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Asinna era profondamente addormentata, quando Thranduil aprì silenziosamente la porta e si appoggiò allo stipite, osservandola per qualche secondo. Mancava qualche ora all'alba, il cielo era dello stesso colore dei mirtilli che aveva usato qualche giorno prima per decorare la torta, di cui una parte era ancora posata al centro del tavolo. 
La donna era girata verso di lui, i suoi lineamenti rilassati nel sonno profondo che la rendeva simile al soggetto di un quadro. Non l'aveva mai vista così indifesa e rilassata, se non quella stessa notte. I ricci erano sparsi disordinatamente attorno alla sua testa, alcuni pressati sotto alla sua guancia. La sua mano era nascosta dal cuscino, l'altro braccio abbandonato vicino al volto. Le coperte le arrivavano fino al bacino, lasciando intravedere i vestiti che si era rifiutata di togliere quando Thranduil l'aveva presa in braccio e deposta sul letto, sottraendola al gelo della notte. Gli aveva intrappolato il volto tra le mani e aveva cercato le sue labbra ancora e ancora, e l'elfo non era riuscito a sottrarsi a quella dolce tortura, sdraiandosi accanto a lei e prendendola tra le braccia, almeno finché i loro respiri si erano calmati e un'improvvisa tenerezza li aveva colti in trappola. Asinna aveva posato la testa sul suo petto e lì era rimasta, accarezzandogli con tocchi gentili il fianco, attenta a non toccare la ferita. Thranduil si era beato di quell'abbraccio e del profumo di gelsomino e vaniglia che aveva riappacificato i suoi sensi finché lei non si era addormentata, e dopo qualche ora si era costretto ad alzarsi e ad abbandonare quella calda culla. Se fosse rimasto sarebbe stato ancora più difficile andarsene. 

Ora la sua mente non era più annebbiata dal vino, e un'amara punta di rimorso gli opprimeva il petto mentre guardava la donna immobile davanti a lui, rendendosi conto che non si sarebbe mai pentito di quello che era successo, nonostante non ci fossero mai stati precedenti del genere nella storia degli elfi. Un compagno per l'eternità, era quello che Thranduil si era sempre ripetuto, anche dopo la morte di sua moglie. Il pensiero di poter anche solo trovare qualcun'altra lo aveva sempre disgustato. Aveva passato secoli a nutrirsi del ricordo di lei, del loro amore, della loro felicità, prima che tutto crollasse in pezzi, rendendolo indifferente a qualsiasi altra persona mentre avvelenava il proprio cuore con il costante dolore della consapevolezza che non avrebbe mai più riprovato quelle sensazioni.
Ma quel volto innocente e sgombro di preoccupazioni che ora ammirava davanti a sé lo invogliava ancora di più a rimanere, a rendersi conto di quanto si fosse sbagliato, ad abbandonarsi a quel calore e quell'affetto che gli era così mancato. Asinna non avrebbe mai potuto sostituirla, ma non era questo che Thranduil voleva. Nessuno avrebbe mai potuto sostituire la madre di Legolas. Ma Asinna era stata senza nemmeno saperlo la ventata d'aria che l'aveva portato a respirare di nuovo, a rivedere la luce dopo un'eterna notte, a imparare di nuovo a vivere. Gli aveva insegnato tante cose, soprattutto a bearsi dei piccoli momenti. Gli aveva insegnato a ritrovare la bellezza nelle persone, ad avere fiducia, a rimettersi in discussione. A ritrovare la tranquillità, la serenità, a lasciarsi andare.
E adesso era lei, quella che doveva lasciare andare.
Thranduil si avvicinò silenziosamente al letto. Si inginocchiò, imprimendo a fuoco l'immagine di quei lineamenti nella sua memoria, mentre qualcosa si rompeva nel suo petto, impedendogli di respirare. Si abbassò e baciò lentamente la sua fronte, inspirando per l'ultima volta il suo profumo.
Gli occhi brillanti di lacrime nascoste, si rialzò e uscì dalla stanza.
Nel sonno, Asinna si mosse inquieta.

Lo stallone galoppava veloce sul sentiero che l'uomo gli aveva indicato di seguire. Il fiato usciva in nuvole di vapore che si dissolvevano all'istante scontrandosi con il corpo dell'elfo, che scrutava attorno a sé, all'erta per percepire eventuali pericoli. Il silenzio era assordante, e l'inquietudine si mischiava all'amarezza che stava provando da quando si era allontanato dal villaggio. Aveva paura -sì, il sovrano aveva paura- di non riuscire ad anticipare attacchi di ragni o orchi, senza l'udito.
Il cielo si stava lentamente schiarendo. Ormai doveva essere abbastanza lontano dal villaggio, immerso nel folto della foresta. Persino le montagne erano state nascoste alla sua vista dalle chiome nere degli alberi.
Stava procedendo verso sud, sperando che le sue truppe non si fossero mosse rispetto al punto in cui gli era stato comunicato che si fossero fermate ad aspettarlo, prima dell'agguato. Avrebbe provato a seguirne le tracce, altrimenti, ma sperava di non dover arrivare fino a quel punto. Mentre galoppava, i capelli scossi dal vento, l'elfo rivedeva bagliori di ricordi appartenenti alla settimana prima, quando cavalcava senza sapere che di lì a poco sarebbe caduto in trappola. Durante quei giorni non avrebbe mai pensato di diventare sordo, di conoscere un'umana per cui avrebbe rinunciato alla solitudine che lo aveva accompagnato per millenni. L'idea gli sarebbe sembrata ridicola, e chiunque avesse avuto l'ardire di esprimerla sarebbe stato decapitato per affronto alla sua persona.
Thranduil sogghignò tra sé e sé -l'unico a potersi mettere sulla sua strada e a infrangere le sue certezze si rivelava inevitabilmente se stesso. Prima decidendo di intervenire nella guerra, ora con questo.
Il cavallo scartò spaventato e Thranduil tirò le redini rapido, mentre il suo cuore mancava un battito nel vedere la figura maestosa dell'alce apparire dal nulla sul sentiero. Lo stallone indietreggiò, mentre l'elfo fu paralizzato dal timore scorgendo gli occhi dello spirito della foresta. Erano neri. Bastò il suo sguardo a trasmettergli tutta l'urgenza che l'animale provava.
Maledizione.
Thranduil fermò il cavallo e smontò con un balzo, avvicinandosi alla creatura, che abbassò la testa sbuffando impaziente.
- Perché sei qui? – mormorò l'elfo, e l'alce gli porse il dorso con un verso di allarme.
Il sovrano di Bosco Atro gli saltò in groppa, lanciando uno sguardo al cavallo che lo fissava, ancora terrorizzato da quell'apparizione, il respiro affannoso e il corpo imponente che tremava. Ebbe appena il tempo di mormorare una breve frase in elfico, torna indietro, prima che l'alce si lanciasse in una corsa sfrenata, volando tra gli alberi e le radici, mentre davanti a lui i sassi e gli alberi sembravano spostarsi per liberargli il cammino.
Cosa sta succedendo?, pensò inquieto il re.

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