11 (PRIMA PARTE) ~ tell me about yourself.

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*Michael's pov*

Camminavo su e giù dalla stanza da circa due ore, torturandomi le dita con nervosismo. Mi chiesi più volte di cosa volesse parlarmi Luke, sembrava così convinto. Dalla mia reazione capii che tenevo veramente a lui; infatti prima di quelle sue parole per me era tutto semplice: andavo in camera sua e lo abbracciavo con tranquillità, gli sorridevo e me ne prendevo cura. Ma ora sembrava che volesse dirmi chiaramente qualcosa, qualcosa di importante. Luke aveva questa qualità, che forse era anche un difetto: quando parlava seriamente non capivi se era felice o triste, riusciva a nascondere ogni cosa dietro ad un velo, rimanendo inespressivo all'esterno; però, quando poi non ce la faceva più crollava, ed era peggio di mille temporali.
Per questo temevo per ciò che mi avrebbe detto.

D'un tratto mi infilai le converse nere ed uscii silenziosamente da quel buco in cui vivevo, pensando 'ora o mai più'.

"Luke?" lo richiamai entrando.
La luce era spenta e non si udiva altro rumore se non la pioggia che batteva sulle finestre. Schiacciai l'interruttore, facendo schioccare la lampadina sul soffitto; il biondo era disteso nel letto con un libro tra le mani, fissava il soffitto.
Mi sedetti al suo fianco:"Dovevi parlarmi?"
Luke spostò il suo sguardo cristallino su di me, ed io mi persi.
Mi persi nelle sue iridi azzurre, che mi ricordavano qualcosa di più del mare, qualcosa di più del cielo, qualcosa che andava oltre ogni cosa di questo mondo; mi davano pace e serenità, facendomi allo stesso tempo rabbrividire. Mi persi in quegli occhi che erano la sua anima. Mi persi così tanto che dimenticai ogni cosa. Pensai che completavano alla perfezione quel viso innocente, che avrei protetto ad ogni costo. Pensai che li amavo.. ed amavo lui.

"Michael?" stavolta fu lui a chiamarmi. Sbattei ripetutamente le palpebre e lo guardai impaziente; le mani mi sudavano freddo e il respiro iniziava a farsi pesante.
"Si, ti volevo parlare." appoggiò il libro sul comodino e si posizionò di fronte a me. "Comincio dal principio, okay? Dall'inizio di ogni cosa." Deglutii e ordinai al mio cervello di mantenere il controllo, mentre Luke continuava.

"Ero un bambino felice. Insomma, giocavo spesso con i pochi amici che mi ero fatto, e.. amavo le astronavi giocattolo" ammise imbarazzato. Era adorabile. "Spesso creavo un muro attorno a me, ma poi tutto passava e ritornavo allegro. Solo a poche persone lasciavo libero accesso alla mia personalità, mi ci voleva tempo per svelarmi del tutto. I miei genitori dicevano che ero più saggio degli altri bambini; facevo molte domande e non facevo niente di cui non avessi piena fiducia. Ed io avrei voluto essere diverso, Michael. Avrei voluto godermi serenamente l'infanzia, avere un gruppo di veri amici con cui esplorare, scoprire cose nuove, avrei voluto anche rompermi una gamba, ma vivere, vivere sul serio." Mi si strinse il cuore, perché io avevo avuto un infanzia simile. Conoscevo Ashton fin da quando eravamo piccoli; lui mi invitava a giocare a calcio, a fare le corse in bici, ma io spesso restavo a casa a concentrarmi sui miei pensieri contorti. Mi facevo anche io tante domande, forse troppe. Spesso ero il capitano del gruppo, quello più spericolato; ma in fondo non vivevo tutto appieno, mi sentivo diverso dagli altri. Luke si lasciò sfuggire un sospiro, poi riprese parola.
"Comunque, diventando grande la differenza fra me e gli altri ragazzini si faceva sempre più evidente; stavo sempre in camera da solo a leggere o a strimpellare con la chitarra, non facevo amicizia, non guardavo le ragazze, eccetera. Poi un giorno mi hanno invitato ad una festa. Non volevo andarci, ma alla fine mi sono convinto. Me ne stavo un po' in disparte, poi una ragazza si è avvicinata e mi ha chiesto di ballare. Ovviamente io non sapevo ballare, ma lei mi ha detto che ero carino lo stesso e mi ha portato in una camera da letto. Stavamo per fare sesso, ma le ho detto che non volevo; ero spaventato. Lei ci è rimasta malissimo ed io sono scappato via con le lacrime agli occhi. Da quel giorno non sono più andato ad una festa. Dopo circa una settimana l'ho incontrata a scuola e lei mi ha chiesto di vederci nel pomeriggio. Ci siamo incontrati al parco: mi ha detto che le dispiaceva di essere stata così squallida, queste furono le sue esatte parole. Disse che gli piacevo davvero e ci fidanzammo. Non ho mai perso la verginità con lei, nè in futuro. Beh, siamo stati insieme qualche mese, ma più il tempo passava, più io capivo che non era il sesso femminile ad attrarmi. Qualcuno mise in giro la voce che ero gay, forse notando gli sguardi che lanciavo a certi ragazzi, ma non lo facevo apposta; allora lei per la vergogna mi lasciò, ed io mi sentii in colpa. Gli insulti da parte dei miei compagni aumentarono, senza nemmeno un vero motivo. Ormai mi avevano etichettato così, e così rimase. Iniziai a passare i pomeriggi nuovamente solo, immerso nelle mie lacrime. Un giorno mi guardai allo specchio: odiavo il mio viso. Allora pieno di rabbia spaccai il vetro e, senza ragionare civilmente, presi un pezzo appuntito dello specchio e graffiai i miei polsi, poi le mie spalle, le mie guance. continuai per un tempo infinito, fino a quando non sentii mia madre tornare a casa dal lavoro. Chiusi velocemente la porta del bagno a chiave e le dissi che stavo facendo la doccia e che avevo rotto lo specchio del bagno. Lei ci credette, ma forse nemmeno se ne preoccupò: mi ha sempre dato tutto ciò di cui avevo bisogno, ma lavorava molto e come supporto morale era completamente assente; perciò non si fece domande. Pulii il sangue sul pavimento e custodii i pezzi più taglienti, poi corsi in camera avvolto in un asciugamano, senza farmi vedere. Avendo anche il viso graffiato, mi nascosi sotto le coperte, chiedendole di stare a casa da scuola, perché non mi sentivo bene. Lei non obiettò: la sua assenza giocava a mio favore. Iniziai a marinare la scuola, continuando a tagliarmi. Non avevo voglia di ricevere altri insulti." Parlava con sguardo vuoto, e ciò che diceva non sembrava toccarlo minimamente. Forse aveva imparato a diventare insensibile al suo passato, ma a me le sue parole facevano male. Ero felice, però, che si stesse aprendo.
"Un giorno feci una cazzata. Fu un giorno orribile, il giorno in cui capii che ero malato. Ero in camera, dei ragazzi mi avevano appena picchiato e insultato per la terza volta in due giorni; mi stavo tagliando. Sorridevo, quello era un dolore diverso.
Non era la cattiveria di altri, era il mio modo per dimenticare.
Ad un tratto, successe. mi tagliai una vena. Il sangue mi schizzò sulla maglietta e il freddo si cosparse nel mio corpo. So come succede: prima senti freddo, poi sonno, poi muori. Ero disposto a morire lentamente, perciò feci per tagliarmi anche la vena del polso destro. Era giunta la mia ora. Ma mia madre entrò in quel fottuto momento, e gridò dalla paura. Fui ricoverato d'urgenza e mi salvarono. Non appena misi a fuoco la situazione persi la testa, urlando come un matto. Ero così vicino, dannazione! Provai odio verso mia madre ed il mondo intero.
Mi venne diagnosticata una forma di depressione, quindi iniziai a vedere degli psicologi. Per un po' mi rifiutai di parlare, ma poi imparai a dire loro ciò che volevano sentire. Ma rimanevo sempre lo stesso. Lasciai la scuola due anni prima del dovuto e, dopo altri tre anni, eccomi qui. Dicevano che non c'era altra soluzione, ero diventato pazzo. E oltretutto, anche perché sono omosessuale. Ecco, ora sai la mia storia." concluse con un mezzo sorriso.
Rimasi a fiato sospeso, incapace di trovare una risposta insensata al suo frettoloso resoconto; alla fine mormorai:"Siamo simili, in fondo". Mi prese la mano, intrecciando la nostre dita. "Davvero, Michael?" sorrisi di rimando "Davvero davvero".
"Volevo dirti che ti amo, Michael. Sono disposto ad amarti con tutto me stesso, perché sei speciale" si morse il labbro "speciale come nessun'altro."
Mi avvicinai al suo orecchio, sussurrandogli:"Andremo a fondo insieme." Annuì e sfiorò le mie labbra, guardandomi negli occhi. Feci cominciare un bacio che entrambi aspettavamo, perché entrambi ci desideravamo. Ero sollevato dalle sue parole, sapevo che se avevo lui, sarebbe andato tutto a posto.

