Silenzio imbarazzante

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<<Senti, mi spiace se ho fatto in modo che tu dovessi raccontare quello che ti è successo ai tuoi genitori, solo che era abbastanza inevitabile>> Mi decido a rompere il silenzio. Cerco di scusarmi con Greta, mentre aspettiamo che arrivi il quinjet. So di non avere scusanti, ma in fondo ho fatto davvero una cosa sbagliata? Non poteva tenerglielo nascosto per sempre, e poi se no come avrei potuto spiegare che gli Avengers sanno di lei? Solo mi spiace di aver tradito la sua fiducia, non so se in futuro la riporrà di nuovo in me.
<<Spero che ne valga la pena>> risponde lei, continuando a fissare la radura dove dovrebbe atterrare il jet. Dal suo tono sento che è ancora un po' arrabbiata, meglio stare zitta e sperare che prima o poi le passi. Non so bene cosa fare. Guardo l'orologio, manca circa un quarto d'ora alle 18:00, quando dovrebbe arrivare Natasha. Spero che non ritardi: non lo reggo più questo silenzio imbarazzante. Alzo la testa al cielo, sospirando, e vedo un punto nero in lontananza. Mi alzo dalla mia valigia, che sia lei? Greta deve aver notato che ho visto qualcosa, perché si alza anche lei e guarda nella mia stessa direzione. Ogni secondo che passa il puntino diventa sempre più grande e piano piano inizio a riconoscere la sagoma del quinjet. Adesso è molto vicino, il rumore è frastornante e il vento mi scompiglia i capelli. Atterra poco più avanti a noi e il portellone si apre. Esce Natasha e si avvicina a noi. Anche i genitori di Greta, che fino ad ora erano rimasti più indietro, adesso si affiancano alla loro figlia, cingendole le spalle.
<<E così lei è Greta?>> mi chiede conferma Natasha. Annuisco. <<Piacere, agente Romanoff>> e le porge la mano. Greta gliela stringe incerta, presentandosi. <<Lei deve essere Gabriela, molto piacere>> Altra stretta di mano. <<Ho informato il rettore dell'ospedale di Monaco del suo arrivo, può andare già da oggi>> Gabriela la ringrazia commossa. <<Se siete pronte io ripartirei>>
<<Greta, miraccomando, abbi cura di te>> la saluta sua mamma.
<<E tu di te, mamma>> È il momento dei saluti, sono di troppo; mi avvicino a Natasha. Tutti e tre adesso stanno piangendo, stretti in un abbraccio. Che bell'immagine, però. Alla fine si lasciano e Greta ci raggiunge. Poco prima che entriamo sua madre la chiama, lei si gira.
<<Ricordati che ti vogliamo bene, non importa come appari esteriormente, perché non potrà mai cambiare quello che tu sei per noi: nostra figlia>> Sorrido tristemente e mi vado a sedere. Natasha chiude il portellone e finalmente partiamo. Greta si appiccica al finestrino e saluta i suoi fino a quando non scompaiono dalla sua vista, il che succede quasi subito. Io ho lo sguardo perso nel vuoto, Natasha è concentrata sulla guida. Si crea di nuovo un silenzio che, almeno per me, è imbarazzante. Basta, chissene frega se nessuno parla, non siamo mica obbligati a farlo. Provo a dormire, così magari il viaggio mi passa più in fretta. Dopo qualche minuto passato con gli occhi chiusi capisco che non ho sonno, quindi tengo semplicemente gli occhi chiusi e inizio a fantasticare su come sarebbe avere una famiglia. Mi ritrovo ad asciugarmi qualche lacrima, dunque decido che forse non è il caso di essere così autodistruttivi e cerco di concentrarmi su altri pensieri. Solo che non posso farci molto, ci vuole così poco per ricordarmi quanto mi piacerebbe avere una famiglia.
<<Va bene se metto della musica?>> ci chiede a un certo punto Natasha.
<<Per me è uguale>> risponde Greta, alzando la testa dal cellulare. Noto che sta giocando a qualcosa, ma non so che gioco sia.
<<Va bene>> dico io. Forse aiuterà a rilassare il clima. Natasha schiaccia un pulsante e le note di una canzone pop il cui ritornello fa "I'm unstoppable today" si disperdono nell'aria.

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