L'elfo di guardia era terribilmente annoiato. Stringendo in mano la lancia, in piedi da un paio d'ore, era consapevole che avrebbe dovuto fare attenzione al ponte e alle figure maestose degli alberi che celavano alla sua vista la vita della foresta, ma la sua mente vagava distratta. Avrebbe voluto che la fine del suo turno arrivasse rapida, così da poter sgusciare nelle cucine e farsi dare di nascosto da Indis uno dei biscotti di mandorle che le cuoche stavano finendo di preparare per la festa, che sarebbe iniziata di lì a poco. L'intero palazzo era preda di un fermento che non si era visto da anni. Finalmente la guerra stava andando per il verso giusto, gli Orchi stavano scappando verso Dol Goldur e presto sarebbero stati cacciati dal regno. Per i ragni ci sarebbe voluto più tempo, ma era un inizio, e il popolo era dell'umore giusto per festeggiare. Presto i canti sarebbero risuonati come dolci echi tra le pareti, accarezzando le orecchie degli elfi che si sarebbero lasciati andare a risa e vino. Per la prima volta da anni timori e paure non avrebbero appestato l'aria. Da quando il re aveva deciso di muoversi per la guerra e cacciare gli sporchi mostri che infestavano il bosco, tutte le creature che lo abitavano avevano cominciato ad uscire allo scoperto, a cantare; persino gli alberi sussurravano calde parole di antiche melodie. La vita stava tornando, e bisognava celebrare.
Non aiutava che il paesaggio davanti a lui fosse uguale al solito. Sentiva gli acuti cinguettii delle cinciallegre e dei pettirossi che facevano frullare le ali appollaiati tra le foglie, i fruscii delle frasche al suono del vento e dei piccoli conigli che correvano di qua e di là. I suoi pensieri andavano ai dolci occhi di Indis, le dolci labbra che sarebbero state sue quella sera.
Un movimento dietro alle grandi radici catturò la sua attenzione, riportandolo alla realtà. Strinse con forza l'asta, protendendola verso l'esterno, indietreggiando di un passo. Sentì un movimento leggiadro accanto a sé mentre il suo compagno ripeteva i suoi stessi movimenti con un istante di ritardo.
Almeno non sono l'unico distratto, si consolò.
- Chi è là? – esclamò con voce minacciosa.
Per un istante ebbe l'infausto presentimento che si sarebbe perso la festa, mentre una figura emergeva dal folto degli alberi. Poi realizzò che era una sagoma minuta, avvolta in un mantello nero, con il cappuccio a nascondere il volto, che non poteva costituire chissà quale problema per cui sarebbe stato punito. Trattenne un sospiro di sollievo e aggrottò la fronte.
- Ho detto chi è là – ripeté alzando la voce.
Osservò la figura incedere lentamente, esitante, lungo il ponte. Era molto più bassa di loro, e mentre si avvicinava l'elfo riuscì a scorgerne il mento, la linea della mascella che delineava due guance piene, le mani cosparse di lentiggini che stringevano nervose il bordo del mantello.
Si fermò a qualche passo da loro, mentre un pensiero improvviso fulminava l'elfo.
Come ha fatto ad arrivare fin qui?
- Non fate un altro passo – intimò.
La figura si arrestò al suono della sua voce. Un istante di silenzio calò, prima che sollevasse una mano tra loro, mentre le guardie reagivano all'istante puntando la punta delle lance alla sua gola.
Duilin sussultò quando il suo sguardo si posò sul palmo dell'intruso, e il suo compagno emise un'esclamazione sgomenta.
- Dove l'avete preso?
Sulla pelle pallida della mano, l'anello dalla gemma acquamarina del re.Thranduil si trovava nelle sue stanze quando sentì i passi lievi di Lindir raggiungere la porta nel corridoio. Era sdraiato sul grande letto, immerso tra i cuscini, e fissava con sguardo vacuo l'alto soffitto dell'antro, decorato da meravigliosi affreschi in oro che ripercorrevano le vicende del suo popolo.
Sospirò quando sentì due lievi tonfi sul legno, segno che l'elfo aveva bussato come suo solito.
- Avanti – disse, la voce annoiata, le iridi nebulose che scorrevano fino all'ingresso dove la figura di Lindir fece capolino.
Il suo volto non lasciò trapelare la sorpresa che lo colse nel vedere il suo re ancora sdraiato, con indosso solo i pantaloni, i capelli che lo circondavano come una corona d'oro bianco sulle coperte di velluto blu.
- Mio signore – si profuse in un inchino, mentre Thranduil si metteva seduto. Sul suo ventre si poteva distinguere la pallida cicatrice rosata che non era più scomparsa dalla sua pelle.
- Lindir.
Il sovrano si alzò con grazia, anche se tutto ciò che voleva era rimanere sdraiato e immobile a fissare le figure dorate e a crogiolarsi nella sua malinconia. Con un gesto, intimò al maggiordomo di seguirlo e scese gli scalini dell'alcova dove dormiva, entrando nel più ampio spazio dove erano ripiegati e appesi i ricchi vestiti che formavano file e file di indumenti.
Si fermò con impazienza all'ingresso della sala, percorrendo con lo sguardo le pareti affrescate e cercando di scegliere cosa indossare. Esitò, sentendo una stretta al cuore quando scorse la camicia bianca e i pantaloni neri con cui era tornato all'accampamento, poco più di un anno prima, appesi in fondo alla stanza, appena visibili in quanto coperti dagli altri tessuti infinitamente più preziosi. I suoi servitori avevano cercato di eliminarli, ma quando Thranduil se ne era reso conto si era infuriato e aveva punito i responsabili mandandoli a pulire le segrete per un mese, finché i pavimenti non avevano brillato. Da lì in poi, nessuno si era più azzardato nemmeno a pensare di gettare via quei rozzi vestiti umani.
Sospirò, mentre Lindir lo superava senza accorgersi della sua incertezza.
- Ricordate che ci saranno anche gli ambasciatori di Re Elrond, mio sire.
Thranduil alzò gli occhi al cielo, emettendo l'ennesimo sbuffo annoiato, riprendendo il controllo delle sue emozioni. Una parte del suo cuore ancora doleva, quando si soffermava a pensare agli eventi che lo avevano portato a cambiare così radicalmente, ma non poteva permettersi di indugiare adesso. Quelli che doveva vestire erano i panni dell'altero sovrano di Bosco Atro, non del sofferente innamorato.
Innamorato.
Era una parola che all'inizio aveva faticato ad accettare. Solo dopo lungo tempo era riuscito a prenderne possesso, a non negare la realtà. Perché la realtà era quella, perché per quanto breve fosse stato il tempo trascorso tra le montagne, era stato abbastanza per farlo innamorare di nuovo. Aveva cercato di camuffarlo, sotto forma di rabbia, di fastidio, di irritazione, ma era così. Se ne era accorto, e si era detestato per quello, perché non poteva essere possibile. Eppure lo era, e alla fine era riuscito ad accettare quel sentimento devastante e dolente che aveva intaccato lo specchio di ghiaccio che si era costruito attorno al cuore per non soffrire più, che l'aveva sciolto fino a fargli scoprire una parte di se stesso che aveva dimenticato da millenni.
Thranduil si riscosse dalle sue riflessioni quando Lindir gli si avvicinò, tenendo tra le braccia una preziosa veste di velluto ricamato con fili d'argento e un mantello di un rosso intenso. Li prese dalle braccia del suo servitore, osservando i disegni di fiori che si intrecciavano lungo il mantello, e sospirò.
- Va bene – mormorò.
Una punta di curiosità trapelava dai fini lineamenti di Lindir mentre guardava il sovrano infilarsi la veste e raccogliere i lunghi capelli biondi per poi lasciarli ricadere sulla schiena. Lo aiutò ad avvolgersi nel mantello e fece un passo indietro per ammirarlo.
Il re era maestoso e nobile, di una bellezza raffinata. Di sicuro tutti gli occhi sarebbero stati attirati dal suo incedere quando avrebbe fatto la sua apparizione nelle sale della festa. Ma c'era qualcosa di indecifrabile nel suo volto, una tristezza diffusa nei suoi lineamenti eleganti che il servitore non riusciva a spiegarsi. Da secoli serviva il suo re, da secoli conosceva i suoi gusti, da secoli sapeva interpretare ogni sua espressione e gesto, segretamente conosceva i modi con cui blandire la sua rabbia o suscitare il suo interesse. Ma fin da quando Thranduil era scomparso in seguito all'attacco subìto dagli orchi, per un periodo così breve che era però stato un incubo per tutti i suoi sudditi, qualcosa era cambiato.
Lindir però non riusciva a capire cosa.
- Siete pronto?
L'elfo annuì, risalendo gli scalini per poi soffermarsi davanti al grande specchio che ornava la parete della sua stanza. Il servitore lo raggiunse dopo qualche istante, con una sottile tiara d'argento tra le mani. Thranduil voltò il volto verso di lui e lasciò che la posasse sul suo capo, tornando a guardare il proprio incantevole riflesso. Esaminò i suoi occhi, quel grigio che riprendeva il colore dei ricchissimi tessuti che lo rivestivano, un grigio spento, privo di luce.
- È ora, immagino – sospirò.
I grandi antri erano stati addobbati a festa e splendevano alla luce delle lanterne pregiate. Piccoli gruppetti di elfi vestiti con i loro abiti più eleganti affollavano gli spazi, mentre il suono dolce di arpe e canti armoniosi riecheggiava nei soffitti a cupola scavati nella roccia decorata da pitture preziose. Vesti bianche, rosse, blu, verdi si muovevano e mescolavano, formando un turbinio di pennellate graziose mentre gli elfi si destreggiavano nelle danze e si muovevano leggiadri per raggiungere amici e sconosciuti e scambiarsi saluti e felicitazioni.
Quando era apparso, il vuoto accanto a lui lasciato dall'assenza di Legolas fin troppo evidente, gli occhi di tutti erano stati attirati dalla sua figura regale attorniata da un gruppo di elfi dalle più nobili discendenze. Guardie, servitori, semplici invitati si erano profusi in eleganti inchini mentre si faceva strada tra la folla, lo sguardo vacuo fisso davanti a sé e un'espressione impenetrabile sul volto. Il sovrano di Bosco Atro emanava un'aura feroce e terribile, che intimava di stare alla larga.
Fu solo uno l'incauto che osò avvicinarsi.
Mentre Thranduil camminava, rivolgendo freddi cenni di saluto attorno a sé, una piccola sagoma sgusciò tra la folla e si interpose sul suo cammino. L'elfo si arrestò, osservando sorpreso la piccola bambina che lo guardava ad occhi sgranati, le iridi di un intenso verde che gli ricordavano uno sguardo fin troppo familiare. Il re provò una stilettata al cuore, mentre la piccola, dai lunghi capelli neri e la bocca spalancata per la meraviglia, si avvicinava a lui tra i sussurri della folla, fino a che Thranduil non fu costretto ad abbassare completamente la testa per guardarla, un'espressione di dolcezza che intaccava appena il gelo dei suoi lineamenti.
La piccola allungò le braccia verso l'elfo e un mormorio sgomento percorse gli invitati.
Lei non batté ciglio e continuò a fissarlo, finché un'elfa trafelata riuscì a farsi spazio tra le persone che li attorniavano e li raggiunse, chinando il capo e profondendosi in scuse interminabili mentre si chinava per riprendere la figlia. Thranduil alzò una mano in un gesto imperioso per fermarla.
Si abbassò, lentamente, osservando il volto delicato e pieno di stupore davanti a lui, intento a fissare la sua tiara luccicante, i suoi occhi grigi, le vesti dagli intricati disegni pregiati.
Senza proferir parola, il re la afferrò per i fianchi e la sollevò, prendendola in braccio mentre un rumoroso brusio si sollevava dalla folla, e si accentuava quando la bambina osò allunga una mano per toccare sorridente i suoi capelli d'oro bianco, accarezzandoli, rapita dallo scintillio che sembravano emanare alle luci delle lanterne.
Thranduil sorrise, suo malgrado, una dolcezza sconosciuta che gli avvolgeva il cuore.
Infine, ho la risposta alla vostra domanda. Persino i bambini vogliono essere presi in braccio dal re.
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Kairos
FanfictionLa sua vista si schiarì, e riuscì a vedere un volto umano davanti a lui, dai grandi occhi verdi che lo fissavano preoccupati. Le labbra dell'umana si mossero veloci, di nuovo, ma di nuovo Thranduil non riuscì a comprendere cosa stesse dicendo e fece...