"non mi hai raccontato la tua, di storia" ringhiò dolcemente Luke, invertendo le posizioni; ormai eravamo distesi nel suo letto, la porta chiusa a chiave.
"Uhm, la mia storia è alquanto noiosa"
"niente è noioso se riguarda Michael Clifford"
ecco un altro lato di lui che non conoscevo.
Ridacchiai:"E va bene. Allora, da piccolo ero simile a te. Crescendo, ho sentito il bisogno di andarmene. Volevo volare, ed iniziai il mio progetto: costruire un astronave. Nella mia famiglia non diedero molto peso mio desiderio, ritenendolo solo una fantasia. Ma quando iniziai a 'intaccare l'incolumità altrui', come dicono i medici, si preoccuparono. Pian piano mi lasciarono da solo, finché i manicomi non divennero la mia casa. In quanto all'amore, ho avuto varie fidanzate, ma provavo attrazione anche verso i maschi. Non mi sono mai innamorato veramente, però. Beh, fino ad ora. Appena ti ho visto ho capito subito di essere indubbiamente gay" conclusi soddisfatto, guadagnandomi un Luke rosso in viso. Gli baciai la fronte e poi le labbra:"La felicità arriva per ognuno di noi, Lukey". Il ragazzo dai capelli biondi di cui ero perdutamente innamorato annuì, portando lentamente il palmo della mano sulla mia guancia. "Posso chiederti una cosa ora?"
"Certo"
"Scopami, ne ho bisogno"
le sue parole mi lasciarono a bocca aperta, ma ovviamente non ci pensai un attimo. Mi misi in piedi, togliendomi velocemente la maglietta e gli skinny; lui fece lo stesso. Non avevamo preservativi, ma non mi importava. "Ti senti pronto?" gli chiesi. "Farai piano?" ammiccai, mentre toglievo l'ultimo indumento che ci separava. "Sarò ai tuoi ordini." mi morsi il labbro "ma tu sarai ai miei".

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si, lo faccio in due parti perché sono kattiva >:-))))
il punto è che voglio venga fuori un bel capitolo, perciò lo faccio in due parti, perché ho già il cervello abbastanza incazzato con me per oggi. lal, me lo immagino che mi esce da un orecchio con una valigia in mano dicendo:"oh sono troppo fab per stare ancora qui dentro, tu sei pazza, tu e quei due muffin che shippi tanto"
ma AHAHAH, rido da sola.

alla prossima,
- ashtonandpizza xx

Psychopath Love. || MukeDove le storie prendono vita. Scoprilo ora