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"Le stelle stanno in cielo
E i sogni non lo so
So solo che son pochi
Quelli che s'avverano"

Vasco Rossi - Ridere di te

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Quasi ogni persona al mondo ha almeno un ricordo che custodisce gelosamente nel proprio cuore. Quel qualcosa che la riscalda quando tutto nella propria vita sembra andare storto.

Come tanti infatti anche io ne avevo uno, risalente a molti anni prima; quando ero ancora una bambina che si preoccupava solo di non perdere il proprio cartone animato preferito in televisione.

<<Pensi che vedremo una stella cadente, papà? Non ne ho mai vista una. Avverano davvero i desideri?>>
<<Li avverano solo se ci credi davvero>> rispose l'uomo, tenendomi saldamente sulle sue spalle <<quindi chiudi gli occhi e desidera tantissimo di vedere una stella cadente, così arriverà.>>
Strizzai forte gli occhi, talmente tanto da farmi quasi male.
Avevo solo sei anni ed ero ingenua come quasi tutti i bambini della mia età.
Credevo nei sogni, credevo nelle fate e credevo nelle stelle cadenti.
<<Così va bene?>> chiesi, senza sbirciare
<<Prova ad aprirli.>>
Una volta riaperti trovai davanti a me sempre la stessa visuale. Ossia un cielo nero, popolato da tante stelle, quello sì, ma senza nessuna scia di luce a tagliare quel manto quasi statico.
<<Io non vedo nulla>> mi lamentai.
<<Aspetta. Sii paziente.>>
Fu lì che la vidi. Bella, luminosa, ma fugace, quasi come un battito di ciglia.
<<Hai espresso il tuo desiderio?>>
<<Sì.>>

Dopo tanti anni non ricordavo più quale fosse il desiderio espresso durante quella notte stellata, ma era l'ultimo ricordo davvero felice della mia infanzia e l'ultimo che avevo di mio padre, venuto a mancare poco tempo dopo. Era andato a fare compagnia a mia madre, morta da tempo.
Crescere come un'orfana non era stato per niente facile per me i primi mesi, piena com'ero di amici quotidianamente seguiti e accuditi dai propri genitori. Una realtà che a me era stata tristemente preclusa e che per tanto tempo mi aveva fatta sentire diversa, sbagliata.
Tuttavia i miei zii mi avevano immediatamente accolta in casa loro come una vera figlia e grazie a loro ero cresciuta circondata da tanto amore. Avevano infatti fatto ogni cosa in loro potere per non farmi mai mancare nulla e per cercare di sopperire quanto possibile all'enorme senso di vuoto lasciato dalla morte dei miei genitori.
La mia vita era quindi in qualche modo andata avanti e alla luce di tutti gli eventi trascorsi successivamente non potevo non ritenermi fortunata per la seconda chance che mi era stata messa davanti.

Col tempo ero cresciuta e molte cose erano cambiate nella mia vita. A partire dai miei gusti musicali fino ad arrivare al mio colore preferito o alle mie abitudini quotidiane.
Ovviamente avevo anche smesso di credere a tutto quel luccicante mondo di fantasticherie, in quanto privilegio solo dei bambini. Gli unici che hanno degli occhi spalancati verso il mondo ancora più grandi dei loro limiti.
Durante quello scorrere inesorabile di anni una sola cosa non era cambiata: la mia quasi insensata fiducia nei sogni. Quella non se n'era mai andata e nemmeno aveva mai vacillato.
Tutt'altro, era rimasta salda dentro di me e forse era stata proprio quella fiducia a permettermi di continuare a vivere e di tornare a sorridere.
I sogni si potevano realizzare, bastava solo crederci e lottare per portarli a termine.
Ne ero assolutamente sicura.

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Vedere i volti felici dei bambini era in assoluto uno degli spettacoli che più preferivo, soprattutto quando a farli sorridere ero proprio io.
Ricordavo una bella fetta della mia infanzia come costellata solo da pensieri tristi ed espressioni malinconiche, quindi per me ognuno di quei volti sorridenti era una conquista di inestimabile valore da conservare nel mio cuore per sempre.
Era quel desiderio che da circa due anni mi spingeva a venire quasi ogni giorno in ospedale per intrattenere i bambini ricoverati per qualsivoglia motivo, da una semplice frattura fino a malattie ben più serie.
Ovviamente non ricevevo nessun compenso, trattandosi di volontariato, ma mi andava benissimo e lo facevo semplicemente per il gusto di trovarmi in quel luogo.
<<Per favore, anche io ne voglio uno a forma di cagnolino. Posso?>> mi chiese Subaru, un bambino di sette anni, ricoverato da otto giorni per un'appendicite che quasi lo aveva portato alla setticemia.
Sorrisi al bambino e mi accovacciai alla sua altezza. <<Certo che puoi averne uno anche tu, di che colore lo preferisci il palloncino?>>
<<Rosso, come le ali di Hawks. È il mio eroe preferito, vedi?>> mi disse lui, indicandomi fieramente con un dito la maglietta del suo pigiama con su impresso l'eroe professionista in questione.
<<E rosso sia>> dissi io, facendo fuoriuscire un palloncino già gonfio dalla mie mani.
Era la mia unicità. Non particolarmente utile per la vita di tutti i giorni, ma assolutamente perfetta per creare animali da regalare ai bambini del reparto.
Intrecciai la mia creazione velocemente, dandogli le fattezze di un cane, come richiestomi dal bambino, per poi affidarlo alle sue mani impazienti.
Mi ero allenata molto davanti a svariati video tutorial e dopo settimane di allenamento ero riuscita ad imparare a riprodurre diversi animali e diversi oggetti da regalare loro.
<<Wow, anche io vorrei avere la tua unicità. Io posso solo creare getti d'acqua dalla bocca>> commentò il bambino, incrociando contrariato le braccia.
<<Solo? È un'unicità bellissima e devi andarne molto fiero>> dissi sincera <<inoltre ricorda sempre che non conta il quirk che si possiede, ma l'uso che se ne fa. Ma ancor di più conta comportarsi sempre bene, indipendentemente da avere o meno un'unicità. Ciò che rende davvero unica una persona è nel proprio cuore, non nel proprio talento.>>
Subaru sorrise e mi abbracciò brevemente le gambe, prima di correre a giocare con gli altri bambini, in quel momento tutti presi da un puzzle abbastanza intricato per la loro età.
<<T/N, ancora qui? Di solito non resti così tanto>> mi sentii chiedere alle spalle da un infermiere che lavorava lì da tantissimi anni. Praticamente un veterano ammirato e rispettato da tutto il personale per le sue enormi conoscenze, oltre che per la sua bontà e la sua generosità.
Avevo la stessa età di sua figlia, per tale mi aveva presa a cuore fin dal principio e ci capitava spesso di chiacchierare; tanto da instaurare col tempo un bel rapporto.
<<Esatto. So che di solito vado via molto prima, ma oggi ci sono due bambini in dimissione e ci tenevo tanto a salutarli, soprattutto perché sono ricoverati qui da tanto tempo e mi mancheranno>> ammisi, grattandomi imbarazzata la testa.
<<Sei sempre la solita sentimentale. Ci tieni davvero tanto a questi bambini e la questione ti fa onore. Si vede che anche loro sono felici di stare con te>> disse lui, guardandosi attorno, per posare gli occhi su tutti i bambini nella stanza che ridevano felici.
Mi avvicinai lentamente all'uomo, pronta per quella domanda che oramai ero solita fare tutti i giorni. <<Sai dirmi qualcosa sulla bambina della 203? Non mi hanno permesso nemmeno oggi di vederla. E pensare che volevo solo regalarle un palloncino...>>
<<T/N, non posso darti altre notizie su quella bambina. Non dovresti saperne assolutamente nulla in verità e invece mi hai raggirato come al solito con la tua finta aria innocente.>>
<<Eddai, che ti costa? Lo sai che non faccio la spia e so mantenere i segreti>> commentai offesa <<sono solo interessata e dispiaciuta. In fondo anche lei merita come tutti gli altri bambini qui presenti un po' di svago...>>
L'uomo sospirò arreso, notando la mia espressione corrucciata e speranzosa allo stesso tempo. <<Mi farai andare al manicomio tu>> disse lui <<Eri sta bene e forse domani le permetteranno di ricevere qualche visita, ma non credo la tua.>>
<<Eri? È il suo nome?>>
<<Basta, vado via. Mi fai sempre parlare troppo e finirai col farmi perdere il posto>> commentò lui, capendo di aver scucito davvero tanto tutto d'un colpo.
<<Franz, ti prego, dimmi solo qualcos'altro.>>
Sentii il suono della sua risata in fondo al corridoio, ma dalla sua bocca non uscì più nemmeno una parola.
La bambina della 203, che avevo appena scoperto chiamarsi Eri, era arrivata in reparto sette giorni prima, eppure non mi era mai stato permesso di avvicinarmi alla sua stanza, nemmeno di sfuggita.
Nessuno aveva voluto scucire informazioni sull'identità della bambina e quelle poche cose che sapevo le avevo scoperte da Franz.
Stando a quanto mi aveva raccontato proveniva da un covo di mafiosi senza scrupoli che per diverso tempo l'avevano usata per chissà quali loschi scopi, finché non era stata tratta in salvo da un gruppo di eroi, stagisti e poliziotti.
Molti di quei delinquenti erano stati arrestati, così come avevo avuto modo di appurare dai telegiornali locali, mentre un famoso eroe aveva perso la vita dopo quello scontro, proprio dentro quell'ospedale per giunta. Il suo nome era Nighteye.
Sentire la storia triste di quella bambina aveva acceso immediatamente in me un fortissimo desiderio di fare la sua conoscenza e di aiutarla per quanto a me possibile, tuttavia tutti i miei tentativi di avvicinarmi a lei si erano rivelati vani. Dai tentativi diretti a quelli in incognita.
Nessuno aveva dato risultati e in me era cresciuta la frustrazione.
Volevo incontrare quella bambina. Incontrarla e farla sorridere.
Lo desideravo tantissimo.

PAN DI STELLE
Nuova storia. Altro giro. Altra corsa.
Giuro che non rallenterà tutte le altre, anche perché ho scritto quasi tutti i capitoli :')
Non voglio scrivere molto. Ho scritto tutto sul capitolo guida.

Ho creato questo spazio solo per dedicare questa storia alla meravigliosa ragazza che mi ha fatto dono della copertina, oltre che di preziosi consigli.
Grazie per avermi incoraggiata a pubblicare questa storia 💕
Tutti i crediti per il meraviglioso disegno vanno a lei.
12nope12

𝚄𝚕𝚝𝚒𝚖𝚒 𝚛𝚊𝚐𝚐𝚒 || 𝙻𝚎𝚖𝚒𝚕𝚕𝚒𝚘𝚗 𝚡 𝚁𝚎𝚊𝚍𝚎𝚛Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora