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"Intanto i giorni che passano accanto li vedi partire come treni che non hanno i binari, ma ali di carta"

Cesare Cremonini -
Nessuno vuole essere Robin

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<<Dai, per favore. Resta ancora un pochino>> mi chiese Ayato, aggrappandosi alla mia maglietta.
<<Ayato, sai che non posso. Tra poco devi mangiare e poi metterti a letto. Ma se vuoi domani posso venire prima.>>
Il bambino gonfiò le guance offeso, scoccando uno sguardo contrariato in direzione di Mirio venuto a prendermi da poco. Forse attribuendo a lui la colpa della fine del mio turno di volontariato. In realtà ero davvero arrivata al mio tempo limite di permanenza.
Salutai tutti i bambini e mi allontanai sorridendo, allargando il mio sorriso alla vista del ragazzo che allungava la mano nella mia direzione.
L'afferrai senza pensarci su due volte e lui mi portò in quel modo fino all'ascensore, lasciandomi solo una volta dentro.
Io e lui ci vedevamo tutti i giorni da più di un mese e mezzo, ossia dal giorno del primo desiderio realizzato.
Le giornate erano passate realizzando desideri apparentemente di poco conto, ma non per questo meno importanti. La lista si stava sfoltendo piano piano, ma ancora non avevo avuto il coraggio di mostrargli l'elenco nel suo complesso, forse perché frenata dal pensiero di mostrare una questione così intima; soprattutto considerando uno o due punti presenti sopra, un po' imbarazzanti per me a dir la verità.
<<Come stai oggi?>> mi chiese il ragazzo, osservandomi attentamente.
<<Direi bene. Oggi mi sento piena di energie e non vedo l'ora di andare a fare una passeggiata in centro, perché stasera ci sono anche degli stand. Tu come stai?>>
<<Anche io sto bene>> rispose lui <<la tac invece è domani, giusto?>>
<<Oh, sì. Faccio dei controlli periodici per vedere l'evoluzione del glioblastoma e domani mattina ho la visita di controllo qui in ospedale>> spiegai, osservando i numeretti dei piani che scendevano lentamente.
<<A che ora hai la tac?>>
<<Alle undici e mezza, perché?>>
<<Posso accompagnarti?>> chiese lui, guardandomi brevemente in leggero imbarazzo.
<<Beh, verrà anche mia zia per sentire cosa dirà il primario, ma se vuoi lo stesso non c'è nessun problema. Possiamo vederci un po' prima nel bar dell'ospedale. La spremuta che fanno qua non è male.>>
Lui annuì, affondando un dito sulla mia guancia in un gesto scherzoso.

• • • •

L'uomo in camice bianco e dall'aria distinta era davanti a me, mentre sfogliava concentrato diverse scartoffie nelle sue mani.
Avevo terminato la tac da circa tre quarti d'ora e da un paio di minuti io e mia zia eravamo state richiamate nell'ambulatorio per discutere delle novità del mio caso.
<<Alla luce dell'ultima tac risulta un incremento del diametro del tumore di poco meno di mezzo centimetro. Questo dato ci indica che è ancora sotto controllo, tuttavia sta iniziando ad invadere una nuova area del cervello e questo potrebbe comportare un incremento della sintomatologia. Fino a qui mi seguite?>>
Io e mia zia annuimmo educatamente, lasciando il tempo al medico di continuare il suo discorso.
<<I sintomi potrebbero includere emicrania, nausea, vomito, vertigini, spossatezza, astenia e anche crisi epilettiche. Ha avuto qualcuno di questi sintomi al momento? Si riconosce in qualcosa?>> chiese lui.
<<No dottore, al momento solo una sensazione di spossatezza, per il resto ancora assolutamente nulla>> risposi sinceramente.
Lui riprese a sfogliare le carte e ne approfittai per posare velocemente lo sguardo su mia zia. La trovai a tamponarsi gli occhi con un fazzoletto di carta, apparentemente troppo scossa per posare lo sguardo su di me.
<<Sta continuando a prendere regolarmente tutte le medicine che le ho prescritto? Non deve mai saltarle, sono molto importanti per gestire la sintomatologia.>>
<<Certo dottore>> risposi, continuando a guardare la donna al mio fianco, visibilmente sempre più provata da quella situazione.
Io dal canto mio mi sentivo come anestetizzata e non riuscivo a sentire assolutamente nulla, solo un grande senso di vuoto.
Non riuscivo ad accostare le parole del primario come rivolte a me, ma come alla diagnosi di una persona da me stante, quasi estranea.
Forse era semplicemente il mio modo per proteggermi dal dolore di quella situazione difficile o semplicemente un riflesso della mia rassegnazione. Dovevo morire, ormai lo sapevo e non potevo farci assolutamente nulla.

𝚄𝚕𝚝𝚒𝚖𝚒 𝚛𝚊𝚐𝚐𝚒 || 𝙻𝚎𝚖𝚒𝚕𝚕𝚒𝚘𝚗 𝚡 𝚁𝚎𝚊𝚍𝚎𝚛Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora