovuta intimità.
Il re degli elfi si mise seduto e lentamente riuscì a vestirsi, nonostante i muscoli tirassero. Indossava ancora i pantaloni macchiati di sangue, ma immaginava che non fosse facile procurarsi vestiti della sua taglia per una donna che viveva probabilmente sola e isolata.
Si alzò, e un giramento di testa lo colse di sorpresa. Barcollò, ma riuscì a riacquistare l'equilibrio prima di cadere e rimase immobile qualche istante, con i capelli che gli erano scivolati davanti al volto. Sentiva l'urgente bisogno di lavarsi.
Raccolse i capelli in una treccia rapida, prima di avvicinarsi alla porta e spingerla lentamente in avanti. Davanti a lui si prospettò una piccola stanza tonda, in cui il disordine era impressionante. Il soffitto era basso, numerosi libri e pergamene erano stati grossolanamente raccolti e accatastati sulle mensole alle pareti, per altro ingombre già di barattoli colorati e piantine in vasi di terracotta. Al centro della stanza un tavolo tondo, attorniato da sedie e sgabelli tutti diversi; una poltrona era sistemata davanti al caminetto, oltre che dei cuscini, e accanto il piano e le credenze per cucinare.
La donna si stava affaccendando lì, e senza rivolgergli nemmeno un'occhiata posò un cestino pieno di biscotti, frutta e focaccine sul tavolo, assieme a una brocca di latte e una di tè.
- Avete intenzione di rimanere lì in eterno?
Doveva ancora abituarsi al modo in cui la sua percezione era sfasata. Il silenzio era stranissimo, e le parole che aveva letto erano formulate con la sua, di voce, che gli rimbombava nella mente con un cupo eco.
Si avvicinò, mentre Asinna si accomodava su una delle sedie. Thranduil scelse uno sgabello sbeccato, salvo poi rendersi conto che una delle tre gambe non era molto stabile e traballava. Nonostante quello, rimase seduto lì, la schiena dritta come un fuso e il suo solito contegno altero.
La donna versò due bicchieri di latte, ne spinse uno verso di lui con la mano e bevve un sorso dal proprio, fissandolo negli occhi. Solo quando ebbe mandato giù Thranduil fece lo stesso, stringendo con le dita affusolate la terracotta nera.
- Mangiate.
Lui continuò a fissarla, le iridi nuvolose puntate sul suo viso come un gatto intento a studiare una preda. Lei alzò gli occhi al cielo e afferrò una focaccina, mordendone un angolo.
- Contento?
In risposta, lui afferrò un acino d'uva dalla bacinella e se lo rigirò tra le dita, osservando controluce la pelle violacea del frutto. Se lo portò alle labbra e lo mordicchiò piano, assaporando il gusto dolce della polpa quando si ruppe sotto ai suoi denti.
La donna schioccò le dita, col braccio proteso verso di lui. Thranduil tornò a fissarla, irritato. Non gli piaceva il modo in cui lo richiamava, non era un animale domestico.
- Come vi chiamate?
Un sorriso obliquo illuminò le labbra del sovrano.
- Questo non ve lo dirò - disse. La mancanza di suoni lo fece rabbrividire. A quel punto, non era più nemmeno sicuro di articolare i suoi correttamente, o di dar loro voce. Ma dal volto di lei, la frase doveva essere stata piuttosto chiara.
- D'accordo, tenetevi pure i vostri segreti.
Mangiarono in silenzio. Per quanto l'elfo desiderasse mangiare qualcosa di solido, non era sicuro che il suo stomaco avrebbe retto, perciò si limitò a spiluccare la frutta. Osservò la donna, nel frattempo, conscio che quel suo guardarla costante la metteva a disagio. Era visibile, da come lei evitava il suo sguardo a come il rossore si propagava lungo tutto il collo. Quando fu sazio, lui spinse impercettibilmente verso di lei la ciotola e la donna sospirò, come se un peso le si fosse levato dalle spalle.
- Bene. Vi laverete nel ruscello dietro casa. State attento a non scivolare e a non farvi male, siete troppo pesante perché io riesca a recuperarvi se cadete.
Un lampo di indignazione fulminò l'elfo, inchiodandolo allo sgabello.
Ha appena detto che sono grasso?
Fu un pensiero infantile, se ne rese subito conto, ma questa consapevolezza non gli tolse l'irritazione di dosso. Il re degli elfi si alzò, mentre lei gli passava accanto, facendola sobbalzare suo malgrado mentre la sua figura imponente si elevava sopra di lei, bassissima a confronto. La donna sostenne il suo sguardo, un'espressione decisa nonostante tutto.
- Ce la fate a camminare o dovete appoggiarvi a me?
Con le labbra increspate in un sorrisino, Thranduil accettò la provocazione. Si volse e con lunghe falcate raggiunse la porta della casa, facendole cenno di uscire per prima. Lei spinse la porta verso l'esterno, e non appena uscì all'aria aperta il re degli elfi fu costretto a socchiudere gli occhi per la luce intensa. Non appena riuscì a guardare senza problemi diede un'occhiata al panorama dipinto davanti ai suoi occhi, e rimase senza fiato. Suo malgrado, dovette ammettere che era meraviglioso.
Si trovavano sul pendio di una montagna, circondati dalle folte chiome di alberi che macchiavano di verde il fianco roccioso. Sotto di loro poteva vedere un lontano villaggio degli uomini, poco distante dal corso di un fiume scintillante che scendeva dalla montagna, tra curve e sbalzi di altitudine, fino ad allungarsi nella pianura sottostante, nascosto da piccole colline e grappoli di case appena percepibili persino per i suoi occhi di elfo. Oltre, il manto uniforme della foresta. Il re cercò di orientarsi, ma non avrebbe saputo dire dove si trovava con esattezza. Probabilmente era lontano dalla strada che stava percorrendo solo pochi giorni prima per dirigersi verso sud, e non riusciva a individuarla nemmeno tra gli alberi in lontananza.
Si voltò verso l'umana e la trovò appoggiata alla parete, con le braccia incrociate. Chinò la testa, nascondendo il turbamento che lo aveva colto. Dove era finito?
Lei scomparve dietro l'angolo e fu costretto a seguirla. Il sovrano faticò a mantenere il volto impassibile, quando si ritrovò davanti a un tappeto di fiori sgargianti. Nontiscordardime, primule e bucaneve coloravano di allegre macchie l'erba brillante, e poco più lontano scorse il nastro di un ruscello, le cui acque scorrevano placide e cristalline.
La donna gli indicò le acque, porgendogli un telo candido.
- Io rimarrò qui dietro l'angolo. Se avete bisogno, chiamatemi.
Il re degli elfi annuì e aspettò che lei sparisse prima di inginocchiarsi ad osservare i morbidi petali di un bucaneve. Sorrise, con amarezza. Quel posto sarebbe tanto piaciuto a Legolas.
Si spogliò con gesti lenti, una volta avvicinatosi al ruscello. La riva era irta di sassi e ciottoli, rendendo facile scivolare. Lasciò cadere la camicia e i pantaloni sull'erba appena prima della sponda, godendosi la sensazione dell'aria frizzante sulla pelle nuda, e si immerse lentamente, lasciando che il freddo lambisse il suo corpo. Il letto del ruscello non era profondo, l'acqua gli arrivava al petto quando si avvicinò al centro. Per prima cosa lavò i pantaloni, cercando di togliere il sangue secco che li incrostava, e solo dopo lunghi minuti riuscì a farne sparire il grosso. Si chiese come potevano le donne umane lavare per ore montagne di vestiti, come aveva spesso visto fare quelle poche volte che era passato per i villaggi umani. Dopo li stese ad asciugare al sole.
L'elfo si lasciò cullare dalla carezza placida della corrente, immergendosi e scuotendo la testa sott'acqua per sciogliere i capelli dalla treccia in cui li aveva legati. Fili dorati formarono una corona attorno alla sua testa.
Riemerse e alzò lo sguardo verso il cielo, di un azzurro incredibile, solcato da pochi squarci di bianco. Sarebbe stata una giornata perfetta per passeggiare nei giardini del suo palazzo, se solo fosse stato a casa. Chiuse gli occhi e lasciò che l'acqua lo sollevasse, galleggiando per lunghi minuti, finché non gli venne la pelle d'oca.
Solo allora riprese possesso del suo corpo e si avvicinò alla riva, rendendosi conto che era stato trasportato molti passi più in là rispetto a dove aveva lasciato i vestiti. Fece una smorfia quando, avvolgendosi nel telo che Asinna gli aveva dato per asciugarsi, la stoffa gli graffiò la pelle. Altro che le morbide sete con cui si vestiva ogni giorno.
Indossò i pantaloni ancora umidi, strizzò i capelli e indossò anche la camicia. Si sentiva una persona nuova. Avrebbe tanto voluto sedersi in mezzo al prato e respirare l'aria fresca, beando i suoi occhi dei colori primaverili, ma doveva carpire delle informazioni essenziali alla donna.
Quando svoltò l'angolo, la trovò intenta a leggere un libro dalla copertina nera, seduta su una sedia a dondolo. Alzò gli occhi verdi verso di lui, con un sussulto, quando le si parò davanti. Non si era accorta dei suoi passi leggeri, e il re sogghignò. Anche se era sordo, non aveva perso la sua discrezione.
Si sedette su una delle sedie, su un cuscino viola, e allungò le gambe, incrociando le dita sul grembo. Lei chiuse di scatto il libro e si portò una mano al collo, massaggiandolo. Un ricciolo le sfuggì davanti agli occhi, rilucendo di sfumature ramate sotto alla luce del sole.
- Dove mi trovo?
Asinna alzò un sopracciglio.
- Ancora non l'avete indovinato?
Thranduil rimase in silenzio, fissandola con le iridi piene di astio. Non gradiva che qualcuno si prendesse gioco di lui, tantomeno che lo facesse sentire stupido.
- Sulle montagne di Bosco Atro.
Asinna vide l'elfo sgranare involontariamente gli occhi, perdendo il controllo del suo volto. Per un attimo la sorpresa trapelò dai suoi lineamenti, poi riprese il contegno impassibile.
- Come posso essere arrivato fino alle montagne se ero a metà strada, nel folto della foresta?
Lei si strinse nelle spalle.
- Casa mia era qui. Ve l'ho detto che siete rimasto incosciente per tre giorni.
- Come siete riuscita a portarmi fin qui, donna? - esclamò lui, irato.
Un lampo di rabbia attraversò il volto paffuto dell'umana, che si alzò di scatto, lasciando cadere a terra il libro.
- Non permettetevi di mancarmi di rispetto! Vi ho salvato la vita, vi ho curato, vi ho dato da mangiare. Il minimo che possiate fare è essere educato. Pensavo che gli elfi fossero cortesi, non bifolchi anche più della mia razza. Non ho nemmeno preteso di sapere il vostro nome. Io ripenserei al mio comportamento, fossi in voi, e parlerei in un altro modo - disse indignata.
Thranduil rimase in silenzio, bollendo di rabbia. Nonostante non avesse potuto sentire le sue parole e il loro tono, era sicuro di aver tirato troppo la corda. Si lasciò ricadere contro lo schienale della sedia, cercando di trattenersi dal risponderle a tono. Era ovvio, lei non sapeva che fosse un re, anzi il re del regno in cui viveva. Altrimenti non gli avrebbe parlato a quel modo, non si sarebbe nemmeno azzardata a guardarlo in faccia.
Ma Thranduil non poteva rivelare questa informazione. Doveva fare buon viso a cattivo gioco e conquistarsi le sue simpatie, per riuscire a raccogliere quante più informazioni possibili.
- Non volevo essere maleducato, ma non comprendo come voi abbiate potuto portarmi così lontano da sola e a piedi.
Lei gli scoccò un'altra occhiata indispettita, indecisa se rispondergli o meno. Ora anche il suo petto era diventato rosso. La facilità con cui la sua pelle potesse cambiare colore lo impressionava. Lentamente, Asinna si sedette e si chinò a raccogliere il libro.
- Non ho mai detto che ero sola ed ero a piedi.
Aprì il libro e tornò a leggere. Thranduil aspettò. All'inizio con impazienza, poi, man mano che i minuti scorrevano, si perse a guardare il sole che saliva nell'orizzonte. Osservò il volo di un paio di cinciallegre, che andarono a posarsi su un ramo poco lontano dal margine della radura. Osservò come la luce filtrava tra le foglie, e come le anse del fiume scomparissero sotto di loro, e le case dai tetti di paglia e legno che vedeva in lontananza, chiedendosi da quando ci fosse un villaggio lì, e perché non ne fosse a conoscenza.
Quando il sole fu alto all'orizzonte la donna chiuse di scatto il libro. Il re degli elfi riportò lo sguardo su di lei, vedendo che era più rilassata.
- Ero in viaggio con altre persone. Vi abbiamo trovato su quella strada, e vi abbiamo portato via, fino a qui, su un carro. Ci abbiamo messo due giorni e mezzo, siete rimasto addormentato tutto il tempo.
- Come è possibile che non siate stati attaccati? Se non da orchi, da ragni almeno.
Asinna si strinse nelle spalle. - Fortuna.
Era ben poco credibile, ma scelse di non indagare. Non voleva che cambiasse umore e si rifiutasse di parlargli.
- Tra quanto potrò andarmene?
Lei inarcò un sopracciglio, con una smorfia sorpresa.
- Non meno di una settimana.
- No. È troppo.
- Non faccio miracoli. Siete ferito, solo e disarmato. Se proverete ad andarvene prima farete una brutta fine. A voi la scelta.
Thranduil strinse i denti, afferrando il bracciolo della sedia con le dita e stringendolo con forza. Non aveva alternative, ma non gli piaceva. Abbassando lo sguardo, guardò le gambe fasciate dalla stoffa argentea. La maggior parte del sangue era andata via, ma restava ancora una macchia.
La donna schioccò le dita nella sua direzione, attirando il suo sguardo cristallino.
- Oggi pomeriggio mi dovrò recare giù al villaggio per prendere viveri e medicine. Farò in modo di procurarmi dei vestiti per voi, ma mi serviranno quei pantaloni o rischierò di sbagliare la misura.
- Non ho intenzione di rimanere nudo - disse lentamente Thranduil.
Con suo dispetto, lei sorrise, mostrando i denti bianchi e uno scintillio delle iridi verdi.
- Vi coprirete con una coperta.
Non era un'idea che gli garbava, ma di sicuro non avrebbe voluto nemmeno rimanere giorni interi con indosso quei pantaloni macchiati di sangue. Gli dispiaceva profondamente buttarli, erano stati tra i suoi preferiti, soprattutto per la qualità della stoffa e il colore perfetto che si intonava ai suoi occhi. Ma non disse niente, sospirando soltanto. Come gli mancavano le comodità del suo palazzo.
La donna si alzò, posando il libro sul tavolo.
- Dato che siete sveglio e attivo, lavatevi le mani. Faremo delle torte salate e del pane, e mi aiuterete.
Il re degli elfi le lanciò un'occhiata obliqua, inarcando un sopracciglio, trattenendo una smorfia al fastidio provocato dal graffio.
- O preferite non pranzare?
Mordendosi il labbro, Thranduil si alzò e la seguì dentro casa dopo qualche secondo. Il suo stomaco era stretto in una morsa. Non mangiare non era una possibilità che contemplava volentieri, suo malgrado.
Donna maledetta. Mi fa anche lavorare.

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